Helena CobbanGAZA HA CAMBIATO OGNI COSA, MA LA SUA GENTE ANCORA SOFFRE


A tre mesi dalla fine della guerra israeliana contro Hamas a Gaza, la situazione di stallo fra Israele e il movimento islamico palestinese è invariata, ma le condizioni di vita della popolazione civile sono ancora più gravi – scrive l’analista Helena Cobban.
I circa 1,5 milioni di abitanti di Gaza, quasi tutti civili, si trovano tuttora in una situazione estremamente dura, visto che Israele continua a proibire l’invio a Gaza di gran parte dei beni necessari per vivere una vita dignitosa – compresi i materiali da costruzione che servono per riparare o ricostruire le migliaia di case e di strutture di altro genere che l’esercito israeliano ha distrutto durante la guerra.
Ma è già evidente che la guerra ha cambiato molti aspetti delle complesse dinamiche politiche esistenti fra la comunità israeliana e quella palestinese, ed all’interno di ciascuna comunità.
Semplicemente riuscendo a sopravvivere, Hamas è diventato più forte sia nel panorama politico palestinese che nel più ampio panorama mediorientale.
Alle elezioni israeliane di inizio febbraio, il partito di Olmert è stato sconfitto – dai rappresentanti di una tendenza ancor più militarista all’interno di Israele, la cui ascesa è stata alimentata in buona parte dalla smania di guerra scatenata fra gli ebrei israeliani proprio dalla guerra di Olmert.
Nel frattempo, la ferocia con cui Israele ha combattuto la guerra ha danneggiato in maniera significativa l’immagine del paese nel mondo. Negli Stati Uniti, un numero senza precedenti di gruppi della società civile – inclusi alcuni gruppi ebraici – ha criticato apertamente la decisione di Olmert di scatenare la guerra, fin dai primissimi giorni del conflitto.
Tutti questi sviluppi sono apparsi in maniera evidente durante l’ultima visita del senatore George Mitchell nella regione, cominciata mercoledì scorso. Si è trattato della terza visita di Mitchell da quando egli fu nominato inviato speciale degli Stati Uniti il 21 gennaio scorso. Alcuni sviluppi del dopoguerra di Gaza sembrano rendere più difficili gli sforzi di pace di Mitchell. Ma altri, ed in particolare la disaffezione fra il governo israeliano ed alcuni dei sui passati forti sostenitori nel mondo, apre nuove possibilità alla sua missione.
In effetti, in alcune delle prime apparizioni di Mitchell nel corso del suo ultimo viaggio, egli si è mostrato maggiormente pronto rispetto a qualsiasi altro responsabile americano del passato ad adottare pubblicamente una posizione – in questo caso, l’appoggio ad uno stato palestinese indipendente – che è molto differente da quella esposta dal governo in carica in Israele.
Quando Olmert diede inizio alla guerra di Gaza il 27 dicembre scorso, egli puntava o a distruggere Hamas o ad infliggergli un tale colpo da spingere i suoi leader ad assecondare le richieste politiche di Israele. Malgrado le enormi devastazioni inflitte dall’esercito israeliano alla popolazione di Gaza, esso non ha raggiunto nessuno di questi obiettivi. La struttura di comando a Gaza, da lungo tempo temprata dalla guerra, è rimasta intatta(La più ampia leadership nazionale di Hamas, tuttavia, si trova ormai da molti anni fuori dai Territori occupati. Dunque l’idea di spezzare o di “addomesticare” l’intera organizzazione infliggendo un colpo da K.O. alla sua struttura di Gaza è comunque un’idea priva di particolare validità).
Invece di essere distrutto, Hamas ha scoperto che durante la guerra la sua popolarità è cresciuta in tutta la Cisgiordania occupata e tra i 5 milioni di palestinesi che vivono in esilio lontano dalla loro patria. La popolarità del movimento islamico palestinese è scesa leggermente a Gaza, senza dubbio a causa della punizione che le Forze di Difesa Israeliane (IDF) hanno inflitto alla popolazione della Striscia. Ma Gaza non è neanche la metà della Cisgiordania. L’effetto complessivo è stato che Hamas è diventato più forte.
Fatah, un movimento che negli ultimi anni si è allineato in misura ancora maggiore alle politiche americane, nel frattempo ha visto declinare la propria popolarità.
In effetti, il collasso delle strutture decisionali interne di Fatah è ormai così grave che vi è la possibilità reale che questo movimento si disintegri del tutto. Sebbene questo collasso sia in corso ormai da parecchio tempo, la guerra di Gaza ne ha certamente accelerato la progressione.
Fatah è stato anche, fin dal 1969, indiscutibilmente la componente più forte all’interno dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), l’organismo laico che ha finora autorizzato tutti gli sforzi palestinesi di pace con Israele. Di conseguenza, il declino di Fatah minaccia la sopravvivenza dell’OLP stessa – a meno che i colloqui di unità nazionale tra Fatah e Hamas al Cairo, sempre avviati per poi essere nuovamente abbandonati, non trovino una formula per far entrare Hamas nell’OLP per la prima volta nella storia.
In mezzo a tutti questi sviluppi, il milione e mezzo di abitanti di Gaza sta ancora cercando di far fronte alla drammatica situazione lasciata dal recente conflitto. Durante la guerra, più di 1.300 palestinesi sono rimasti uccisi, la maggior parte dei quali civili. Dieci soldati israeliani e tre civili israeliani hanno perso la vita.
Nei tre anni che hanno preceduto la guerra, vi sono stati intermittenti scontri a fuoco fra Israele ed i militanti palestinesi – principalmente appartenenti a Hamas – che operavano da Gaza. Inoltre, Israele ha mantenuto un duro assedio nei confronti di Gaza, contravvenendo in maniera evidente alle sue responsabilità di “potenza occupante”, che le impongono di salvaguardare il benessere della popolazione indigena della Striscia.
Al termine della guerra, sia Israele che Hamas hanno annunciato parallelamente un cessate il fuoco (non negoziato). Ciò è avvenuto il 18 gennaio. In assenza di qualsiasi accordo di cessate il fuoco negoziato, la tregua attuale è rimasta fragile, e si sono verificati diversi scontri a fuoco.
Ma in aggiunta a ciò, Israele ha considerevolmente inasprito l’assedio a Gaza – e questo, in un momento in cui i residenti della Striscia hanno una straordinaria necessità di accedere ai materiali di cui hanno urgente bisogno per ricostruire le 5.000 case e le altre strutture che sono state distrutte durante la guerra. Queste strutture includono le vitali infrastrutture idriche e sanitarie, lefabbriche, i depositi – e perfino il parlamento.
John Prideaux-Brune, il direttore dell’Oxfam per la Cisgiordania e Gaza, ha definito la politica di Israele nei confronti di Gaza come una politica di “de-sviluppo intenzionalmente inflitto”.
Egli ha recentemente dichiarato all’Inter Press Service che “Israele ha sfogato tutta la sua furia durante la guerra a Gaza. Si possono vedere interi villaggi spianati, le mucche ed altro bestiame ucciso. Sembra che essi siano entrati ed abbiano eliminato tutto ciò che poteva servire per lo sviluppo economico – fattorie, industrie”. (Fonti israeliane hanno affermato che durante la guerra l’esercito ha fatto entrare a Gaza 100 bulldozer allo scopo di compiere questa distruzione).
“E’ terribilmente stupido che Israele faccia una cosa del genere”, ha affermato Prideaux-Brune. “Laddove gli stati sono riusciti a sopprimere il terrorismo, lo hanno fatto attraverso dei negoziati e promuovendo lo sviluppo economico”.
Egli ha detto di sperare che i governi occidentali si mobilitino rapidamente per convincere Israele a togliere l’assedio. Ciò – ha detto – permetterebbe alla popolazione di Gaza di ritornare ad un percorso di sviluppo economico, invece di vivere di aiuti.
Molte delle organizzazioni umanitarie che hanno fornito aiuti di “emergenza” a Gaza (ed alla Cisgiordania) per molti anni, come l’Oxfam, stanno ora sostenendo con maggiore insistenza che l’unica cosa che può realmente stabilizzare la situazione veramente fragile dei palestinesi di queste zone occupate è trovare il modo di porre fine rapidamente all’occupazione militare israeliana di questi territori.
Prideaux-Brune dice che i palestinesi di Gaza stanno attualmente soffrendo di una “crisi di dignità” deliberatamente inflitta.
“Fino a quando Israele controllerà ogni aspetto della vita di queste persone, esse resteranno vulnerabili”, dice. “Gli aiuti di emergenza non possono sostituire un’efficace costruzione della pace, e questo è l’unico modo per giungere ad un reale sviluppo economico”Continua a leggere »

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