Care International: “A Gaza situazione catastrofica”



11 febbraio 2009

Nel marzo 2008 otto ong attive in Palestina posero l’attenzione sulla situazione umanitaria di Gaza,
definendola "la peggiore dall’inizio dell’occupazione militare israeliana del 1967". Oggi le condizioni di vita nella Striscia sono divenute, se possibile, anche più gravi.

"Quando fu pubblicato quel rapporto – ci dice Martha Myers, direttrice nazionale di
Care International, una delle organizzazioni firmatarie della denuncia del marzo scorso - l’80 per cento della popolazione di Gaza [1,5 milioni] dipendeva dalla comunità internazionale per sopravvivere, mentre il 50 per cento si trovava in condizioni di povertà estrema. Inoltre, una maggioranza di loro consuma la metà della quantità d’acqua consigliata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), per la maggior parte inquinata o salina. Quindi, nel marzo 2008, la situazione in termini degli indicatori umani basilari, cibo, possibilità di rifugio e accesso alle più fondamentali necessità sanitarie, erano già in grave carenza. Poi a dicembre abbiamo avuto questa guerra, e l’impatto è stato catastrofico". A pezzi è l’economia della Striscia. "Come risultato dei diciotto mesi di blocco prima dell’conflitto – spiega Myers - il 93 per cento dell’infrastruttura del commercio privato non aveva la possibilità di operare; ora queste aziende sono state bombardate. La fabbrica di succhi, la più grande azienda di farina, le fabbriche di cemento sono state tutte distrutte; anche la centrale elettrica è stata colpita più volte e non è più in grado di servire Gaza per intero. Perfino il sistema idraulico e le fognature sono state colpite". Secondo la direttrice di Care, "l’unica ragione per la quale Gaza non è sprofondata in una situazione di totale carestia e pestilenza è l’assistenza che arriva attraverso le organizzazioni internazionali, principalmente il Programma alimentare mondiale (Pam) e l’Agenzia Onu per i profughi palestinesi (Unrwa), e i salari che vengono pagati dall’Autorità Palestinese (Ap), anche essa aiutata dalla comunità internazionale. Durante gli ultimi mesi però gli israeliani hanno bloccato molti trasferimenti di fondi, causandone una grave scarsità. Adesso, quindi, non c’è elettricità o carburante, non esiste alcuna forma di import o export, e c’è anche una mancanza di fondi liquidi nell’economia"
Grazie alla sua continua presenza all’interno della striscia di Gaza, Care International è riuscita a mantenere in attività i vari progetti che dirige sul territorio, sia durante i diciotto mesi di blocco israeliano che hanno preceduto il conflitto che durante le tre settimane di guerra poi seguite. "Nonostante per ovvi motivi alcuni nostri progetti, come quello sulla democrazia governativa, siano stati interrotti durante il conflitto - spiega Myers - nel complesso siamo riusciti a proseguire con il nostro lavoro. Il progetto sulla sicurezza alimentare, nel quale compriamo verdure fresche a prezzi di mercato dagli agricoltori locali per poi consegnarli alle famiglie più vulnerabili della Striscia, è stato mantenuto in funzione con qualche piccola modifica. A causa dei violenti scontri registratisi nel nord della Striscia è stato impossibile raggiungere alcune delle famiglie, ma grazie alla flessibilità dell’European Commission’s Aid Office (Echo), il nostro donatore principale per questo progetto, siamo riusciti a deviare il materiale a loro destinato, consegnandolo invece agli ospedali di Gaza". L’importanza di questo progetto è incrementato dal fatto che mentre il Pam e Unrwa sfamano la maggior parte della popolazione di Gaza distribuendo alimenti secchi, quali riso e lenticchie ad esempio, Care International fornisce alimenti freschi. Abbiamo inoltre mantenuto in funzione il nostro programma sanitario con la raccolta di medicinali e rifornimenti ospedalieri da consegnare poi ai nostri soci nella Striscia, anche se – ovviamente - il loro bisogno è cresciuto in maniera esponenziale a causa del numero crescente di morti e feriti".
Rispondendo ad una domanda sulla mancata apertura dei valichi di frontiera tra Israele e Gaza sia prima che durante l’operazione "Piombo Fuso", e se qualcosa fosse cambiato da quando è stata dichiarata la tregua, Myers risponde seccamente; "No, non ancora. I mesi di novembre e dicembre sono stati particolarmente duri per quanto riguarda le frontiere. Ci sono tre valichi principali che collegano la striscia di Gaza con Israele e di questi solo uno, Kerem Shalom è rimasto in funzione durante i mesi passati. Ultimamente però, prima del conflitto, anche Kerem Shalom è rimasto chiuso per gran parte dei mesi di novembre e dicembre, e comunque nei suoi momenti migliori Kerem Shalom riesce a sostenere 150 camion al giorno, mentre Gaza ne richiede almeno 500 solo per soddisfare le esigenze più basilari della popolazione".Per quanto riguarda i materiali ammessi nella Striscia "la situazione non è cambiata", nonostante le mutate esigenze post-conflitto. "Lo standard degli israeliani su ciò che viene considerato materiale umanitario – afferma la direttrice dell’ong - non include nulla che possa servire alla ricostruzione di Gaza. Non vengono permessi pezzi di ricambio di alcun genere, tubature per l’acqua o per l’irrigazione, plastica, bacchette metalliche, cemento, attrezzature agricole o fertilizzante. Non ci resta che continuare a lavorare immaginando che la comunità internazionale farà pressione su Israele affinché possa passare almeno il materiale necessario per rispondere alla crisi a un livello umanitario. Per tutto il resto, è chiaro che non si può pensare di aggiustare il sistema idraulico o di costruire nuove case se non si ha accesso a un materiale essenziale come il cemento".
* per Osservatorio Iraq
Care International è una organizzazione no-profit che opera globalmente in più di sessanta paesi, è composta da una confederazione di dodici organizzazioni membri il cui scopo è combattere la povertà globale e favorire la distribuzione di aiuti d’emergenza in casi di crisi umanitaria. È presente in Cisgiordania e a Gaza dal 1948 e durante quest’anni ha avviato una serie di progetti all’interno di varie comunità palestinesi concentrandosi sul rafforzamento della società civile, dell’infrastruttura sanitaria e di quella scolastica, così come sullo sviluppo della produzione agricola, delle risorse naturali e dell’economia locale
Martha Myers ha vissuto nei Territori palestinesi occupati per molta della sua vita adulta. È stata direttamente coinvolta in questioni riguardanti lo sviluppo della società palestinese e del conflitto con Israele da più di trent’anni
Guerra di Gaza : testimonianze cristiane, laiche,palestinesi, ebraiche,israeliane

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