Amira Hass dopo 86 ore a una famiglia ferità dall'IDF manca ancora l'assistenza medica



Gaza, 86 ore dopo il bombardamento di una casa, la famiglia è ancora in attesa di aiuti medici

di Amira Hass
Ha’aretz, 7 gennaio 2009

A Gaza c’è una famiglia che attende da più di 86 ore di essere evacuata dalla propria abitazione colpita durante i bombardamenti serali di sabato scorso da parte dell’esercito Israeliano (Idf).

Fino ad ora, mercoledì [7 gennaio], tutti i tentativi di evacuare la famiglia A’aiedy all’ospedale per ricevere cure si sono dimostrati inutili.

Una cannonata dell’Idf ha colpito la tenuta della famiglia che si trova all’interno di un terreno agricolo situato ad est di Gaza City. Una sezione della casa è stata distrutta nell’attacco.

Due donne, entrambe 80enni, e tre loro nipoti sono rimasti feriti. Finora hanno cercato di trattare le proprie ferite con acqua e sale ma secondo un loro parente, Hussein Al A’aiedy, sono diventate infette.

Domenica [4 gennaio] sera, un’ambulanza palestinese ha raggiunto un gruppo di case poco distante per evacuare i feriti all’ospedale. Secondo quanto dichiarato da A’aiedy l’autista dell’ambulanza voleva raggiungere anche la sua famiglia ma l’esercito non glielo ha permesso.

Il coordinatore dell’esercito ha dichiarato al gruppo Physicians for Human Rights (Phr)che uno scontro a fuoco sta ostacolando l’arrivo dei servizi medici per evacuare la famiglia. A’aidey conferma, aggiungendo che i carri armati israeliani stanno aprendo il fuoco in direzione della sua casa.

A’aidey ha dichiarato a Phr che avrebbe intenzione di trasportare i bambini in un luogo più sicuro, al riparo dal fuoco dell’Idf. Il suo unico mezzo di comunicazione con il mondo esterno è attraverso il suo cellulare, la cui batteria ricarica con l’aiuto di un generatore preso da una motocicletta.

Tre ore dopo l’inizio dell’operazione di terra dell’esercito israeliano nella striscia di Gaza, intorno alle 10 e 30 di sabato sera, la casa, appartenente ad Hussein A’aidey e i suoi fratelli, è stata colpita da un missile o una bomba. All’interno dell’abitazione, che si trova isolata in un area agricola a est del quartiere Zeitoun di Gaza City, vivono ventuno persone. In cinque sono rimasti feriti nell’attacco: due
madre e sua zia), suo figlio 14enne e due suoi nipoti di 13 e 10 anni.

Dopo venti ore i feriti ancora sanguinavano in una capanna nel cortile di casa. Non c’è elettricità, riscaldamento o acqua. Con loro si trovano gli altri famigliari, ma ogni volta che tentavano di lasciare il cortile per prendere dell’acqua l’esercito gli ha sparato addosso.

A’aiedy ha provato a chiamare aiuto con il suo cellulare, ma la rete telefonica di Gaza è sull’orlo del collasso. I bombardamenti hanno colpito le antenne e i trasformatori, e non c’è elettricità o carburante per operare i generatori. Ogni volta che un cellulare funzione è un piccolo miracolo.

Intorno al mezzogiorno di domenica, A’aiedy finalmente riuscì a contattare S., che vive poco distante, e lui ha poi contattato me. Non cera nient’altro che poteva fare.
Conosco la famiglia A’aiedy da otto anni, e ho chiamato i Phr. Loro hanno poi contattato l’ufficio dell’Idf per chiedere di organizzare l’evacuazione dei feriti. Questo è accaduto poco dopo il mezzogiorno-e fino ad ora, l’ufficio non ha ancora risposto alla loro richiesta.

Nel mentre, qualcun altro è riuscito a contattare la Mezzaluna Rossa. Loro hanno poi chiamato la Croce Rossa per chiederli di coordinare l’evacuazione con l’esercito israeliano. Tutto c’ò è accaduto alle 10 e 30 di mattina - e fino a domenica sera, la Croce Rossa non era ancora riuscita a portare a termine l’evacuazione.

Mentre stavo al telefono con il Phr, a mezzogiorno ha chiamato H. Voleva riferire che due bambini, Ahmed Sabih e Mohammed al-Mashharawi, di 10 e 11 anni, erano andati sul tetto della loro abitazione a Gaza City per bollire dell’acqua su un fuoco. Non c’è elettricità o gas, il fuoco è tutto ciò che rimane.

I carri armati sparano, gli elicotteri fanno piovere i missili, e gli aeri causano terremoti. Ma è ancora difficile per la gente afferrare il concetto che riscaldare dell’acqua è diventato non meno pericoloso che iscriversi al braccio armato di Hamas.

Un missile dell’Idf ha colpito i due bambini, uccidendo Ahmed e ferendo seriamente Mohammed. Più tardi, domenica un sito d’informazione sul web ha riportato che entrambi hanno perso la vita. Il cellulare di H. non funzionava impedendomi di verificare la notizia.
Non valeva la pena provare a chiamare il suo numero fisso: domenica una bomba ha distrutto tutte le linee telefoniche del quartiere. L’obbiettivo era una tipografia (ancora un altro dei obbiettivi “militari” dell’Idf). Il proprietario, un impiegato dell’Unrwa in pensione, aveva investito l’intera sua pensione in quel negozio.

Nel quartiere dove vive B., le bombe hanno colpito le tubature d’acqua, lasciando l’intera zona senz’acqua da ieri mattina. “Sono già abituata a sopravvivere senza elettricità” dice. “Non c’è la televisione, ma sento quello che succede tramite gli amici che chiamano. Uno ha chiamato dal Libano, un altro da Haifa, e Ramallah. Ma ora senz’acqua come faremo?”

A. mi ha offerto una sua descrizione della situazione: “Tengo i bambini lontano dalle finestre perche ci sono gli F-16 in volo; gli proibisco di giocare di sotto perché è troppo pericoloso. Ci stanno bombardando sia dall’aria, che dal mare che da est. Quando funziona il telefono la gente ci racconta di familiari e amici rimasti uccisi. Mia moglie piange tutto il giorno. Di sera abbraccia i bambini e piange. Fa freddo e le finestre sono aperte; c’è fuoco e fumo che proviene dalle aree scoperte; a casa non c’è acqua, elettricità o riscaldamento. E tu [israeliano] dichiari che non c’è una crisi umanitaria a Gaza. Dimmi, ma sei normale?”

(Traduzione di Andrea Dessi per Osservatorio Iraq)

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