ebrei in Iran e rapporti commerciali tra Iran e Israele

1 Tempio ebraico inserito nella lista del patrimonio iraniano

 il Mausoleo di Esther e Mordecai, un santuario di fede ebraica,nella zona occidentale della città di Hamadan, è stato inserito  nella  Lista del patrimonio nazionale iraniano.Il mausoleo, visitato  da pellegrini ebrei provenienti da tutto il mondo, è una costruzione di mattoni dove sono situate le   due tombe di Esther e Mordecai, considerati eroi dal popolo iraniano 


2   Ahmadinejad parla dell'  Olocausto alla CNN

Sintesi personale: "Essi (i sionisti) non consentono di discutere liberamente su quanto è accaduto, imponendo la loro versioneLarry King quindi chiesto al Presidente se nega l'Olocausto .

"No, quello che sto dicendo è garantire la libertà della ricerca, e dovrebbe essere costituito un gruppo di studio indipendente per definire i dati reali della catastrofe.Gli iraniani non hanno nulla contro il popolo ebraico o la loro religione"Ahmedinejad pone una discriminante tra sionismo e ebraismo affermando che i sionisti non sono realmente ebrei . L'intervistatore gli ha chiesto se veramente vuole fare "sparire" Israele dalle carte geografiche Ahmedinejad ha risposto che il regime israeliano scomparirà nello stesso modo in cui è sparito l'apartheid in Sud Africa e l'Unione Sovietica. "La soluzione che proponiamo è un umanitaria . Un libero referendum deve essere tenuta nei territori palestinesi, per consentire al popolo palestinese di determinare il proprio destino ", ha detto Ahmadinejad.

4   Trita Parsi di Roi e Ben-Yehuda. La società israeliana e iraniana dovrebbero conoscersi meglio
sintesi personale     Ascoltando i politici, si ha la sensazione che ci stiamo avviando verso la catastrofe , fomentata dall' ignoranza e dalla disumanizzazione.Israele è demonizzata come "Little Satana", mentre gli iraniani sono visti come irrazionali estremisti musulmani . Tale 'ignoranza reciproca è fomentata dalla linea dura dei politici che chiedono sangue e distruzione.Nessuno di noi è abbastanza ingenuo da credere che la mera conoscenza dell'altro offrirà una soluzione miracolosa. Siamo convinti, tuttavia, che la comprensione reciproca aiuterà a sviluppare compassione ed empatia Ecco quello che dovremmo reciprocamente conoscere:1Israele è una democrazia ancora incompletail presidente Mahmoud Ahmadinejad ha affermato che non ci sono omosessuali in Iran.Ebbene, in Israele ci sono molti omosessuali, e sono gli unici in Medio Oriente che possono celebrare annualmente il Gay Pride .La democrazia in Israele significa che ogni cittadino (ebreo o altro) ha il diritto di esprimersi e organizzarsi ed è uguale dinanzi alla legge..Senza dubbio, la democrazia di Israele è ancora un work in progress. La fusione tra religione e Stato ha limitato i diritti delle persone e delle libertà (ad esempio, gli israeliani di fedi diverse non possono giuridicamente sposarsi ), e lo status degli arabi israeliani è un affronto agli ideali democratici. Fortunatamente, molte persone in Israele sono al lavoro per modificare il sistema dall'interno.2. L'Iran è una quasi-democrazia Certamente è ben lontana dall'essere una democrazia piena, ma non è una completa dittatura. La società civile iraniana è attiva e l'Iran ha tutte le potenzialità per diventare una democrazia Nel 1906 è avvenuta la rivoluzione costituzionale. Da allora, gli iraniani hanno imparato due importanti lezioni:a)In primo luogo, la guerra e la democratizzazione non possono essere mixate . : in una situazione di tensione internazionale i primi a pagare sono gli attivisti dei diritti umani e i democratici Per avviare un processo democratico è necessario un periodo di pace e di tranquillità: bombe chirurgiche ,attacchi garantiranno il contrariob) Gli Iraniani non desiderano un'altra rivoluzione: :preferiscono un graduale cambiamento. 3La strada dei poeti e degli scrittori Proprio come l'Iran, Israele attribuisce grande valore alla parola scritta. E 'la penna e immaginazione, più che la spada e i muscoli , che hanno creato Israele le cui radici storiche sono rintracciabili in un libro,4 Gli . Iraniani sono soli e diffidenti Come gli israeliani, gli iraniani si sentono isolati dolorosamente nel Medio Oriente. Essi sono circondati da persone con cui non condividono né la lingua né la religione. L'Iran è a maggioranza sciita e persiana ; mentre i suoi vicini sono arabi e a maggioranza sunnita. Né l'Iran ha molti amici al di là del Medio Oriente. . Gli iraniani hanno subito la colonizzazione e decenni di intervento straniero, per non parlare della guerra contro Saddam Hussein,non considerato dalle Nazioni Unite un pericolo Solo dopo due anni il Consiglio di Sicurezza ha intimato a Saddam il ritiro Per gli iraniani, la lezione è stato chiaro: in caso di pericolo, l'Iran , come Israele, può contare solo su se stessa. 55. Sionismo non è una parolaccia il sionismo è un movimento di liberazione nazionale, sorto per garantire un rifugio sicuro al popolo ebraico, quando Ahmadinejad minaccia di distruggerlo in realtà lo rafforza .6. Solidarietà con i palestinesi, ma nessun desiderio di conflitto con Israele Nonostante la retorica del loro premier contro Israele , gli iraniani sono molto più preoccupati per l'economia e la corruzione dilagante. che dei Palestinesi e di una guerra contro Israele Gli Iraniani ricordano il saccheggio di Alessandro, la conquista araba del settimo secolo ,l'invasione, dei mongoli ,le manovre della CIA nel 1953 contro il governo democraticamente eletto . Ma non vi è alcun ricordo di qualsiasi conflitto con il popolo ebraico, perché non vi è mai stato La maggior parte degli iraniani vorrebbe continuare in questo modo.Haaretz
5  La comunità ebraica in Iran

6  Gli ebrei iraniani? Votano Ahmadinejad - Mondo - Panorama.it


RAPPORTI COMMERCIALI TRA ISRAELE E L' IRAN


1 Acquisti di greggio dall'Iran. E anche dalla Libia, dalla Siria. Lo  dice un ex ministro
Lo dice il Jerusalem Post, e in genere i giornali israeliani sono ben informati: Israele acquista petrolio dal suo principale nemico, l’Iran. E non solo pistacchi come avevano denunciato, con grande scalpore, gli Stati Uniti. 
Pecunia non olet, come si usa dire. E quindi Ahmadinejad può ben sbizzarirsi con il suo ditino alzato a vaticinare la scomparsa dell'entità sionista dalle carte geografiche. Nell'attesa si può combinare qualche buon affare.  Interpellato dal Jerusalem Post l’ex ministro dell’Energia Moshe Shahal ha riconosciuto che, considerate le regole del mercato petrolifero mondiale, il greggio di Teheran potrebbe aver rifornito le raffinerie israeliane in passato e ancora oggi. 
Israele, ha spiegato Shahal, non compra direttamente dai singoli Paesi il petrolio di cui ha bisogno. Ma lo acquista tramite intermediari internazionali, «che lo rivendono sul mercato», per cui è quasi impossibile stabilire l’esatta provenienza del greggio. 
Insomma, occhio non vede, cuore non duole: l’ex ministro ricorda che quando era in carica aveva autorizzato l’acquisto di greggio anche da «Libia e Siria, paesi con cui ovviamente non abbiamo normale relazioni», ha sottolineato, «perchè si trattava di buon greggio, che non veniva direttamente dai governi di quei paesi ma da acquirenti privati sul libero mercato».
E' la globlalizzazione, bellezza.

2   Israele importa (segretamente) petrolio dall'Iran? Allora. Visto che non voglio essere accusata di gossip petrolifero (non stavolta, almeno), eccovi subito le ineccepibili fonti della notizia, in ordine cronologico:

traduzione qui
Continua qui


ISRAELE-IRAN, STORIA DI UN'ALLEANZA DISCRETA

dal 1950 al 1979 l'Iran è stato un importante alleato degli Stati uniti e di Israele, e, fatto singolare, l'alleanza si è protratta per qualche anno dopo la rivoluzione islamica. «Le nostre relazioni con l'Iran erano molto strette e ben radicate nel tessuto sociale dei due popoli», ricordava un alto responsabile israeliano degli affari esteri, all'indomani del ritorno dell'ayatollah Ruhollah Khomeiny nel suo paese, nel 1979. All'epoca, tanto Tel Aviv quanto Washington ritenevano Tehran un interlocutore naturale. Trent'anni dopo, i responsabili politici occidentali, israeliani in testa, considerano l'Iran una minaccia. E se l'inversione di marcia si basasse su un'errata lettura della rivoluzione islamica?
Le Monde Diplomatique, febbraio 2009

Per David Ben Gurion, suo fondatore, lo stato d'Israele faceva parte dell'Europa e non del Medioriente, dove si trovava per mero «accidente geografico. (...) Non abbiamo legami con gli arabi. Il nostro sistema politico, la nostra cultura, le nostre relazioni non sono frutto di questa regione. Tra noi e loro non ci sono affinità politiche, né solidarietà internazionale (1).» D'altra parte, Ben Gurion puntava a convincere Washington che il suo paese rappresentava un baluardo strategico in Medioriente. Ma il presidente americano Dwight Eisenhower (1953-1961) preferì ignorare tali ambizioni, convinto che gli Stati uniti potessero difendere meglio i propri interessi senza l'aiuto israeliano. In risposta allo sgarbo, il numero uno israeliano elaborò il concetto di «alleanze periferiche». Avvicinandosi a paesi quali Iran, Turchia ed Etiopia, egli mirava a controbilanciare il peso degli stati arabi.
Tentava così di rafforzare la capacità dissuasiva del suo paese, di ridurne l'isolamento e di convincere la diplomazia americana che Israele poteva essere un «baluardo». Accanto a questa dottrina, Ben Gurion sviluppò un'altra idea: quella di un'«alleanza delle minoranze». Pensando non solo ai turchi e ai persiani, ma anche agli ebrei, ai kurdi, ai drusi, ai cristiani maroniti del Libano, ecc., sosteneva che la maggioranza della popolazione mediorientale non era araba. Di conseguenza, bisognava incoraggiare il desiderio di autonomia nazionale e creare isole di alleati in un oceano di nazionalismo arabo.
È in tale contesto che nacque la «naturale» alleanza con l'Iran.
Nel suo libro Treacherous Alliance (2), l'accademico Trita Parsi esamina gli aspetti concreti della cooperazione di Israele con il regime dello scià, in particolare l'aiuto militare offerto agli insorti kurdi dell'Iraq dal 1970 al 1975, allo scopo di indebolire questo paese. Israele e Iran condividevano un senso di «superiorità culturale» nei confronti delle nazioni arabe, anche se tali affinità avevano precisi limiti: lo scià, sovrano di un paese musulmano, insisteva affinché le loro relazioni rimanessero riservate, suscitando l'irritazione di Tel Aviv.
Per quanto sorprendente possa sembrare, le relazioni continuarono anche dopo la rivoluzione iraniana, tanto che alcuni responsabili israeliani di destra - in particolare il primo ministro Menahem Begin - arrivarono a tendere la mano ai nuovi dirigenti di Tehran. La loro scelta si giustificava con il pragmatismo dell'ayatollah Khomeiny in politica estera: aggrediti da arabi ostili - la guerra con l'Iraq era cominciata nel settembre 1980 - , gli iraniani si rendevano perfettamente conto della necessità di relazioni amichevoli con Israele e dei vantaggi tecnologici che ne potevano derivare, in particolare in materia di armamenti. Per l'ex responsabile del Mossad, Yossi Alpher, la logica della periferia era così «profondamente radicata» nella mentalità israeliana da essere diventata «istintiva (3)». A tal punto che verso la metà degli anni '80, Israele convinse gli Stati uniti a fornire armi a Tehran, preludio allo scandalo dell'Irangate (4). La vittoria elettorale di Begin e della destra, nel 1977, aveva legittimato una visione più radicale di quella dei laburisti: si affermavano le idee del dirigente sionista revisionista Vladimir Jabotinsky.
Quest'ultimo, in un famoso articolo del 1923 sul «muro di ferro» (5), affermava che nessuna intesa con gli arabi era possibile. «Solo quando non avranno più speranze di liberarsi di noi (...), solo allora (...) rinunceranno ai leader estremisti. [E si affermeranno dei moderati che]... accetteranno concessioni reciproche». Come Jabotinsky, Begin pensava che Israele, per imporsi, non avesse altra scelta che l'egemonia militare - naturalmente con il sostegno americano. Nello stesso periodo, la destra tentava di realizzare la strategia dell'«alleanza delle minoranze» nella regione. Nel 1982, Ariel Sharon scatenò l'invasione del Libano allo scopo di cacciarne l'Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp) e insediare a Beirut un potere maronita - infliggendo così alla Siria una pesante sconfitta.
Strategia pericolosa e calcolo sbagliato, in quanto accelerò il declino dei maroniti, mentre fu un potente stimolo alla mobilitazione sciita nel Sud e nella valle della Bekaa, da cui sarebbe poi nato lo Hezbollah.
Il risveglio delle minoranze si sarebbe presto trasformato in un boomerang contro Israele...
Quale idea di modernità Mentre si consumava il fallimento dell'avventura libanese, le relazioni di Israele con la periferia - perlomeno con l'Iran - andavano peggiorando.
La radicale inversione di tendenza dipendeva da un errore di lettura, peraltro condiviso dagli Stati uniti: la rivoluzione islamica, percepita come uno strappo nella concezione occidentale di un progresso storico dall'arretratezza verso una modernità laica, era considerata un'aberrazione che il tempo avrebbe corretto. Si riteneva che il fondamento ideologico della rivoluzione islamica fosse «debole» e che i «pragmatici» l'avrebbero ricondotta rapidamente sulla retta via del progresso materiale - sola opzione possibile per gli occidentali. Tel Aviv e Washington cercavano perciò affannosamente dei «moderati» e qualche segno di pragmatismo a Tehran... I segnali inviati dai dirigenti iraniani in materia di politica estera non facevano che rafforzare la convinzione che questo «pragmatismo» si sarebbe tradotto a termine in un'alleanza con Israele.
In realtà, i dirigenti iraniani non avvertivano affatto l'esigenza di una «modernità» materialista all'occidentale, mentre erano invece interessati a vedere trionfare una diversa concezione della modernità, attraverso cui i musulmani potessero definire il loro avvenire politico e sociale. Ma, mentre i responsabili al potere a Tehran si opponevano radicalmente all'idea di società portata dagli occidentali, così come ai loro tentativi di diffondere nella regione una cultura laica, materialista ed economicamente liberista - molti altri iraniani consideravano l'approccio arcaico e venato di colonialismo - , ciò non significava affatto che volessero schiacciare Israele. La rivoluzione non aveva ambizioni regionali aggressive. Non minacciava Israele o gli Stati uniti su un piano militare convenzionale.
Nel 1988, alla fine di una guerra caotica e assurda durata otto anni, l'Iran firmò un cessate il fuoco con l'Iraq. Negli anni '90-'92, due avvenimenti ebbero importanti ripercussioni in tutta la regione: il crollo dell'Unione sovietica e la sconfitta di Saddam Hussein durante la prima guerra del Golfo ('90-'91). Così sparirono contemporaneamente la minaccia russa sull'Iran e la minaccia irachena su Israele. Tehran e Tel Aviv erano ormai rivali nella regione, nel momento in cui gli Stati uniti si affermavano come superpotenza unica e incontestabile.
Israele temeva soprattutto di essere considerata un handicap dagli Stati uniti - durante la guerra del Golfo del '90-'91, Washington aveva fatto pressione su Itzhak Shamir perché l'esercito non rispondesse ai lanci di missili iracheni. D'altra parte, la prospettiva di un'egemonia regionale iraniana rappresentava una minaccia per la supremazia militare israeliana; ed inoltre apriva la strada a un pericoloso riavvicinamento tra Tehran e Washington. Nel 1992, quando il governo laburista guidato da Itzhak Rabin, nato da nuove elezioni, decise di abbandonare la strategia della «periferia» e di fare la pace con gli arabi, vi fu un capovolgimento radicale.
«L'Iran deve essere considerato il nemico numero uno», dichiarò al New York Times Alpher, allora consigliere di Rabin. Da quel momento, Israele e i suoi alleati in America cominciarono ad accusare Tehran di cercare di produrre armi nucleari. Shimon Peres avvertì la «comunità internazionale» che nel 1999 l'Iran sarebbe stato in possesso della bomba atomica. Ma vari membri dell'amministrazione Clinton e un certo numero di personalità dell'establishment israeliano restavano scettici. Shlomo Brom, ex ufficiale dei servizi segreti israeliani, spiegò a Parsi, in tono ironico: «Si ricordi che gli iraniani sono sempre a cinque o sette anni dalla bomba. Il tempo passa, ma loro restano sempre a cinque o sette anni dalla bomba (6).» Nel 2008, gli iraniani sono ancora, secondo i servizi segreti americani, «a cinque o sette anni dalla bomba»...
Israele decise quindi di negoziare con Yasser Arafat, molto indebolito dalla guerra del Golfo del 1990-1991. Rabin e Peres scelsero di demonizzare l'Iran per sviare l'attenzione della lobby ebraica americana la quale si sarebbe concentrata sulla minaccia mortale rappresentata da Tehran, invece di prendersela con i leader israeliani che avevano «pranzato col nemico» (l'Olp) e tradito Jabotinsky.
Gli Stati uniti svilupparono una strategia parallela: stimolare il riallineamento pro-occidentale di alcuni stati arabi mobilitati contro i nemici situati alla «periferia» - barbari che attentano ai valori, alle istituzioni e alle libertà della civiltà occidentale, in primo luogo l'Iran. Strategia che ha conosciuto un'accelerazione con la vittoria di George W. Bush, nel novembre 2000.
«Accordo globale» tra Tehran e Washington Il potere americano sarebbe stato lo strumento per «suonare le campane a morte della rivoluzione iraniana», secondo la formula utilizzata da William Kristol, un noto commentatore conservatore, nel maggio 2003. La sconfitta iraniana avrebbe permesso di prendere due piccioni con una fava: indebolire sia il morale di arabi e musulmani che delle forze della resistenza islamista. Gli arabi sarebbero diventati docili, e tutto il Medioriente sarebbe caduto, come pedine di un domino.
Malgrado la cooperazione di Tehran con Washington durante le guerre in Afghanistan (2002) e in Iraq (2003), non sorprende che i tentativi iraniani di arrivare a un «accordo globale» con gli Stati uniti siano stati tutti rifiutati o invalidati da alti esponenti dell'amministrazione Bush. La proposta iraniana del 2003, di aprire negoziati tra i due paesi su tutti i temi - programma nucleare, sostegno ad Hamas e allo Hezbollah, riconoscimento di Israele, ingerenze americane, ecc. - era una riformulazione morbida di una precedente proposta di stabilire un partenariato e iniziare una discussione su tutte le questioni oggetto di discordia. Interpretando l'episodio del 2003 come un segnale che «la pressione funzionava» sull'Iran e che l'occupazione dell'Afghanistan e dell'Iraq aveva spinto Tehran ad allentare i legami con la resistenza e ad accettare Israele, Washington ha commesso un errore e si è chiusa in una visione manichea: i «moderati» della regione contro «l'estremismo» islamista. Uno schema che ha provocato la polarizzazione in due blocchi.
Gli Stati uniti e i loro alleati europei, nel tentativo di piegare la resistenza del mondo musulmano alla loro visione liberista del futuro, hanno suscitato mobilitazioni di massa contro questo progetto.
Hanno così esasperato l'ostilità verso l'Occidente. Le antipatie immaginarie potrebbero diventare reali.
note:
* Ex consigliere speciale di Javier Solana (1999-2003), ex membro della commissione Mitchell nominata dal presidente William Clinton per analizzare le cause della seconda Intifada (2000-2001).

(1) Citato da Avi Shlaïm, «Israel, the great powers, and the Middle East crisis of 1958», Journal of Imperial and Commonwealth History, Londra, maggio 1999.

(2) Trita Parsi, Treacherous Alliance. The Secret Dealings of Israel, Iran, and the US, Yale University Press, New Haven, 2007.
(3) Trita Parsi, op. cit., pag. 91.

(4) Lo scandalo colpirà l'amministrazione Reagan a metà degli anni '80, portando allo scoperto la vendita di armi americane all'Iran e il finanziamento della Contra nicaraguense, entrambi proibiti dal Congresso.

(5) Si può leggerne il testo integrale in Sionismes. Textes fondamentaux, riuniti e presentati da Denis Charbit, Albin Michel, Parigi, 1998.

(6) Trita Parsi, op. cit., pag. 167.
(Traduzione di G. P)
http://www.monde-diplomatique.it/LeMonde-archivio/Febbraio-2009/pagina.php?cosa=0902lm01.02.html

4  Editoriale Haaretz:sanzioni Usa all’Iran coinvolgono società di navigazione Israeliana  sintesi personale
La famiglia di Ofer ha iniziato la sua attività di navigazione marittima ad Haifa durante il periodo del mandato britannico, creando un vero e proprio impero economico. Ora la presunta vendita di una nave  all'Iran ha  creato sconcerto e dovrebbe essere chiarita dai  funzionari israeliani , dal Primo ministro, dal  ministro  della difesa, della finanza e degli affari esteri, dall' intelligence militare  e dal  Mossad .Mentre il  primo ministro Benjamin Netanyahu ritrae l'Iran come una minaccia per la  sopravvivenza di Israele  paragonandola alla Germania nazista, è stato permesso  a una grande società israeliana  di aggirare le sanzioni  e d fare affari con un nemico satanico  .È vero, il business-nave utilizza intermediari  che occultano l'identità dei proprietari, così  Israele,mentre scopre il traffico di armi della  A Karin,della   Victory e di altre navi che operano sulla linea Iran-Hezbollah-Palestina, chiude gli occhi  se vuole fare soldi,  come è avvenuto nella  vendita di armi all'  Iran durante la guerra con l'Iraq. La diffidenza americana è un esito naturale di questa verità fondamentale. La famiglia di Ofer cercherà, con i suoi avvocati e lobbisti  di evitare  le sanzioni a Washington, ma è necessaria un'approfondita indagine governativa per far luce su questa inquietante  vicenda .  The Ofer family will try, with its lawyers and lobbyists, to settle its affairs with the administration in Washington, in a bid to remove the sanctions on the sanction breakers. But the Israeli authorities' defective performance in this affair necessitates a thorough investigation, either by the state comptroller or a subcommittee of the Knesset Foreign Affairs and Defense Committee.Usa, sanzioni a 7 aziende che hanno rapporti con l'Iran: una è ...Iran sanctions on Israeli firm are an embarrassment 

5   L'high-tech israeliano esportato in l'Iran  .  In Israele, come altrove, il denaro non ha odore. Una società high-tech a Tel Aviv ha affermato di aver firmato un contratto per la fornitura di computer per 1 milione di dollari (circa 670 000 euro) con la Camera del Commercio di Teheran Molti israeliani fanno affari in Iran", ha dichiarato Yehoshua Meiri, :un mercato di 250 milioni di dollari. "La Camera di Commercio di Teheran ha immediatamente respinto le dichiarazioni, definendole semplici "voci" diffuse da "i nemici della Repubblica islamica". "Questa cifra di 250 milioni sembra inverosimile", ha dichiarato Dan Catarivas, dirigente sindacae di Israele. Dubito che ci sia un commercio indiretto con l'Iran. " Al contrario, Daniel Rouach non è sorpreso. Ingegnari israeliani, con una seconda cittadinanza hanno lavorato in progetti di infrastrutture in Iran, lasciando i loro passaporti alla frontiera israeliana. "Gli israeliani hanno imparato ad aggirare il boicottaggio . Quando un prodotto è buono, si possono attraversare le frontiere 

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