Buber: il mio sogno per Israele e il sionismo spirituale


Si racconta che Max Nordau una volta si rese davvero conto che in Palestina c’erano gli arabi e, inorridito, andò da Herzl e gli disse: «Io questo non lo sapevo  Commettiamo un’ingiustizia!»  Ora, credo di poter dire: certo, commettiamo ingiustizia. Allo stesso modo in cui l’uomo, in quanto vive, commette ingiustizia  Vivere significa commettere ingiustizia. Respirare, nutrirsi, crescere, tutte le funzioni organiche della vita includono ingiustizia. L’intero senso della vita umana consiste nell’essere posto, momento dopo momento, di fronte alla responsabilità: io non voglio compiere più ingiustizia di quanto devo, per vivere. Dunque, commettiamo ingiustizia. Immaginiamoci di essere noi in Palestina e che altri venissero da noi, allora capirete che cosa significhi  Ma non vogliamo commettere ingiustizia maggiore di quella che dobbiamo commettere per vivere, poiché noi non viviamo affatto per vivere ma per realizzare il nostro compito. Dobbiamo dunque assumerci la responsabilità di tanta ingiustizia quanta è strettamente necessaria. Ciò è molto più difficile del voler essere senza colpa. È più difficile del tenersi lontano dall’ingiustizia. È anche molto più difficile dell’essere irretiti nell’ingiustizia  Il nostro rapporto con gli arabi dovrebbe essere costruito in modo positivo in tutti gli ambiti  Economicamente dobbiamo costruire una solidarietà di interessi: non, come sempre è accaduto, dare assicurazioni di una data solidarietà di interessi, ma in tutti quei momenti in cui bisogna prendere decisioni economiche, avere riguardo per gli interessi del popolo arabo. Questo non è avvenuto abbastanza. Chi conosce la situazione, sa che da questo punto di vista molto si è trascurato  Per quanto concerne la politica interna: si trattava di collegare la necessaria autonomia con la possibile comunità, ovvero ciò che si chiama Stato binazionale. La questione della rappresentanza popolare forma in questo contesto la prima tappa. È una decisione terribilmente difficile, che ci attende da anni, ma noi l’abbiamo evitata. Domanderete se siamo maturi per prendere questa decisione. Credo di sì. Se abbiamo assicurato al popolo arabo di volere insieme a loro una forma di rappresentanza popolare, allora deve esserci data una garanzia per il nostro diritto di esistenza; ciò significa: un parlamento potrà essere fondato soltanto con la volontà dei due popoli sulla base di una Magna Carta, cioè una costituzione garantita dalle istituzioni mondiali a ciò preposte, la quale assicurerà a noi, come agli arabi, il diritto all’esistenza, dunque prima di tutto il diritto all’immigrazione. Vi saranno probabilmente molti che su ciò pensano diversamente. Per me è ovvio che non vi è alcuna altra base di accordo sulla questione del parlamento se non il fatto che noi non possiamo essere assolutamente dominati dalla maggioranza di voti in questioni vitali [...]  Sulla questione della religione: l’islam è una realtà molto più grande di quanto abbiamo solitamente voluto percepire. Riguardo a tale realtà vi è il dovere della conoscenza. Devo confessarvi che mi risulta meno chiara la realtà religiosa dell’ebraismoAPIntendo dire che la popolazione araba mi sembra molto più segnata dalla religione islamica di quanto non lo sia in generale quella ebraica. La sfera religiosa è una questione di cultura  Abbiamo trascurato di conoscere l’islam e di stringere rapporti con le autorità di questa religione. Ho spesso notato in Palestina che le persone che conoscono l’islam vengono amate e onorate dagli arabi. Ma esse sono poche. Per un contatto personale è necessaria prima di tutto la conoscenza della lingua araba. Una comprensione è possibile solo in lingua araba. Per quel che riguarda i contatti sociali, certo, vi sono scambi tra villaggi arabi e villaggi ebraici, anche in forme orientali molto belle. Ma vi sono molto meno veri rapporti tra le due popolazioni nelle città. Meglio nei circoli proletari, ma una reale socialità tra arabi ed ebrei è pur sempre un’eccezione  ciò si collega la questione culturale. Di sicuro non vi è alcuna fusione culturale, ma vi è un accordo culturale con tutto il mondo arabo, uno scambio tra enti educativi, tra valori e creazioni culturali, una reale collaborazione. A tal proposito vorrei dire: la nostra politica è stata troppo poco una politica del territorio,ovvero indirizzata all’apertura, allo sviluppo di tutto il territorio, agli interessi anche della popolazione residente. Credo che se una tale politica del territorio ci fosse stata, sarebbe stata riconoscibile agli arabi e sarebbe cresciuta in una collaborazione tra i due popoli [...]  Dovremmo, nel porci di fronte ad un altro popolo, giudicarlo nel modo in cui noi vogliamo essere giudicati, ovvero non in base ai suoi esemplari peggiori, ma in base ai migliori. Dove si è espressa questa presunzione, lì dobbiamo adottare delle contromisure [...]. Intendo parlare del punto di vista della potenza. Si può anche decidere di fare un patto con il diavolo. Ma il diavolo deve essere intelligente, un diavolo stupido rappresenterebbe una meschinità. Se si tratta di ragionare in termini di potenza, bisogna realmente avere potenza. Come si presenta presso di noi la questione della potenza, ovvero, se lasciamo da parte tutti i luoghi comuni al riguardo  rendete l’Inghilterra, l’ebraismo e il popolo arabo. Credete davvero che tutte le dichiarazioni, tutte le garanzie, tutti gli accordi che sono stati siglati dall’Inghilterra, sarebbero sufficienti affinché essa, in un momento in cui dovesse considerare la potenza del popolo arabo o di un’alleanza di popoli arabi, si determinasse a stare dalla nostra parte? Oppure, se pensate al di là dell’Inghilterra ad un’alleanza di popoli, ritenete veramente – se fosse imposto di scegliere tra Inghilterra o ebraismo – che, in questa contrapposizione di interessi, solo il fatto che l’ebraismo abbia ragione determinerebbe l’alleanza dei popoli a volgersi contro l’Inghilterra? Come si può credere a questa politica dell’illusione  E quanto a noi? Non si può negare che noi rappresentiamo una certa potenza, proprio noi, gli ebrei. La nascita stessa della Dichiarazione Balfour mostra che per l’Inghilterra non è importante soltanto la Palestina, ma anche gli ebrei. Vi sono dunque momenti storici in cui possiamo essere importanti. Ma questi sono momenti straordinari  Tuttavia non si può fondare una politica sul fatto che un momento straordinario dello stesso genere avverrà di nuovo, e potremmo perciò assumere valore e significato. Noi siamo una potenza. Ma non possiamo gonfiare e sbandierare questa potenza in un modo non corrispondente alla sua natura e alla sua estensione. Con la nostra potenza reale portiamo avanti una politica dell’inganno, ma non nel senso che diamo ad intendere di possedere una potenza che in realtà non abbiamo. Ci comportiamo con questa potenza in modo tale che con il tempo si potrebbe dubitare che la possediamo. Il 1914 fu il risultato di una generale politica del bluff. Ma credo che quel tempo ora sia passato  Ci convinciamo di certe cose e cerchiamo di convincere anche il mondo. Siamo assai propensi a crederle ma il mondo invece è sempre meno propenso al riguardo [...]  Dopo millenni di esilio siamo giunti nella situazione di insediarci di nuovo in Palestina. Credo che questo significhi una prova, ed è la stessa cosa se ciò è interpretato in modo religioso. Ma coloro che sanno che cosa intendo mi comprendono. Se anche però interpretato in modo diverso da quello religioso, ciò è comunque una prova storica. Ciò che dobbiamo iniziare in questa situazione terribilmente seria è forse la questione più difficile cui dobbiamo rispondere e dalla cui risposta dipende qualcosa di imprevedibile.
Tag:1948 : brutti ricordi
Articolo tratto dall'Avvenire  del 4-5-08

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