I giovani ebrei contro il razzismo: “Basta lutti e stragi, uguaglianza e libertà per israeliani e palestinesi”
Abbiamo incontrato attiviste e attivisti del Laboratorio ebraico antirazzista. Criticano le politiche di Israele e si mobilitano per la fine dei bombardamenti a Gaza, combattono l’antisemitismo e l’apartheid. “Per ogni civile morto c’è dietro una famiglia che soffre e che si radicalizza, che sia israeliana o palestinese”.
A cura di Valerio Renzi
Daniel è nato e cresciuto a Roma da una famiglia ebraica, è un antropologo. Bruno ha 28 anni, fa il ricercatore e viene anche lui da Roma, la sua però è una famiglia mista: solo la madre è ebrea. Tali è di Genova, ha 25 anni, e sta ancora studiando. Per definire la sua identità religiosa dice "vengo da una famiglia ebraica, e io stessa sono ebrea".
Tutti e tre, con altri ragazze e ragazzi, fanno parte di LəA sigla che sta per Laboratorio ebraico antirazzista. Si sono incontrati nel 2020, spinti dall'urgenza di dire qualcosa come ebrei italiani sul piano di annessione della Cisgiordania da parte di Nethanyahu. Urgenza che si ripresenta in modo ancora più impellente e drammatico oggi, con l'escalation in corso a Gaza. Li abbiamo incontrati a Milano. Con loro abbiamo parlato di Palestina e Israele, di antisemitismo e apartheid, ma soprattutto di come fare a spezzare una spirale di violenza e traumi che sembra senza fine.
Confrontandosi hanno scoperto di avere vissuto esperienze simili, in quella che Tali descrive come "una posizione scomoda" perché nelle comunità ebraica c'è "poco spazio per la critica" delle politiche di Israele. Ma dall'altra parte anche la difficoltà di essere ebrei di sinistra, quindi di attraversare ambienti politici trovandosi spesso a disagio "a causa di forme di antisemitismo che consce o inconsce, non sono sufficientemente elaborate". E sono spesso negate. Da qui la voglia di costruire un punto di vista condiviso, senza rinunciare però a frequentare né la comunità ebraica, né i gruppi della sinistra. "Fanno parte delle nostre vite".
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Oggi di fronte al massacro di civili attuato da Hamas e la punizione collettiva dell'esercito israeliano, è facile perdere la speranza o sentirsi impotenti. Ma la priorità per questi giovani ebrei italiani è "riconoscersi nel dolore dell'altro", spezzare la catena di lutti, anche se ora sembra impossibile. "Cosa provo? Abbiamo perso amici attivisti da entrambe le parti. – spiega Daniel – Innanzitutto c'è questa profonda sofferenza e il senso di sconfitta, perché non si riesce a capire che per ogni civile morto c'è dietro una famiglia che soffre e che si radicalizza ancora di più. Quindi la pace è più lontana. Aumenterà semplicemente il fanatismo da una parte e si rafforzerà l'estrema destra dall'altra".
Di fronte all'intensificarsi del conflitto e al rischio che si allarghi ad altri fronti, prima di tutto in Cisgiordania, è Bruno a spiegare quali sono le ragioni per cui sono pronti a mobilitarsi: "Per noi la priorità è anzitutto la fine della punizione collettiva a cui è sottoposta la popolazione civile di Gaza e l'immediato rilascio degli ostaggi. Poi è necessaria la fine dell'apartheid e dell’occupazione a cui sono sottoposti i palestinesi". E quindi fare pressioni sui governi e le istituzioni internazionali per mettere le parti attorno a un tavolo, imporre delle sanzioni, interrompere la fornitura di armi e gli accordi militari.
Ma il conflitto porta con sé non solo la mobilitazione per la fine dei bombardamenti, ma anche la paura che gli ebrei diventino un obiettivo, per la recrudescenza di sentimenti antisemiti. "Da quando è iniziata la guerra abbiamo visto acuirsi la polarizzazione nel discorso pubblico in Italia e in Europa, alimentata soprattutto dalla retorica dello scontro di civiltà. Una situazione accresce la stigmatizzazione delle comunità ebraiche da un lato, ma anche di quelle islamiche dall’altro”, ragiona Tali. Ci sono stati infatti episodi preoccupanti tanto negli Stati Uniti quanto in Europa, contro entrambe le comunità. Ma attenzione, se l'antisemitismo, come ogni discorso di disumanizzazione dell'avversario, non va sottovalutato, non va neanche strumentalizzato: "Siamo contrari a chi usa l'accusa di antisemitismo per portare avanti campagne politiche di censura di manifestazioni che supportano la causa palestinese. Nel nostro Paese il governo appoggia in modo indiscriminato Israele, ma il governo è composto da forze politiche con un retaggio fascista e antisemita molto forte".
Daniel, Bruno e Tali, così come gli altri, spiegano con grande chiarezza, che si può essere ebrei senza partecipare alla vita della comunità ebraica, o si può partecipare alla vita comunitaria senza sostenere il governo d’Israele.
Daniel sostiene che le comunità ebraiche in Italia siano variegate e eterogenee al loro interno, “così come lo è il nostro gruppo e la nostra partecipazione all'interno delle comunità. Le persone delle comunità ebraiche italiane fanno parte della società civile italiana e quindi rispecchiano in piccolo il dibattito pubblico del nostro Paese. Nel nostro Paese c'è stata una virata verso destra e questa cosa si è riflessa anche nelle comunità” e,.
Ebraismo, istituzioni comunitarie e stato di Israele sono tre insiemi distinti, anche se "tra la diaspora e lo Stato di Israele, è innegabile che ci sia un rapporto. Il legame è dovuto anche solo a parentele o amicizie, nonché al valore simbolico che può rappresentare per alcune persone. Quindi a volte diventa complicato criticare le politiche del governo israeliano, anche perché spesso c'è una relazione acritica tra comunità e governo di Israele". È un disagio che si può vivere tanto nelle istituzioni comunitarie, quanto a livello di socialità, familiare e di amicizia.
"Spesso noi ebrei veniamo interpellati da persone comuni su Israele come se fossimo i responsabili di ciò che avviene lì. Allo stesso tempo, il governo di Israele pretende di parlare a nome di tutti gli ebrei. – spiega Bruno – Noi prendiamo la parola in quanto ebrei, pur non sentendoci responsabili di quello che fa il governo israeliano, ma abbiamo dei legami con Israele. Abbiamo dei legami con gli attivisti in Israele,in Cisgiordania e a Gaza". E per il futuro? Se, finita l’occupazione, parlare di un solo stato multiconfessionale e multietnico sembra lontanissimo, intanto oggi la priorità è affermare "una condizione di giustizia, eguaglianza e di libertà per israeliani e palestinesi. Serve il riconoscimento dell'altro affinché possa esserci una coesistenza sullo stesso territorio". Ma ogni giorno di guerra tutto questo si allontana di un altro passo.
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