AMIRA HASS - LE RESTRIZIONI ISRAELIANE IMPEDISCONO LA RIPARAZIONE DEL SISTEMA IDRICO DI GAZA

 

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  • Amira Hass


  • La guerra di maggio ha danneggiato un terzo delle tubature. Le acque reflue si raccolgono in pozzanghere vicino alle aree residenziali e penetrano nelle falde acquifere sotterranee e parte si riversa in mare.

    Fonte: english version

    Di Amira Hass – 14 luglio 2021 

    Foto di copertina: Un cratere pieno di acqua fognaria ristagna dove una casa è stata distrutta da un attacco aereo israeliano, a Beit Hanoun, maggio. Credito: John Minchillo, AP

    A causa del divieto imposto circa due mesi fa dal Ministro della Difesa Benny Gantz di introdurre materie prime, materiali da costruzione e articoli “non umanitari” nella Striscia di Gaza, la maggior parte dei danni alle sue infrastrutture idriche e fognarie causati dalla guerra di maggio non sono stati riparati.

    Allo stato attuale, è anche impossibile svolgere attività di essenziale manutenzione ordinaria nell’enclave. Gli impianti di desalinizzazione e depurazione dell’acqua funzionano solo parzialmente e sono stati interrotti i progetti di sviluppo ed ampliamento. Questo deterioramento sta avvenendo dopo diversi anni di grandi sforzi da parte dell’Autorità Palestinese per l’Acqua, delle autorità della Striscia e dei paesi donatori per migliorare le infrastrutture.

    “Non solo il cibo è un bisogno umanitario”, afferma Maher al-Najjar, vicedirettore dei Servizi Idrici dei Comuni Costieri di Gaza. “Non c’è niente di più umanitario di una fornitura regolare di acqua potabile, ma non possiamo garantirla, a causa del divieto di importare materie prime di base e materiali da costruzione nella Striscia”.

    Najjar afferma che a causa dei danni alle infrastrutture, il consumo domestico di acqua per persona, per bere, fare il bagno e pulire, è sceso da circa 80 litri al giorno prima del conflitto a 50-60 litri al giorno. La quantità minima giornaliera raccomandata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità è di 100 litri al giorno. Anche la qualità dell’acqua è stata compromessa, con un significativo aumento del livello dei cloruri. Il livello raccomandato dall’OMS è di 250 milligrammi per litro e nella Striscia il livello è ora di 800-1.000 milligrammi per litro invece dei 400-600 milligrammi prima dei combattimenti di maggio. I residenti segnalano un sapore di ruggine e affermano che l’acqua rovina la pelle e i capelli.

    Circa un terzo delle tubature è stato danneggiato nel conflitto più recente e non sono ancora state adeguatamente riparate. Circa un terzo delle acque reflue non viene adeguatamente trattato. Una parte si raccoglie in pozzanghere vicino ai centri abitati e penetra nelle falde acquifere sotterranee, mentre una parte sfocia in mare. Questo pericolo colpisce sia i palestinesi, per molti dei quali fare il bagno in mare è l’unica via di fuga dal caldo estivo, sia gli israeliani, che soffrono anche loro per l’inquinamento dell’acqua marina, dice Najjar.

    Lunedì, il Ministero della Difesa ha annunciato un “allentamento” delle restrizioni per consentire il transito dei prodotti nella Striscia. Ma anche se ciò viene fatto immediatamente, il processo di presentazione delle offerte per l’acquisto dei materiali richiesti e la ricezione di un permesso israeliano è lungo e significa che non ci sarà un rapido miglioramento delle infrastrutture idriche e fognarie. Alcuni dei permessi sono già scaduti e gli appaltatori dovranno presentare nuove richieste. Nella migliore delle ipotesi, i primi elementi necessari arriveranno tra circa un mese.

    Il sistema idrico e fognario di Gaza attualmente manca di circa 5.000 elementi necessari per riparare i gravi danni, nonché per la regolare manutenzione, l’aggiornamento e il completamento dei progetti di sviluppo ed espansione. Gli articoli più urgenti sono le valvole e i tubi dell’acqua e delle fognature, tutti materiali in plastica e metallo. A causa di questa carenza, le offerte che gli appaltatori hanno vinto per svolgere il lavoro sono state congelate e non è possibile avviare una nuova procedura di gara. Durante la pandemia, è stata fornita più acqua in modo che le persone potessero lavarsi le mani più frequentemente. Ora, a causa delle interruzioni idriche, è più difficile mantenere i protocolli di igiene necessari, afferma Najjar.

    L’approvvigionamento idrico nella Striscia, 100 milioni di metri cubi l’anno, proviene da tre fonti: la maggior parte proviene dalla falda acquifera di Gaza, circa il 10% viene acquistato da Israele e circa il 5% è desalinizzato in tre diversi impianti, uno finanziato dall’Europa, uno dal Kuwait e uno dall’USAID. Le quantità di acqua desalinizzata devono essere urgentemente aumentate perché con l’aumento della popolazione nel corso degli anni, si ha un eccesso di estrazione dalla falda acquifera, che porta l’acqua marina a penetrare nelle falde acquifere e provoca il collasso interno del suolo.

    Una famiglia cammina accanto a una striscia scura di liquami non trattati che scorre verso il mare sulla spiaggia di Gaza City, alla fine di maggio. Credito: AP Photo/Felipe Dana

    Prima della guerra, a maggio, è iniziato l’ampliamento di uno degli impianti per aumentare la quantità di acqua desalinizzata di circa un terzo entro la metà del prossimo anno. Ma il progetto è stato interrotto a causa della carenza di materiali da costruzione e perché Israele non ha ancora concesso i visti di ingresso a sette ingegneri turchi che dovrebbero supervisionare il progetto.

    Najjar teme anche che con la mancanza di materiali e pezzi di ricambio, il servizio idrico non sarà in grado di effettuare le riparazioni in tempo, il che comporterebbe un aumento del pericolo di inondazioni e un rischio di crollo degli edifici in inverno.

    Nonostante i miglioramenti degli ultimi anni, oltre il 95% dell’acqua della Striscia non è potabile, quindi viene miscelata con acqua desalinizzata e sottoposta a depurazione. Il regolare funzionamento di tutte le strutture, i pozzi e gli impianti di desalinizzazione e depurazione, è stato interrotto perché i danni causati dal conflitto non potevano essere riparati, e anche per la carenza di pezzi di ricambio, materiali necessari per la regolare manutenzione delle tubazioni, pompe, quadri di sorveglianza ed elettricità.

    A causa delle perdite nelle tubature danneggiate durante i combattimenti, anche se Israele fornisce l’intera quantità di acqua per cui pagano i palestinesi, una percentuale significativa non raggiungerà gli utenti. Gli impianti di desalinizzazione producono solo circa la metà della loro capacità massima. “Inoltre, ogni giorno scopriamo nuovi danni stati causati durante la guerra di cui non sapevamo”, afferma Najjar. “Per esempio, le bombe soniche sganciate da Israele che sono penetrate nel terreno hanno fatto entrare la sabbia nei pozzi. Ora stiamo pompando acqua con la sabbia”.

    Il Servizio Idrico dei Comuni Costieri di Gaza dipende dai pagamenti delle municipalità. A causa dell’alto tasso di povertà, la maggior parte dei residenti non riesce a pagare i propri oneri. Il processo di impoverimento è peggiorato durante la pandemia di COVID-19 ed è stato poi aggravato dai combattimenti. L’azienda idrica non si limita a pagare ai suoi dipendenti la metà dei loro stipendi (e a volte anche meno). Manca anche il denaro necessario per acquistare il carburante per i generatori che funzionano durante le ore in cui non c’è elettricità, circa dalle 8 alle 12 ore al giorno. Gli impianti di depurazione richiedono un funzionamento 24 ore su 24 e il loro parziale arresto giornaliero per mancanza di carburante spiega le grandi quantità di liquami non trattati che si riversano in mare.

    Najjar teme che le organizzazioni internazionali che donano ai palestinesi esiteranno nel continuare a finanziare progetti iniziati prima di maggio e poi congelati. Anche se i valichi di frontiera iniziassero a funzionare oggi come prima della guerra, dice: “Il lavoro per riportare il sistema ad uno stato relativamente migliorato rispetto alle condizioni in cui era prima della guerra, richiederà da quattro a sei mesi.”

    Amira Hass è corrispondente di Haaretz per i territori occupati. Nata a Gerusalemme nel 1956, Amira Hass è entrata a far parte di Haaretz nel 1989, e ricopre la sua posizione attuale dal 1993. In qualità di corrispondente per i territori, ha vissuto tre anni a Gaza, esperienza che ha ispirato il suo acclamato libro “Bere il mare di Gaza”. Dal 1997 vive nella città di Ramallah in Cisgiordania. Amira Hass è anche autrice di altri due libri, entrambi i quali sono raccolte dei suoi articoli.

    Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org


    Le restrizioni israeliane impediscono la riparazione del sistema idrico di Gaza - Invictapalestina
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