Perché Netanyahu l'usa l'antisemitismo per coprire i crimini di guerra israeliani
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L’avevamo scritto quando la stampa mainstream preferiva oscurare la notizia: c’è un giudice a L’Aia. Un giudice che non si lascia intimidire dalla vergognosa accusa che da Tel Aviv viene puntualmente lanciata quando qualcuno “osa” contestare il pugno di ferro utilizzato da Israele nelle guerre di Gaza. Quando si denunciano i crimini di guerra commessi da Tsahal, l’esercito dello Stato ebraico, crimini definiti tali anche dalla Convenzione di Ginevra sulla guerra
Un giudice a L’Aia
. La procuratrice capo della Corte Penale Internazionale dell'Aia (Cpi), Fatou Bensouda, ha annunciato ierii l'apertura di un'indagine "sulla situazione in Palestina". Nella nota diffusa dalla Cpi si legge che l'indagine riguarderà potenziali crimini commessi a partire dal 13 giugno 2014, ossia la data del rapimento e uccisione dei tre adolescenti israeliani che portò poi all'operazione Margine Protettivo a Gaza quell'estate. Secondo le indagini preliminari condotte dalla Corte negli ultimi cinque anni, "esiste una base ragionevole per credere che l'esercito israeliano abbia commesso crimini di guerra". Nello specifico sono elencati i seguenti crimini: attacchi sproporzionati in relazione a tre incidenti specifici; omicidi intenzionali; attacchi intenzionali contro oggetti o persone protette da simboli distintivi della Convenzione di Ginevra. Il documento elenca anche "i crimini di guerra commessi da Hamas e altri gruppi armati palestinesi": nell'ambito del conflitto con Israele si fa riferimento attacchi intenzionali contro civili e all'uso di civili come scudi umani. Sono menzionati anche altri crimini contro la stessa popolazione palestinese: privazione del diritto a un processo equo e regolare; omicidi intenzionali; tortura o trattamento inumano e violazione della dignità personale.
Oltre ai crimini legati all'operazione Margine Protettivo del 2014, l'indagine prenderà in esame anche la reazione israeliana alle "marce della rabbia" palestinesi del 2018 al confine della Striscia di Gaza e la politica degli insediamenti israeliani.
Immediata la reazione d’Israele. Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha bollato la decisione come "puro antisemitismo". Secondo Netanyahu, "la Corte ha deciso che i nostri coraggiosi soldati che combattono contro crudeli terroristi, sono loro stessi terroristi e che quando costruiamo una casa nella nostra eterna capitale, Gerusalemme, è un crimine di guerra".
I palestinesi invece accolgono con favore la decisione della Cpi. Il ministero degli Esteri palestinese in una nota scrive che "si tratta di un passo lungamente atteso che aiuterà lo sforzo incessante della Palestina per ottenere giustizia". Anche Hamas, nonostante potrebbe essere oggetto delle indagini, ha accolto positivamente la decisione: "Le nostre azioni ricadono nell'ambito della resistenza legittima", ha dichiarato il portavoce Hazem Qassem.
"Il fatto stesso che un'organizzazione terroristica omicida come Hamas accolga con favore la decisione, è indice di quanto non abbia alcuna validità morale" ha dichiarato il ministro degli Esteri Gabi Ashkenazi, parlando di "un atto politico di un procuratore alla fine della sua carriera che cerca di stabilire le priorità del suo successore, trasformando il tribunale in uno strumento nelle mani di estremisti". Bensouda terminerà il suo mandato a giugno e in Israele speravano che il suo successore, l'inglese Karim Khan, avrebbe preso in mano la questione.
In un passaggio del comunicato che annuncia l'apertura dell'indagine, Bensouda, quasi a fornire una risposta alla prevedibile critica da parte delle autorità israeliane sull'obiettività della Cpi, scrive che la Corte non sarà mossa "da nessun'altra agenda se non quella di adempiere ai nostri doveri statutari ai sensi dello Statuto di Roma con integrità professionale. Ricordo qui, a titolo di esempio, le accuse mosse sulla condotta delle Forze di Difesa israeliane nel caso della Mavi Marmara, dove, in qualità di procuratore, ho rifiutato di avviare un'indagine in quanto non vi era una base ragionevole procedere".
La decisione di Bensouda fa seguito al pronunciamento della Camera preliminare della Cpi lo scorso 5 febbraio che riconosceva la propria giurisdizione su Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme, nonostante Israele, non avendo ratificato il Trattato di Roma istitutivo della Cpi, non aderisca alla Corte. I palestinesi avevano avviato le procedure che hanno portato alla decisione attuale già nel 2012, quando l'Assemblea Generale dell'Onu riconobbe alla Palestina lo status di "Stato osservatore non membro".
A febbraio, il giudice Peter Kovacs, nella posizione di minoranza, aveva espresso parere contrario sulla questione della giurisdizione basandosi proprio sul fatto che il riconoscimento dell'Assemblea Generale non è vincolante e quindi la Corte esprimeva con quella decisione un parere politico e non legale.
Nel documento che presenta le indagini preliminari, Bensouda scrive che la Corte terrà conto dell'esistenza di procedimenti pendenti aperti dalle autorità giudiziarie israeliane in relazione alle accuse, in conformità con il principio di complementarità, secondo cui la Cpi può intervenire esclusivamente quando gli Stati non vogliano o siano incapaci di investigare ed istituire azioni penali autonomamente. Israele punta sull'autonomia del suo sistema giudiziario per respingere le accuse della Cpi. Ma dovrà ora decidere se collaborare con la Corte, garantendole quindi una legittimità che de jure non le riconosce e rischiando quindi di creare un precedente che, secondo le valutazioni più diffuse, potrebbe rivelarsi controproducente.
Quell’accusa infamante
I premi Nobel per la pace Jimmy Carter, Desmond Tutu, Mairead Maguire. Organizzazioni per i diritti umani come Amnesty International, Human Rights Watch. E l’elenco potrebbe proseguire a lungo. Personalità e organizzazioni che hanno denunciato i crimini commessi a Gaza, e per questo sono stati considerati “antisemiti”.
La memoria torna a quell’estate di sangue del 2014. Ci sono anche sette premi Nobel per la Pace tra i 64 firmatari di una lettera aperta nella quale si chiede che venga applicato, nei confronti di Israele, un embargo internazionale per quanto riguarda la vendita delle armi. La lettera-appella è del 21 luglio 2014. La missiva, sul Guardian, chiede che il provvedimento venga preso per i "crimini di guerra e i possibili crimini contro l'umanità a Gaza". "Israele – si legge nella lettera – ha ancora una volta scatenato tutta la forza del suo esercito contro la popolazione palestinese, in particolare quella della Striscia di Gaza, in un atto disumano e in una illegale aggressione militare. La capacità di Israele di lanciare questi attacchi impunemente deriva in gran parte dalla vasta cooperazione militare internazionale che intrattiene con la complicità dei governi di tutto il mondo. Chiediamo alle Nazioni Unite di attuare immediate misure di embargo militare nei confronti di Israele simili a quelle inflitte al Sudafrica durante l'apartheid".Tra i firmatari dell'appello ci sono anche sette premi Nobel per la Pace: si tratta in particolare di Desmond Tutu, Betty Williams, Federico Mayor Zaragoza, Jody Williams, Adolfo Peres Esquivel, Mairead Maguire e Rigoberto Menchu. Ma non solo: il documento è stato sottoscritto anche da importanti accademici come Noam Chomsky e Rashid Khalidi, dai registi Mike Leigh e Ken Loach, dai musicisti Roger Waters e Brian Eno, dagli scrittori Alice Walker e Caryl Churchill e dai giornalisti John Pilger e Chris Hedges. Tra i firmatari, inoltre, ci sono anche due accademici israeliani: Ilan Pappe e Nurit Peled.
Quell’intervista a Tutu
Una vita dalla parte dei più deboli quella di Desmond Tutu, premio Nobel per la Pace 1984, assieme a Nelson Mandela, per la sua lotta contro il regime dell’apartheid. Primo arcivescovo nero di Città del Capo, tra gli altri riconoscimenti internazionali ha ricevuto il premio Albert Schweitzer per l’Umanitarismo nel 1986; il premio “Pacem in Terris” nel 1987; il premio per la Pace di Sydney nel 1999; il premio per la Pace Gandhi nel 2007; la Medaglia presidenziale per la Libertà (Usa) nel 2009 e il premio Templeton nel 2013. Tutu è da sempre sostenitore del diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese.
Di seguito alcuni passaggi di una intervista che Tutu concesse a chi scrive, pubblicata su Left il 16 gennaio 2015. Sei anni dopo, mantiene una drammatica attualità.
Per le sue prese di posizioni a sostegno dei diritti del popolo palestinese, Lei è ritenuto dai falchi israeliani un nemico dello Stato ebraico.
Trovo profondamente ingiusta questa accusa che provoca in me un sentimento di dolore. Per mia fortuna, posso annoverare tra i miei più cari amici persone di fede ebraica. E così vale per tanti cittadini israeliani. Io non ho mai messo in discussione il diritto di Israele a vivere all’interno di frontiere sicure. Ma questo non giustifica ciò che Israele ha fatto e continua a fare a un altro popolo per garantire la propria esistenza. Le mie visite in Terrasanta sono state per me un viaggio nel passato, un doloroso viaggio nella memoria, nel dolore. Ha riaperto antiche ferite. Nell’umiliazione dei palestinesi ai check point ho rivisto ciò che noi neri provavamo in Sudafrica quando un ufficiale ti impediva di passare. Un’umiliazione sistematica, quella praticata da membri delle forze di sicurezza israeliane, che non risparmia neanche le donne e i bambini. Ho visto madri pregare inutilmente per potersi recare in un villaggio vicino per poter assistere gli anziani genitori impossibilitati a muoversi. Quei check point, assieme al Muro, isolano villaggi, spezzano comunità; quei check point sono l’espressione di un dominio che segna la quotidianità di decine di migliaia di palestinesi. Li prostra, li umilia. Essi mi riportano indietro nel tempo, al Sudafrica dell’apartheid. Ai miei amici israeliani ed ebrei non mi stancherò di ripetere che Israele non potrà mai ottenere la sicurezza attraverso le recinzioni, i muri, i fucili. La sicurezza potrà essere realizzata solo quando i diritti umani di tutti saranno riconosciuti e rispettati. È una lezione della storia che viene dal mio Paese, il Sudafrica.
Le autorità israeliane ribatterebbero che loro esercitano il diritto di difesa…
In passato, anche recente, ho condannato chi in Palestina è responsabili dei lanci di missili e razzi su Israele. Costoro non fanno altro che alimentare il fuoco dell’odio e rafforzare gli estremisti che usano strumentalmente la causa palestinese per propagandare odio e seminare terrore. Io sono contro ogni forma di violenza. Ma occorre essere chiari, il popolo di Palestina ha tutto il diritto di lottare per la propria dignità e libertà. Penso alle sofferenze inflitte alla popolazione di Gaza, non solo con le armi ma anche con l’embargo che dura ormai da anni, una punizione collettiva contraria non solo al Diritto umanitario ma anche alla Convenzione di Ginevra. Penso al Muro in Cisgiordania, alle terre espropriate ai palestinesi per costruire insediamenti o ampliare il Muro. Lo Stato d’Israele agisce come se non esistesse un domani. Ma non esiste una sicurezza fondata sulla sofferenza inflitta quotidianamente a un altro popolo”
E’ “antisemita” l’eroe della lotta all’apartheid? Ed è “antisemita” Richard Falk, professore emerito di diritto internazionale alla Princeton University e dal 2008 al 2014 relatore speciale per le Nazioni unite sulla questione palestinese.
Ecco cosa dice a Chiara Cruciani in una bella intervista su Il Manifesto del 22 maggio 2018: “Il diritto penale internazionale è sempre stato un sistema imperfetto perché non si applica agli Stati che godono di un certo livello di impunità. Dopo la seconda guerra mondiale, i tribunali di Norimberga e Tokyo giudicarono solo i crimini commessi dagli sconfitti, non quelli commessi dai vincitori, penso alle atomiche su Hiroshima e Nagasaki. Quei crimini non furono perseguiti, ma «legalizzati»: l’atomica si è tradotta nella proliferazione di armi nucleari. La struttura del diritto penale internazionale si basa su un doppio standard che si esprime sul piano istituzionale nel potere di veto riconosciuto ai vincitori della guerra, veto che li esenta dall’obbligo di rispondere delle proprie azioni e che si estende ai paesi amici. Possiamo chiederci da cosa derivi l’impunità israeliana attuale: da una parte dai paesi arabi preoccupati da quella che percepiscono come la minaccia iraniana e che li spinge a normalizzare i rapporti con Israele; dall’altra dall’amministrazione Usa che sta ringraziando i sostenitori interni della campagna di Trump. Su questi altari si sacrifica la visione degli ebrei liberali che vogliono una soluzione politica.”.
Per aver sostenuto questo, il professor Falck è “antisemita”. Per giunta un ebreo “antisemita”?
“I palestinesi innocenti sono trattati come animali, con la presunzione che sono colpevoli di qualche crimine. Perché hanno votato per dei candidati membri di Hamas, il Governo degli Stati Uniti è diventato la forza-guida dietro lo schema apparentemente efficace di privare la società civile dei fondi, dell'accesso al mondo esterno e ai bisogni primari... Le bombe e i missili israeliani colpiscono la zona regolarmente, provocando un alto numero di vittime sia tra i militanti che tra le donne e i bambini innocenti. Prima dell'uccisione, di cui si è molto parlato, di una donna e dei suoi quattro bambini la scorsa settimana, questa situazione era stata illustrata da un rapporto di B'Tselem, la principale organizzazione israeliana per i diritti umani, secondo la quale sono stati uccisi 106 palestinesi tra il 27 Febbraio e il 3 Marzo. Cinquantaquattro di essi erano civili, e 25 avevano meno di 18 anni...”. E’ un brano di un articolo del 12 maggio 2008 scritto da Jimmy Carter. Anche l’ex presidente Usa, nonché premio Nobel, assieme all’allora primo ministro Menachem Begin e al presidente egiziano Anwar al-Sadat, per gli accordi di Camp David (firmati il 26 marzo 1979) che sancirono la pace tra Egitto e Israele, anche lui è un “antisemita”?
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