Alberto Negri Per i gasdotti passa la guerra, non la pace

 L'Italia delle due sponde


Per i gasdotti passa la guerra, non la pace | il manifesto

La battaglia per i gasdotti e le pipeline è una costante della storia europea e mediorientale. Anche quando vengono pomposamente chiamati «gasdotti della pace» come l’East Med – per il quale l’altro ieri è stata firmata l’alleanza del Cairo in funzione anti-turca – sono in realtà portatori di conflitto e in generale, soprattutto in questa fase, hanno come obiettivo tagliare le importazioni dalla Russia, il maggiore fornitore europeo di gas.

Questo chiedono gli americani – facendo leva sui loro satelliti dell’Est – che intendono far saltare il raddoppio del Nord Stream 2 tra Mosca e la Germania: ancora prima della crisi in Bielorussa e del caso Navalny, il 7 agosto i senatori repubblicani incoraggiavano l’amministrazione Trump a imporre sanzioni alle 120 società europee che lavorano alla pipeline in fase di completamento.

Un segnale esplicito di come indirizzare gli eventi.

Dove gli Stati uniti non arrivano con le sanzioni, come nel caso dell’Iran, ci provano con la destabilizzazione come è avvenuto in Siria. Washington ha come obiettivo quello di controllare le rotte energetiche, una delle principali leve della politica estera insieme alla vendita di armi. Anche a questo serve la cosiddetta «pace» tra Israele e le monarchie sunnite: imporre un nuovo guardiano del Golfo che con gli alleati arabi tenga a bada il regime sciita.

Il caso siriano spiega, almeno in parte, perché lì c’è stata e continua a esserci una guerra. Si parte da lontano. Nel 1947 l’americana Bechtel e la Saudi Aramco decisero di realizzare una pipeline dai pozzi sauditi alle sponde del Mediterraneo. Doveva arrivare a Haifa ma il piano fu accantonato dopo la dichiarazione di indipendenza di Israele.

Si scelse così un percorso alternativo dalle colline siriane del Golan e dal Libano, fino a Sidone. Il parlamento siriano però chiese più tempo per esaminare la questione e la risposta fu un colpo di stato condotto dal colonnello Zaim con l’aiuto dell’agente della Cia Stephen Meade che rovesciò un governo democraticamente eletto.

Quattro anni dopo, nel 1953, un altro colpo di stato anglo-americano detronizzava in Iran il leader Mossadeq che aveva nazionalizzato il petrolio. Architetto del golpe fu Kermit Roosevelt jr, nipote del presidente Theodore Roosevelt.

Robert Kennedy junior, anche lui nipote di un presidente, John Kennedy, ha spiegato qualche tempo fa in un articolo per la rivista Politico le vere cause della guerra in Siria. La radice del conflitto armato nasce in gran parte dal rifiuto del presidente siriano Assad di consentire il passaggio di un gasdotto dal Qatar verso l’Europa.

«La decisione americana di organizzare una campagna contro Assad – afferma Kennedy – non è iniziata a seguito delle proteste pacifiche della primavera araba del 2011, ma nel 2009, quando il Qatar si è offerto di costruire un gasdotto da 10 miliardi di euro che avrebbe dovuto attraversare Arabia saudita, Giordania, Siria e Turchia».

Questo progetto avrebbe fatto sì che i paesi del Golfo guadagnassero un vantaggio decisivo sui mercati diventando fornitori europei in concorrenza con Mosca. Assad nel 2009 rifiutò dicendo che la pipeline avrebbe interferito con gli interessi del suo alleato russo, poi intervenuto in Siria nel 2015 cambiando le sorti della guerra. Ecco perché i russi non se andranno mai dalla Siria come pure gli americani che hanno appena rafforzato il loro presidio militare ai pozzi petroliferi siriani.

Dopo il «gran rifiuto» al Qatar nel 2009, nel 2010 Assad iniziò a trattare con l’Iran, suo alleato storico, per un gasdotto destinato ad arrivare in Libano passando dall’Iraq: la Repubblica islamica, se questo progetto fosse mai stato attuato, sarebbe diventato uno dei più grandi fornitori di gas verso l’Europa.

Fu questo il motivo per cui i servizi americani, assieme Qatar e Arabia saudita, iniziarono a finanziare l’opposizione siriana e a preparare una rivolta per rovesciare il regime baathista. Come dimostrano le ultime sanzioni imposte a Teheran da Trump e Pompeo, in palese violazione degli accordi Onu e del trattato del 2015 stracciato da Washington, l’Iran, che pure ha le seconde riserve mondiali di gas, non può essere trattato come un Paese «normale».

Piuttosto si fa una guerra economica o militare: l’anno della pandemia è iniziato con l’uccisione il 3 gennaio da parte americana del generale iraniano Qassem Soleimani e si conclude, in piena campagna elettorale, con altre minacce Usa.

E veniamo all’ultimo capitolo di cui scriveva ieri Michele Giorgio sul manifesto: l’East Mediterranean Gas Forum (Emgf) che include Italia, Egitto, Grecia, Cipro, Israele e Anp palestinese, a cui partecipano anche Eni, Saipem e Snam.

Si tratta di concretizzare un’alleanza militare già esistente tra Israele, Grecia, Cipro ed Egitto, sostenuta dalla Francia, contro la Turchia che con un patto parallelo con la Libia intende prendersi, con le buone o con le cattive, la sua quota di gas e di «Patria Blu».

Anche qui, come in Libia, la Nato si disgrega in fronti opposti. Anche qui c’è un gasdotto, l’Eastmed, che dovrebbe portare le risorse egiziane e degli altri paesi verso l’Europa. I vertici Eni dicono che costa troppo. Ma se piace agli americani e a Israele si farà. Tanto la bolletta la paghiamo noi.

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