Alberto Negri: articoli sulla Libia
Sembriamo dei sonnambuli. Inutile girarci intorno: qual è l’interesse dell’Italia in tutta questa storia? Nessuno ce lo sa dire perchè di tutto quello che sta accadendo non siamo stati neppure informati pur avendo militari in Iraq, Libano, Afghanistan. Inglesi e francesi, molto probabilmente, all’ultimo minuto sono stati avvisati dagli Usa che stavano per colpire il generale iraniano Qassem Soleimani in Iraq. Noi che laggiù abbiamo più di 900 soldati, niente: e ora ci troviamo nel mezzo di un conflitto senza sapere cosa fare. Che il presidente della Repubblica, visto che è capo supremo delle Forze armate, convochi il consiglio di difesa per prendere delle decisioni o almeno esaminare la situazione.
Abbiamo due fronti, quello libico e quello iraniano ma non abbiamo alcuna idea di cosa fare se non compiere giri turistici per le capitali del Mediterraneo. Che siano definiti gli interessi nazionali - politici, energetici ed economici - e vengano resi noti anche a una popolazione, quella italiana, che pensa di vivere in un mondo di frutta candita. Altrimenti anche tenere dei soldati in Iraq diventa un gesto criminale se non è accompagnato da un minimo di consapevolezza. Senza contare che in Libia, a Tripoli, dove abbiamo foraggiato per anni governo e fazioni, adesso comanda Erdogan, un signore che mette in pericolo i nostri rifornimenti energetici nel Mediterraneo o che comunque ne decide adesso le sorti. Ma stiamo scherzando?
Per il resto dovremmo avere capito che alla leadership americana attuale - costituita da Trump e da una cerchia che obbedisce volentieri agli interessi americani in Israele e Arabia Saudita - di noi come europei importa poco o nulla: non siamo abbastanza “affidabili” e soprattutto abbiamo un ruolo secondario nella grande partita che gli Usa si giocano con la Cina e la Russia. Tutto quanto sta accadendo era scontato. A un atto di guerra è seguito, come logico, un altro atto di guerra per ora solo limitato all’Iraq dove gli americani hanno assassinato il generale iraniano Qassem Soleimani. Non poteva essere diversamente e Trump lo sapeva perfettamente. Di fronte a questa ovvia considerazione deriva una domanda: il presidente americano ha una strategia? Visti i precedenti c’è da dubitarne.
Più che una strategia Trump ha davanti un obiettivo: l’unica cosa che ha in mente da quando è salito alla presidenza è eliminare il regime iraniano su pressione di Israele e dell’Arabia Saudita. Ha stracciato l’accordo sul nucleare del 2015 voluto da Obama, imposto sanzioni giugulatorie a Teheran per soffocarne l’economia, ha riconosciuto l’annessione israeliana del Golan e di Gerusalemme, stretto la mano al principe assassino Mohammed bin Salman, che è il suo maggiore acquirente di armi, e poi ha provocato Teheran uccidendo il vero numero due di Teheran
La situazione è semplice: o comincia la quarta guerra del Golfo mentre è già in corso anche quella in Libia oppure gli americani non replicano ai missili iraniani e si tenta di frenare l’escalation. Ieri, questa è la cosa da sottolineare, non hanno risposto subito all’attacco missilistico e le difese delle basi Usa non sono scattate. In realtà anche se finisse qui sarebbe soltanto una tregua per riprendere le ostilità alla prima occasione. Ormai Trump ha aperto un altro vaso di Pandora come fece George Bush junior attaccando l’Iraq di Saddam Hussein nel 2003 sulla base della menzogna che gli iracheni possedevano armi di distruzione di massa.
Una cosa è certa: a Trump non importa niente degli iraniani e del Medio Oriente, se non avere sotto controllo la situazione giocando gli uni contro gli altri e vedere come usarli nelle trattative con Mosca o Pechino. Ma soprattutto disprezza anche gli europei: ci considera inutili e lo ha detto chiaramente. Un giorno ha dichiarato_ mentre faceva massacrare da Erdogan i suoi alleati curdi siriani_ che “tanto gli Stati Uniti sono a 10mila chilometri di distanza”. E voi state ancora a pensare di essere alleati di Washington? Svegliatevi.
Alberto Negri -La Libia spartita e declassata. E noi con lei
L’aria che tira è quella della spartizione tra Tripolitania e Cirenaica. Erdogan e Putin si fronteggiano e negoziano. La Libia era la nostra torta di frutta candita ma da tempo le fette le decidono gli altri e gli alleati ci snobbano.
L’aria che tira è quella della spartizione tra Tripolitania e Cirenaica. A puntate, con una riunione internazionale dopo l’altra, si va verso una sorta di “declassamento” di fatto del riconoscimento dell’Onu assegnato al governo di Tripoli per aprire la strada, al massimo, a qualche labile soluzione confederale dove il nocciolo vero della questione è la divisione delle risorse petrolifere.
Per evitare l’escalation del conflitto non ci sono altre soluzioni: cosa che era già evidente nel 2011 quando il 19 marzo Francia, Gran Bretagna e Usa attaccarono Gheddafi per sostenere i ribelli di Bengasi. Tutti sapevano già allora che le divisioni tribali ma anche regionali e locali avrebbero avuto un ruolo decisivo perché lo Stato libico esisteva da 40 anni solo nella persona di Gheddafi e nella sua cerchia di potere, non in una realtà amministrativa e militare tenuta dal raìs in una condizione quanto mai labile per il timore che si costituisse qualche realtà nazionale a lui ostile. E infatti una volta che la Francia di Sarkozy – a sua volta foraggiato da Gheddafi – ha infiltrato la cerchia di potere nei mesi precedenti la rivolta lo stato libico ha cominciato a liquefarsi e non è mai più riaffiorato, preda delle divisioni interne, del radicalismo islamico e delle influenze internazionali.
Come avviene per ogni Stato “fallito” ma potenzialmente assai ricco che produce gas e petrolio gli appetiti interni ed esterni sono forti, qui come in Iraq o in Yemen. In più la vastissima Libia è un incrocio nevralgico tra Mediterraneo e Africa che fa troppo gola alle potenze coinvolte nella regione. Tutto dunque è la Libia, tranne una cosa: un porto sicuro per i migranti come hanno cercato di illudersi e illudere i nostri governi. Anche in questo abbiamo sbagliato di grosso perdendo di vista la vera partita geopolitica.
Decideranno le battaglie sul campo come quella in corso a Sirte tra il generale Khalifa Haftar, il governo di Tripoli e la città-stato di Misurata, dove ci sono oltre 300 militari italiani a guardia di un ospedale. Ma a fare la differenza saranno soprattutto i due protagonisti delle vicende mediterranee, Putin ed Erdogan, che oggi si incontrano ad Ankara a inaugurare il Turkish Stream ma a parlare anche di molto altro, dalla Libia alla Siria, alla tensione Usa-Iran. Erdogan, alleato della Nato ormai fuori controllo, ha inviato le truppe a Tripoli e mercenari jihadisti per aiutare Sarraj e i Fratelli Musulmani, Putin appoggia con i suoi mercenari Haftar, insieme a Egitto, Emirati, Arabia Saudita, con Francia e Stati Uniti che esibiscono un atteggiamento sempre assai ambiguo ma di fatto più favorevole al generale che a Tripoli. Dalla parte di Haftar, a parte Putin, ci sono i maggiori acquirenti di armi di Washington come sauditi ed emiratini, alleati tra l’altro di Usa e Israele contro l’Iran degli ayatollah.
L’Italia non sta in mezzo ma sotto. Ufficialmente è con Tripoli ma sta cercando di riposizionarsi intensificando i rapporti con Haftar incontrato da Di Maio a dicembre e che dovrebbe tornare presto a Roma. L’Italia sta sotto perché i suoi alleati occidentali hanno turlupinato il governo Berlusconi nel 2011 quando attaccarono Gheddafi e la spinsero, su decisione dell’ex presidente Napolitano, a unirsi ai raid della Nato. Sta sotto perché deve salvare capra e cavoli, in particolare l’Eni, che è ancora la maggiore azienda libica, gestisce il gasdotto Green Stream e fornisce il 70% dell’elettricità al Paese, insieme a quelle commesse che il defunto raìs ci aveva promesso (50 miliardi di euro). La Libia era la nostra torta di frutta candita ma da tempo le fette le decidono gli altri.
Un decennio fa nella tenda di Gheddafi il raìs distribuì onorificenze e medaglie a Giulio Andreotti, Lamberto Dini, all’ex ministro Giuseppe Pisanu, a Vittorio Sgarbi, al premier Berlusconi, a Frattini, Prodi e D’Alema. Aveva in pratica premiato tutta la classe dirigente della Repubblica che di lì a poco poi lo avrebbe abbandonato. L’attuale ministro degli Esteri italiano Di Maio, ieri alla riunione Ue sulla Libia a Bruxelles e oggi al Cairo con Francia Grecia e Cipro, invece deve stare attento a non fare gaffe. Così prima di incontrare il fronte pro-Haftar e anti-turco vedrà il ministro degli Esteri di Ankara Mevlut Cavusoglu.
Sulla Libia non abbiamo più nessuna leva, non piacciamo troppo ad Haftar e neppure a Sarraj che ormai parla solo con Erdogan. Per questo stiamo sotto botta: è finita da un pezzo per noi l’era dei ricchi premi e cotillons, quelli li dava solo il raìs.
Qual è l’interesse dell’Italia in tutta questa sto
L’aria che tira è quella della spartizione tra Tripolitania e Cirenaica. A puntate, con una riunione internazionale dopo l’altra, si va verso una sorta di “declassamento” di fatto del riconoscimento dell’Onu assegnato al governo di Tripoli per aprire la strada, al massimo, a qualche labil..Alberto Negri -L’Italia si tiri fuori dalle guerre altrui
3 Alberto Negri -L’Italia si tiri fuori dalle guerre altrui
Se si preparano nuove guerre dobbiamo restarne assolutamente fuori come ha fatto la Germania in questi anni. Nel 2011 l’Italia ha bombardato Gheddafi, il suo maggiore alleato nel Mediterraneo e non dobbiamo ripetere lo stesso errore
E’ cominciata l’era della barbarie e ci dobbiamo preparare alla svelta. Come siamo arrivati sull’orlo di una guerra in Medio Oriente e di un’altra in Libia? E’ vero che come media-bassa potenza l’Italia può fare poco ma ha almeno il dovere di capire quanto succede intorno.
In Medio Oriente Trump, sotto impeachment e in campagna elettorale, ha preso alcune decisioni fuori dalla legalità internazionale, dal buon senso politico e ultimamente anche contro gli stessi principi morali dell’Occidente. La stessa amministrazione Usa appare umiliata perché non si sa più cosa contino dipartimento di Stato e Pentagono dove si sono succeduti ministri e funzionari a raffica, silurati appena eccepivano sulle opinioni dell’omone.
1) Spinto da Israele e dall’Arabia saudita, Trump ha stracciato l’accordo sul nucleare del 2015 con l’Iran imponendo sanzioni che hanno strangolato Teheran e impedito a tutti di avere rapporti economici con gli iraniani. E’ inutile lamentarsi se Teheran punta all’atomica: in Medio Oriente Israele ha 200 testate nucleari e al contrario dell’Iran non ha mai firmato nessun accordo di non proliferazione (come Pakistan e India) L’Italia con le sanzioni ha perso in Iran 30 miliardi di euro di commesse: Teheran non è un nostro nemico, tutt’altro. 2) Trump ha deciso di riconoscere l’annessione israeliana del Golan e di Gerusalemme contro ogni risoluzione dell’Onu e si è detto pronto anche a riconoscere l’annessione della Cisgiordania. I palestinesi forse non sono più di moda ma almeno noi evitiamo di fare i maramaldi 3) Trump ha ritirato le truppe dal Nord della Siria lasciando i curdi siriani, alleati contro l’Isis, al massacro di Erdogan senza neppure avvertire la Nato. Una mossa vergognosa cui l’Europa non ha vergognosamente risposto. 4) Trump ha colpito il generale iraniano Qassem Soleimani violando la sovranità dell’Iraq con un atto di terrorismo internazionale che è una vera e propria dichiarazione di guerra 5) Trump minaccia di colpire anche i siti culturali iraniani, una dichiarazione che non si è mai sentita da nessun leader occidentale 6) Però mantiene ottimi rapporti con il principe saudita Mohammed bin Salman che la stessa Cia ha indicato come mandante della tortura e dell’assassinio del giornalista Jamal Khashoggi
La sua idea è quella di farla finita con gli stati fuorilegge ma 1) Negozia con il leader nordcoreano Kim Jong un che l’arma nucleare l’ha già 2) Tratta con i talebani in Afghanistan ma non con l’Iran.
Qual è la sua idea di fondo, semmai ne avesse una? Disimpegnare gli Stati Uniti dalle guerre in Medio Oriente affidandosi a Israele e all’Arabia Saudita ma riservandosi di colpire chiunque non sia d’accordo con lui.
Quali sono gli effetti? 1) Con il ritiro dalla Siria del Nord ha concesso a Erdogan, che acquista armi dai russi pur essendo dentro la Nato, di fare quello che vuole e infatti il rais turco ha spedito truppe in Libia violando le risoluzioni Onu sull’embargo di armi. 2) In Iraq il palamento chiede il ritiro delle truppe internazionali e americane con il risultato di indebolire le posizioni strategiche americane e occidentali. Se l’Iran ha esteso la sua influenza nella regione è anche per gli errori degli americani a partire dalla guerra del 2003 contro Saddam 3) In Libia ha lasciato che le vere decisioni sul Paese vengano prese da Putin ed Erdogan che si incontreranno domani ad Ankara.
Quali sono le idee di fondo di Trump? 1) Che gli europei sono alleati inaffidabili, che non pagano a sufficienza per la loro sicurezza ed quindi è venuto il momento di abbandonarli al loro destino minacciando dazi e sanzioni se si ribellano all’ordine economico americano e fanno affari con la Cina 2) Che nel mondo arabo e musulmano sono amici soltanto gli stati che comprano armi dagli Usa, quindi Arabia Saudita, Emirati ed Egitto, gli altri devono andare in malora.
Cosa deve fare l’Italia? 1) Ragionare su un ritiro ordinato dall’Iraq e dall’Afghanistan in linea con il rispetto degli accordi presi e la legalità internazionale 2) Dichiarare la propria neutralità o equidistanza sulla Libia, come fa la Germania del resto, perché c’è un governo riconosciuto dall’Onu a Tripoli ma che nessuno vuole. Sono contrari: Russia, Egitto, Emirati, Arabia Saudita ma anche Usa e Francia che fanno continuamente il doppio gioco appoggiando se occorre il general Khalifa Haftar. 3) Tenere sotto pressione gli Usa per la loro attività nella basi di Sigonella e Niscemi per evitare di diventare i bersagli della mosse avventate di Trump. Lui stesso ha dichiarato che gli “Stati Uniti sono a 10mila chilometri di distanza quindi non ne sono toccati”. Noi purtroppo dobbiamo tenere conto della vicinanza ai fronti di guerra.
Se si preparano nuove guerre dobbiamo restarne assolutamente fuori come ha fatto la Germania in questi anni. Nel 2011 l’Italia ha bombardato Gheddafi, il suo maggiore alleato nel Mediterraneo e non dobbiamo ripetere lo stesso errore. E ora non resta che sperare nella buona fortuna che talvolta, non sempre, aiuta la gente onesta.
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