Yotam Berger: Israele si assicurò che gli arabi non potessero tornare ai loro villaggi
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Una raccolta di documenti d’archivio rivela come Israele abbia impedito agli Arabi di tornare nei villaggi che avevano lasciato nel 1948, radendoli al suolo e piantando fitte foreste.
Immagine di copertina: Il Primo Ministro Levi Eshkol, il Capo di Stato Maggiore Yitzhak Rabin e l’aiutante di Eshkol, Isser Harel, in visita nel Negev, 1965. Credit: Moshe Milner / GPO
Secondo documenti di archivio recentemente desecretati , nel 1966 Israele tolse il suo controllo militare sulla comunità araba solo dopo essersi accertato che i suoi membri non potessero tornare nei villaggi da cui erano fuggiti o da cui erano stati espulsi.
I documenti rivelano sia le considerazioni alla base dell’istituzione del governo militare 18 anni prima, sia le ragioni per smantellarlo e revocare le severe restrizioni imposte ai cittadini arabi del Nord, del Negev e del cosiddetto “Triangolo dei Locali” nel centro di Israele .
Questi documenti sono stati resi pubblici a seguito di una campagna dell’Istituto Akevot, che studia il conflitto israelo-palestinese.
Dopo la Guerra d’Indipendenza del 1948, lo Stato impose un governo militare agli Arabi che vivevano in tutto il Paese ovvero, come affermato dai ricercatori della ONG, a circa l’85% di quella comunità. Gli Arabi in questione erano soggetti all’autorità di un comandante militare che poteva limitare la loro libertà di movimento, dichiarare le zone aree chiuse, o imporre che gli abitanti potessero recarsi in determinati luoghi solo con il suo permesso scritto.
I documenti recentemente rivelati descrivono i modi in cui Israele impedì agli Arabi di tornare nei villaggi che avevano lasciato nel 1948, anche dopo che le restrizioni furono revocate. Il metodo principale: creare fitti boschi all’interno e intorno a queste città.
Secondo un documento, nel corso di una riunione tenutasi nel novembre 1965 nell’ufficio di Shmuel Toledano, consigliere del Primo Ministro sugli Affari Arabi, si discusse dei villaggi che erano stati abbandonati e che Israele non voleva fossero ripopolati. Per garantire ciò, lo stato incaricò il Fondo Nazionale Ebraico di piantare alberi al loro interno e tutt’intorno.
Tra le altre cose, il documento afferma che “le terre appartenenti ai suddetti villaggi sono state date a un custode in quanto proprietà senza residenti” e che “la maggior parte è stata affittata a famiglie ebraiche per coltivarvi campi e uliveti.” Alcune proprietà, aggiunge, sono state subaffittate.
Nell’incontro nell’ufficio di Toledano, fu spiegato che queste terre erano state dichiarate zone militari chiuse, e che una volta che gli edifici che vi sorgevano fossero stati rasi al suolo, la terra parcellizzata, rimboschita e soggetta a un’adeguata supervisione, la loro definizione come zona militare chiusa avrebbe potuto essere cancellata.
Un’altra discussione sullo stesso argomento si svolse il 3 aprile 1966, questa volta presso l’ufficio del Ministro della Difesa, Levi Eshkol, che era anche il Primo Ministro in carica; i verbali di questo incontro furono classificati come top secret. I partecipanti includevano: Toledano; Isser Harel in qualità di consigliere speciale del Primo Ministro; l’avvocato generale militare Meir Shamgar, che in seguito sarebbe diventato Presidente della Corte Suprema e rappresentanti del servizio di sicurezza Shin Bet e della polizia israeliana.
La registrazione di quell’incontro, pubblicata recentemente, rivela che allora lo Shin Bet era già pronto per togliere il governo militare sugli Arabi e che la polizia e l’esercito erano in grado di farlo in tempi brevi.
Per quanto riguarda il Nord di Israele, fu convenuto che “tutte le aree dichiarate all’epoca zone militari chiuse” ad eccezione di quelle di Sha’ab (ad est di Acri), sarebbero state aperte dopo che fossero state soddisfatte le normali condizioni, ovvero: radere al suolo gli edifici nei villaggi abbandonati, rimboschimenti, creazione di riserve naturali, costruzione di recinzioni e posti di guardia. “Le date della riapertura di queste aree saranno stabilite dal Mag. Gen. Shamir delle Forze di Difesa Israeliane, recitano i verbali. Riguardo a Sha’ab, Harel e Toledano dovevano discutere quell’argomento con Shamir.
Per quanto riguardava gli Arabi nativi nel centro di Israele e nel Negev, si convenne che le zone militari chiuse sarebbero rimaste in vigore, con alcune eccezioni.
Anche dopo la revoca del governo militare, alcuni alti ufficiali dell’IDF, incluso il Capi di Stato Maggiore Tzvi Tzur e l’avvocato Shamgar, si opposero alla mossa. Nel marzo del 1963 Shamgar, allora avvocato generale militare, scrisse un opuscolo sulla base legale dell’amministrazione militare; ne furono stampate solo 30 copie. (Lo firmò usando il suo precedente nome non ebraico, Sternberg). Il suo scopo era quello di spiegare i motivi per cui Israele stava imponendo il governo militare a centinaia di migliaia di cittadini.
Tra le altre cose, Shamgar scrisse nell’opuscolo che il Regolamento 125, che consente di chiudere alcune aree, è inteso a “impedire l’ingresso e lo stabilirsi di minoranze nelle aree di confine” e che “le aree di confine popolate da minoranze servono come naturale e utile punto di partenza per gruppi ostili oltre il confine. ” . “Il fatto che i cittadini debbano avere permessi per viaggiare aiuta a contrastare l’infiltrazione nel resto d’Israele”, scrisse .
Il Regolamento 124, osservò, afferma che “contro le infiltrazioni è essenziale, quando necessario, autorizzare imboscate notturne nelle aree popolate, “. Il blocco delle strade al traffico è spiegato come cruciale ai fini di “addestramento, prove o manovre”. Inoltre, la censura è un “mezzo cruciale per il controspionaggio”.
Campagna biennale
Nonostante l’opinione di Shamgar, più tardi quello stesso anno il Primo Ministro Levi Eshkol annullò l’obbligo per i permessi di viaggio personali. Due settimane dopo quella decisione, nel novembre del 1963, il Capo di Stato Maggiore Tzur scrisse una lettera top-secret sull’attuazione della nuova politica agli ufficiali che dirigevano i vari comandi dell’IDF e ad altri alti ufficiali, incluso il capo dell’intelligence militare. Tzur ordinò loro di applicarla in quasi tutti i villaggi arabi, con alcune eccezioni , tra cui Barta’a e Muqeible, nel Nord di Israele.
Nel dicembre del 1965, Haim Israel, un consigliere del Ministro della Difesa Eshkol, riferì agli altri aiutanti di Eshkol, Isser Harel e Aviad Yaffeh, e al capo dello Shin Bet, che l’allora Capo di Stato Maggiore Yitzhak Rabin si opponeva alla legge che avrebbe annullato il governo militare sui villaggi arabi. Rabin spiegò la sua posizione in una discussione con Eshkol, nella quale si parlò come “ammorbidire” la legge. Rabin venne informato che Harel si sarebbe mosso in tal senso.
In una riunione tenutasi il 27 febbraio 1966, Harel emanò ordini all’IDF, allo Shin Bet e alla polizia in merito alla decisione del Primo ministro di cancellare il governo militare. I verbali della discussione erano segretissimi e cominciavano con: “Il meccanismo del regime militare sarà cancellato. L’IDF assicurerà le condizioni necessarie per l’istituzione del controllo militare durante i periodi di emergenza nazionale e di guerra “. Tuttavia, fu deciso che i regolamenti che normavano la difesa di Israele in generale sarebbero rimasti in vigore, e per volere del Primo ministro e con il suo apporto, il Ministro della Giustizia si sarebbe occupato di modificare gli articoli pertinenti nella legge israeliana, o di sostituirli.
I documenti storici citati qui sono stati resi pubblici solo dopo una campagna durata due anni condotta dall’istituto Akevot contro gli Archivi Nazionali, che volevano rimanessero riservati, ha detto ad Haaretz Lior Yavne, il direttore di Akevot. I documenti non contengono informazioni sensibili sulla sicurezza di Israele, ha aggiunto Yavne, e anche se sono ora di dominio pubblico, devono ancora essere caricati sul suo sito Web per consentire un accesso diffuso.
“Centinaia di migliaia di file fondamentali per comprendere la storia recente dello Stato e della società in Israele rimangono chiusi nell’archivio governativo”, ha affermato. “Akevot continua a lottare per ampliare l’accesso ai documenti d’archivio, documenti di proprietà del pubblico”.
Trad: Grazia Parolari “contro ogni specismo, contro ogni schiavitù” –Invictapalestina.org
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Sono sempre meno numerose. E molte sognano di emigrare per garantire un futuro migliore ai propri figli. Oggi le famiglie arabo-cristiane dei Territori palestinesi, rappresentate da un piccolo drappello al Family Day 2012 (Milano, 30 maggio-3 giugno), sono circa 15 mila, per un totale di 50 mila fedeli. Si tratta di famiglie che stanno vivendo, in questi anni, una situazione di crescente difficoltà. «I problemi che devono affrontare pur essendo collegati tra loro, sono di due ordini diversi – racconta Bernard Sabella, professore di sociologia all'Università di Betlemme (nel tondo) e autore di molti saggi sui cristiani arabi -. Da una parte c’è l’occupazione israeliana, le cui conseguenze i palestinesi cristiani condividono con la maggioranza musulmana; dall’altra il numero dei cristiani arabi diminuisce costantemente in termini relativi, e questo mette a rischio la sopravvivenza stessa della loro comunità». Nella città di Gerusalemme, ad esempio, nel 1988 i cristiani erano 1
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