Jonathan Cook Il permesso a Israele di agire impunemente




di Jonathan Cook – 28 marzo 2019
Quando l’anno scorso il presidente Donald Trump ha trasferito l’ambasciata statunitense nella Gerusalemme occupata, sabotando in effetti qualsiasi speranza di creare uno stato palestinese vitale, ha stracciato il decalogo internazionale.
La settimana scorso ha calpestato le residue pagine lacere. Lo ha fatto, ovviamente, via Twitter.
Riferendosi a una vasta parte del territorio confiscato da Israele alla Siria nel 1967, Trump ha scritto: “Dopo 52 anni è ora che gli Stati Uniti riconoscano appieno la sovranità israeliana sulle Alture del Golan, che sono di importanza strategica e di sicurezza per lo Stato d’Israele e per la Stabilità Regionale”.
Nel 1967 Israele espulse 130.000 siriani dalle Alture del Golan, sotto la copertura della Guerra dei Sei Giorni, e poi, quattordici dopo, ha annesso il territorio, in violazione della legge internazionale. Una piccola popolazione di drusi siriani costituisce i soli sopravvissuti di quell’operazione di pulizia etnica.
Replicando i suoi atti illegali nei territori palestinesi occupati, Israele trasferì immediatamente coloni e imprese ebree nel Golan.
A oggi, nessun paese ha riconosciuto l’atto di saccheggio di Israele. Nel 1981 gli stati membri dell’ONU, compresi gli Stati Uniti, hanno dichiarato “nulli e inefficaci” gli sforzi israeliani di cambiare lo status del Golan.
Ma in mesi recenti il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha cominciato ha intensificare gli sforzi per demolire quell’unanimità di lungo corso e conquistare alle propria causa la sola superpotenza del mondo.
E’ stato spronato ad agire quando Bashar Al-Assad – aiutato dalla Russia – ha cominciato a invertire decisamente le perdite territoriali che il governo siriano aveva subito negli otto anni di guerra della nazione.
La lotta ha trascinato dentro una serie di altri protagonisti. Lo stesso Israele ha usato il Golan come base da cui lanciare operazioni clandestine per aiutare gli avversari di Assad nella Siria meridionale, tra cui combattenti dello Stato Islamico. Contemporaneamente Iran e la milizia libanese Hezbollah hanno cercato di limitare, per conto del leader siriano, lo spazio di manovra di Israele.
La vicinanza della presenza dell’Iran è stata il modo in cui Netanyahu ha giustificato pubblicamente la necessità di Israele di prendere possesso permanente del Golan, definendolo un cuscinetto vitale contro gli sforzi iraniani di “usare la Siria come piattaforma per distruggere Israele”.
Prima di ciò, quando Assad stava perdendo terreno a vantaggio dei suoi nemici, il leader israeliano aveva sostenuto una tesi diversa. Allora egli aveva sostenuto che la Siria stava andando a pezzi e che il suo presidente non sarebbe mai stato in condizione di reclamare il Golan.
L’attuale razionalizzazione di Netanyahu non è più persuasiva di quella precedente. La Russia e le Nazioni Unite sono già ben avanti nel ristabilire una zona smilitarizzata sul lato siriano della linea di separazione delle forze. Ciò assicurerebbe che l’Iran non potrebbe schierarsi vicino alle Alture del Golan.
Netanyahu ha in programma di incontrare Trump a Washington lunedì, quando il tweet del presidente sarà, a quanto risulta, convertito in un decreto presidenziale.
La tempistica è significativa. Questo è un altro rozzo tentativo di Trump di interferire nelle elezioni israeliane, previste per il 9 aprile. Offrirà a Netanyahu un forte incentivo mentre lotta contro accuse di corruzione e una minaccia di un partito rivale, Azzurro e Bianco, guidato da ex generali dell’esercito.
Netanyahu è riuscito a malapena a contenere la sua soddisfazione nel telefonare, a quanto risulta, a Trump per dirgli: “Lei ha fatto la storia!”
Ma in verità non si è trattato di un capriccio. Israele e Washington si stavano muovendo da un po’ in questa direzione.
In Israele c’è un sostegno trasversale al mantenimento del Golan.
Michael Oren, un ex ambasciatore israeliano negli Stati Uniti e confidente di Netanyahu, ha lanciato formalmente l’anno scorso un piano per quadruplicare la popolazione dei coloni nel Golan, a 100.000 entro un decennio.
Il Dipartimento di Stato USA ha offerto il suo evidente sigillo di approvazione il mese scorso, quando ha incluso per la prima volta le Alture del Golan nella sezione “Israele” del suo annuale rapporto sui diritti umani.
Questo mese l’alto senatore Repubblicano Lindsey Graham ha fatto un giro molto pubblicizzato del Golan in un elicottero militare israeliano al fianco di Netanyahu e David Friedman, l’ambasciatore di Trump in Israele. Graham ha detto che lui e il compagno senatore Ted Cruz eserciteranno pressioni sul presidente statunitense perché cambi lo status del territorio.
Trump, nel frattempo, non ha fatto un segreto del suo disprezzo per la legge internazionale. Questo mese suoi dirigenti hanno vietato l’ingresso negli USA a personale della Corte Penale Internazionale (ICC), con sede a l’Aja, che stanno indagando crimini di guerra statunitensi in Afghanistan.
L’ICC si è fatta dei nemici sia a Washington sia in Israele nei suoi iniziali, e scarsi, tentativi di chiamare i due a rispondere.
Quali che siano le invenzioni di Netanyahu riguardo alla necessità di evitare una minaccia iraniana, Israele ha altri e più concreti motivi per tenersi stretto il Golan.
Il territorio è ricco di fonti d’acqua e offre a Israele un controllo decisivo sul Mar di Galilea, un vasto lago di acqua dolce che è di importanza cruciale in una regione che affronta sempre maggiori scarsità di acqua.
I 1.200 chilometri quadrati di territorio usurpato sono sfruttati aggressivamente, da fiorenti vigneti e meleti a un’industria turistica che, in inverno, include i versanti coperti di neve del Monte Hermon.
Come segnalato da Who Profits, un’organizzazione israeliana per i diritti umani, in un rapporto di questo mese, società israeliane e statunitensi stanno anche creando batterie eoliche commerciali per vendere elettricità.
E Israele ha tacitamente collaborato con il gigante energetico statunitense Genie per esplorare risorse petrolifere potenzialmente vaste sotto il Golan. Il consigliere e genero di Trump, Jared Kushner, ha investimenti di famiglia in Genie. Ma estrarre il petrolio sarà difficile, a meno che Israele non possa sostenere plausibilmente di avere sovranità sul territorio.
Per decenni gli Stati Uniti hanno regolarmente premuto su Israele perché partecipasse a una combinazione di dialoghi pubblici e dietro le quinte con la Siria. Solo tre anni fa Barack Obama ha appoggiato una strigliata del Consiglio di Sicurezza dell’ONU a Netanyahu per aver affermato che Israele non avrebbe mai rinunciato al Golan.
Oggi Trump ha dato semaforo verde a Israele per tenerselo in permanenza.
Ma, qualsiasi cosa dica, la decisione non darà sicurezza a Israele né produrrà stabilità regionale. In realtà rende un nonsenso l’”accordo del secolo” di Trump, un piano di pace regionale per por fine al conflitto israelo-palestinese che, secondo voci, potrà essere rivelato subito dopo le elezioni israeliane.
Invece, il riconoscimento statunitense si dimostrerà una manna per la destra israeliana, che ha chiesto insistentemente di annettere vaste aree della West Bank e in tal modo piantare il chiodo finale sulla bara della soluzione dei due stati.
La destra israeliana può oggi sostenere plausibilmente: “Se Trump ha acconsentito al nostro illegale sequestro del Golan, perché non anche al nostro furto della West Bank?”
Una versione di questo articolo è apparsa inizialmente sul National di Abu Dhabi.
Da Znetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo
www.znetitaly.org
Originale: https://zcomm.org/znetarticle/allowing-israel-to-operate-with-impunity/
traduzione di Giuseppe Volpe
Traduzione © 2019 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.

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