Perché
i turchi in Siria con i carri armati? È vero che gli Stati Uniti hanno
tradito i curdi? Un po' di risposte dopo i fatti di mercoledì
ilpost.it
Mercoledì mattina alcuni carri armati turchi sono entrati in Siria
e nel giro di poco più di nove ore hanno conquistato Jarablus, una
città siriana vicino al confine con la Turchia che da tre anni era sotto
il controllo dello Stato Islamico (o ISIS). Assieme ai soldati turchi
c’erano anche diversi combattenti dell’Esercito Libero Siriano, una
coalizione di gruppi ribelli che in passato è stata alleata degli Stati
Uniti prima di cominciare a inglobare fazioni più estremiste. Ci sono
due cose da tenere a mente sull’intera operazione, che il governo turco
ha chiamato “Euphrates Shields“.
Primo: i turchi e i ribelli siriani sono stati appoggiati dagli
americani, che hanno fornito copertura aerea e hanno partecipato con
alcuni consiglieri militari. Secondo: l’obiettivo ultimo
dell’operazione non è stato solo colpire lo Stato Islamico, che da mesi
compie attentati molto violenti in Turchia, ma anche limitare
l’influenza nel nord della Siria dei curdi, gli arcinemici del governo
turco. Fermi tutti, però: ma i curdi non erano alleati degli americani?
Sì, negli ultimi due anni i curdi siriani sono stati i principali
alleati degli Stati Uniti nella guerra contro lo Stato Islamico in
Siria. E quindi cosa è cambiato? Gli Stati Uniti hanno “tradito” i
curdi, come hanno sostenuto in molti nelle ultime ore? Per capire cosa è
successo a Jarablus, e perché l’operazione “Euphrates Shields” è così
importante per tutto il sistema di alleanze della guerra in Siria,
bisogna ripartire dall’inizio: mettere in ordine le idee su chi sta con
chi, e su qual è la posta in palio nelle battaglie che si stanno
combattendo nel nord della Siria.
Breve spiegazione di chi sta con chi, almeno fino a
oggi e semplificando un po’. Da una parte c’è il regime siriano di
Bashar al Assad, alleato con l’Iran, la Russia e le milizie sciite
libanesi di Hezbollah. Dall’altra ci sono i ribelli che combattono
Assad, che sono alleati della Turchia e che includono sia fazioni
moderate – alcune delle quali alleate con gli Stati Uniti – sia
gruppi estremisti e jihadisti, come Jabhat Fateh al Sham (prima
conosciuta come Jabhat al Nusra, la divisione siriana di al Qaida). Poi
ci sono altre due parti principali: c’è lo Stato Islamico, che non è
alleato con nessuno, e ci sono i curdi siriani, che fanno parte di una
coalizione sostenuta dagli Stati Uniti. In linea di massima si potrebbe
dire che questi quattro schieramenti combattono uno contro
l’altro, anche se il discorso è molto più complicato di così. Sono
arcinemici Assad e i ribelli, che negli ultimi mesi si combattono
soprattutto nella provincia di Aleppo, nel nord-ovest della Siria; sono
altrettanto arcinemici la Turchia e i curdi siriani, i quali sono
strettamente legati ai curdi turchi del PKK, storici nemici del governo
turco. Lo Stato Islamico combatte intensamente sia contro i curdi
siriani che contro i ribelli.
Poi ci sono situazioni di non belligeranza, diciamo così: per molto
tempo Assad e lo Stato Islamico si sono tollerati, entrambi con l’idea
di concentrare le forze sugli altri rispettivi fronti di battaglia, e
per la stessa ragione si sono tollerati anche Assad e i curdi. In
particolare i curdi sono stati definiti come l’unica cosa su cui in Siria vanno d’accordo americani e russi:
sono alleati degli americani e tollerati dai russi, anche grazie agli
storici rapporti che i curdi hanno sempre mantenuto con l’Unione
Sovietica. In sintesi: è un casino e non è facile per niente starci
dietro. Qui alcune grafiche del New York Times che semplificano un po’ il sistema di alleanze e il livello di inimicizia tra le varie parti, qui una mappa aggiornata al 16 agosto della situazione in Siria.
Nelle ultime settimane sono cambiate un po’ di cose rispetto alla
situazione descritta sopra. La svolta sembra essere stata l’importante battaglia di Manbij,
una città del nord della Siria che da tempo era sotto il controllo
dello Stato Islamico. Manbij è stata riconquistata il 13 agosto dalle
Forze democratiche siriane (SDF), una coalizione nella quale i curdi
siriani occupano una posizione dominante. La vittoria di Manbij ha
permesso ai curdi di ottenere molta influenza nel nord della Siria, una
cosa che non è piaciuta né ad Assad né alla Turchia. Pochi giorni dopo
la fine della battaglia di Manbij, il regime di Assad ha deciso di
mettere fine alla non-belligeranza con i curdi, e per la prima volta
dall’inizio della guerra in Siria li ha bombardati (ad Hasakah, nel
nord-est della Siria). Come ha scritto l’analista Aaron Lund,
è sembrato quasi che Assad volesse mandare un segnale alla Turchia,
come dire: avete visto che i curdi sono una minaccia anche per noi? Per
la prima volta si è iniziato a parlare
di una possibile distensione dei rapporti tra Assad e governo turco –
fino a quel momento acerrimi nemici – in nome di un obiettivo più
grande: il mantenimento dell’integrità territoriale della Siria e
l’opposizione alla creazione di uno stato autonomo curdo nel nord del
paese.
Gli schieramenti nel nord della Siria: come si vede dalla mappa realizzata da Thomas van Linge, Manbij – che si trova a ovest del fiume Eufrate – è ora sotto il controllo delle SDF (blog di Pieter Van Ostaeyen)
Manbij ha provocato però anche una dura reazione del governo turco, e
in parte di quello statunitense. Lo scorso anno gli Stati
Uniti accettarono uno scambio con la Turchia: avrebbero impedito ai
curdi di espandersi a ovest del fiume Eufrate in cambio della
collaborazione turca nella guerra contro lo Stato Islamico (come detto,
fino a quel momento la Turchia aveva mantenuto un atteggiamento molto
ambiguo nei confronti dell’ISIS). Guardando la mappa sopra si capisce
meglio l’obiettivo dell’accordo: in verde chiaro ci sono i curdi
siriani, che prima della conquista di Manbij e dintorni occupavano solo
la parte orientale del fiume Eufrate e alcuni territori nel nord-ovest.
Il governo turco voleva impedire che i curdi unissero le zone verde
chiaro, conquistando quindi i territori di mezzo – quelli sotto il
controllo dello Stato Islamico (in grigio scuro) e dell’Esercito Libero
Siriano (verde medio) – e impendendo la formazione di uno stato curdo
senza discontinuità territoriale proprio al confine con la Turchia. Dopo
la conquista di Manbij, i curdi siriani non hanno mantenuto la promessa
di ritirarsi a est dell’Eufrate e lasciare il controllo della città
alle componenti arabe delle SDF, che preoccupano molto meno la Turchia.
Hanno invece fatto dichiarazioni molto roboanti sull’eventuale conquista
di altre città nella provincia. Per questo motivo, hanno scritto
molti analisti, i turchi hanno deciso di intervenire a Jarablus (che
nella mappa è in alto appena a ovest del fiume Eufrate): per anticipare i curdi e impedire loro di allargarsi ulteriormente. Ok, ma perché gli Stati Uniti si sono messi con i turchi?
Non avevano litigato? Sì, i rapporti tra Turchia e Stati Uniti non
stanno passando proprio il loro momento migliore: sono tesi da tempo per
l’ambiguità del governo turco nella guerra contro lo Stato Islamico, e
sono peggiorati dopo il colpo di stato tentato
in Turchia contro il governo. Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan
ha accusato il religioso Fethullah Gülen di avere organizzato il golpe:
Gülen si trova dal 1999 in esilio autoimposto negli Stati Uniti e
nonostante le richieste turche finora il governo americano si è
rifiutato di estradarlo. A rendere ancora meno comprensibile la
partecipazione degli Stati Uniti all’operazione turca a Jarablus c’è un
altro fatto. Da due anni i curdi siriani sono i principali alleati degli
americani nella guerra contro lo Stato Islamico in Siria, con ottimi
risultati: lo Stato Islamico ha perso molti territori che aveva
conquistato nell’estate del 2014, proprio quello che volevano gli Stati
Uniti.
Ci sono due cose da considerare, per capire cosa è successo a
Jarablus. La prima è che il governo statunitense è sembrato più volte in
balia della complessità della guerra in Siria: è stato spesso criticato
per avere fatto scelte tardive – come sull’addestramento dei ribelli – e per non avere rispettato la parola data – come nel caso della cosiddetta “linea rossa”
e dei bombardamenti chimici compiuti dal regime di Assad contro
la popolazione civile siriana. Per dire: in passato è anche successo che
due gruppi finanziati o sostenuti da due diverse agenzie americane finissero per combattere tra loro.
Come hanno dimostrato i cinque anni di guerra, non è facile per
nessuno fare scelte lineari ed efficaci riguardanti la guerra in
Siria, e gli Stati Uniti non sono un’eccezione. In passato gli americani
sono stati accusati da molti siriani di essersi alleati con il regime
di Assad per combattere lo Stato Islamico, e ora sono accusati di avere
tradito i curdi per salvare la loro alleanza con la Turchia. Karl
Sharro, un architetto libanese che vive a Londra e che spesso si diverte
a raccontare in maniera ironica la politica mediorientale, ha
commentato così la politica americana in Siria: «La posizione degli
Stati Uniti in Siria è come quella di un pinguino che cerca di fare il
giocoliere con dei pugnali infuocati mentre sta in piedi bendato su una
palla, a bordo di un motoscafo».
Le operazioni turche in Siria contro lo
SI, appoggiate dagli Usa, non piacciono alla Russia che invita a un
"ampio coordinamento". Esperti russi: Erdogan ha fatto capire che la
priorità rimane il rapporto con gli Usa.
Mosca (AsiaNews) - L’operazione militare di Ankara in Siria
"trova il sostegno di Washington, ma non di Mosca”. Così il quotidiano
russo Kommersant titola il suo pezzo sull’operazione ‘Scudo
dell’Eufrate’, lanciata dalla Turchia nel nord della Siria.
Nell'operazione i mezzi blindati turchi e circa 5mila miliziani della
Free Syrian Army, opposti al governo di Damasco, hanno strappato allo SI
il distretto di Jarablus, al confine con la Turchia. A sostegno della
Free Syrian Army, che avrebbe contato appena un caduto negli scontri,
si sono mossi anche cacciabombardieri statunitensi. L’operazione, però,
ha creato non poco malcontento in Russia. Secondo una “fonte militare” di Kommersant, i servizi
segreti di Mosca erano in possesso di informazioni circa l’intenzione
della Turchia di effettuare l’operazione, “la cui portata però è stata
inaspettata”. “Si poteva conquistare questa cittadina con meno forze -
ha detto la fonte - non si fermeranno a questo distretto e, con molta
probabilità, andranno oltre”. Il ministero degli Esteri russo ha espresso “profonda preoccupazione”
circa la possibilità di un “ulteriore degrado del conflitto, anche per
quanto riguarda la possibili vittime tra la popolazione civile e
l’inasprirsi dello scontro inter-etnico tra curdi e arabi”. Una fonte
diplomatica russa ha poi invitato Ankara a coordinare le sue azioni con
Damasco, affinché siano “realmente efficaci”. L’annuncio dell’avvio delle operazioni in Siria è arrivato nel giorno
della visita del vice presidente Usa Joe Biden ad Ankara, dove ha
incontrato il premier Binali Yildirim. In conferenza stampa, Biden ha
dichiarato che Stati Uniti e Turchia continueranno a colpire lo SI in
Siria; dal canto suo, Yildirim ha aggiunto che Ankara non permetterà una
nuova formazione curda al suo confine meridionale. Per il premier
turco, i curdi del Pyd “sono un'estensione del Pkk" e ha chiesto a
Washington di rivedere la sua posizione sulla questione; gli Usa
annoverano le forze curde tra gli alleati sul campo in Siria nella lotta
allo SI. Secondo Aleksandr Vasiliev, esperto dell’Istututo di Studi orientali,
l’operazione ‘Scudo dell’Eufrate’ è diretta principalmente contro i
curdi, anche se si maschera dietro la lotta al terrorismo
internazionale. “L’obiettivo principale - ha detto l’analista - è
evitare che i cantoni curdi si uniscano in un’unica enclave, al confine
tra Siria e Turchia”. Il direttore del Centro per l’analisi strategica,
Ruslan Pukhov, ha sottolineato il carattere simbolico dell’avvio
dell’operazione, in coincidenza con la visita di Biden. “Dato che il
rapporto tra Ankara e Washington, nelle ultime settimane, ha raggiunto
il punto più basso, per entrambe le parti questa operazione è diventata
l’occasione ideale per distogliere l’attenzione dai problemi legati a
Fethullah Gulen (di cui la Turchia chiede l’estradizione agli Usa,
perché accusato del tentato golpe del mese scorso) e dimostrare che i
due Paesi rimangono alleati strategici”. Con ‘Scudo dell’Eufrate’, il presidente Recep Tayyip Erdogan ha
mandato un segnale che le relazioni con gli Usa rimangono una priorità e
che preferisce agire nel quadro della coalizione antiterrorismo guidata
da Washington, che in quella a guida russa. Secondo Kommersant,
esercito e diplomazia di Mosca, in caso di un aggravamento della
situazione, sono pronti a utilizzare canali non ufficiali di contatti
bilaterali con i colleghi turchi e, se necessario, a esprimere le loro
preoccupazioni agli Usa. Le azioni di Ankara in Siria possono compromettere in modo serio il
processo di normalizzazione dei rapporti bilaterali con Mosca, sul quale
si erano accordati poche settimane fa il presidente Vladimir Putin e
Erdogan, nel loro incontro a San Pietroburgo. “Erdogan fa il suo gioco e
come sempre si trova dall’altra parte della barricata”, ha dichiarato
il diretto del Centro ‘Russia-Oriente-Occidente’, Vladimir Sotnikov.
Opinion: Israel’s message to U.S. Jews: If you’re against the occupation, you’re not welcome *** haaretz.com My Saba, Yoseph Amit, made aliyah as a young man from Poland in the late 1930s. He was escaping the rise of fascism and anti-Semitism in Europe, and aspiring toward what he called then, in the Hashomer Hatzair Youth youth movement, Hagshama Atzmit , self-realization, in Zion. >>With his back against the wall, Abbas puts one-state solution on the table | Analysis Would my Saba, a devoted Socialist Zionist pioneer who left everything he knew to build kibbutzim and create a new life, be accepted by today’s institutions in Israel? Or would he be targeted by this Israeli government as an undesirable for his left-wing opinions? This week the Jewish Agency for Israel withdrew its funding for Achvat Amim , a Masa-funded program overseen by Hashomer Hatzair based on spurious allegations by a shadowy group called Ad Kan...
Moni Ovadia (Pagina Ufficiale) 17 ore fa Voce d'Autore - L'Unità - 8 marzo 2014 L'altra Europa Il copione della politica, in Italia, non cambia mai, la realtà si! Quando lo spirito migliore che anima la sinistra lancia un segnale di vitalità, si scatenano le giaculatorie contro l'estremismo. Le prefiche del moderatismo si scatenano. Ritengo che sia giunto il momento di ribaltare questa routine equivoca e consunta con una piccola rivolu zione copernicana per dichiarare finalmente che, nel nostro Paese, i veri estremisti sono sempre stati e continuano ad essere i cosiddetti moderati. Dopo essersi autonominati il "giusto mezzo" si sono rivelati essere l'ingiusto estremo. Con l'estremismo della moderazione, hanno portato il paese nella palude del privilegio, delle malavite organizzate, della corruzione, degli sprechi di cui non sono certo gli unici responsabili, ma i sicuramente i principali. Il loro raggiro si è spinto fino a pretendere d...
Traduzione sint esi Murder Plot Against Israeli Billionaire Had Iran Connection Guerre Iran I media israeliani hanno riferito che un miliardario israeliano, Teddy Sagi, di 49 anni, che viveva a Cipro, era l'obiettivo di un omicidio pianificato. Il presunto assassino è stato fermato prima che scappasse dall'isola. Il presunto killer è un cittadino azero con passaporto russo. Ci sono due resoconti contrastanti del complotto . Le ipotesi La ricchezza di Sagi si basa sul gioco d'azzardo online, Playtech . Possiede anche il Camden Market di Londra. Forbes stima il suo patrimonio netto di 5,6 miliardi di dollari ed è la quinta persona più ricca di Israele. Possiede la proprietà residenziale più costosa in Israele, dal valore di 28 milioni di dollari. Nel 1994, prima di vincere il jackpot con Playtech, è stato accusato di frode azionaria , ha trascorso quasi un anno in prigione e ha paga...
Commenti
Posta un commento