Tavola della Pace : Vivere nella paura senza perdere l’umanità
Proseguono gli incontri dei partecipanti alla missione di pace 2.0, organizzata dal Coordinamento degli Enti locali per la pace e i diritti umani. Dopo la tappa di Betlemme, i pacifisti sono andati in territorio israeliano
Articolo di: Tavola della pace
Una città blindata. Così appare oggi
Sderot, estremo avamposto al confine con Gaza, obiettivo da almeno
dodici anni dei tiri di razzi dalla striscia, ma anche la comunità più
intransigente nei confronti dei nemici. Ogni edificio, dalle scuole alle
abitazioni, anche piccole, ai centri culturali,
persino le fermate degli autobus, ovunque c’è una stanza bunker per correre al riparo se suona la sirena dell’allarme . Tutto pagato dallo stato e sottratto ad altri settori, dalle scuole al welfare, agli aiuti per chi perde il lavoro.
E i nemici sono a vista. Dai terreni di un grande kibbutz si vedono lontane le costruzioni di Gaza: oltre la zona grigia dove chi passa si prende una pallottola, controllata da sensori elettronici, mentre
dall’alto di un pallone aerostatico, l‘intero territorio retto da Hamas
è passato al setaccio di telecamere comandate a distanza dai servizi
israeliani.
Ci spiega tutto questo Nomika Zion,
un nome storico qui, suo padre è stato tra i fondatori di Israele. Lei
ha fatto già alla fine degli anni ‘80 una scelta difficile: si è
trasferita, insieme ad altri giovani della sua generazione a Sderot,
creando Migvan, un kibbutz di città. Dopo l’operazione piombo fuso è
rimasta qui per testimoniare.
Arriviamo all’indomani di una notte
difficile. Dopo un nuovo lancio di razzi dalla Striscia, per fortuna
senza danni, l‘aviazione israeliana si è espressa in uno dei suoi raid
mirati. Dall’altra parte della no man’s land i danni ci sono e non
pochi. E Sderot rivive la paura della rappresaglia.
Sentiamo un botto, forse di un copertone
che scoppia, ma Nomika salta, no no viene da Gaza, ma dovete capire,
qui c’è una stanza bunker ma, se fosse un razzo, non riusciremmo a
raggiungerla tutti in tempo.
Bisogna capire cosa significa vivere nel terrore, qui è una sindrome di cui siamo tutti malati – spiega Nomika. Significa dormire pronti a correre nel bunker. Uscire la mattina per portare i bimbi a scuola, con l’angoscia che mentre sei in strada in auto la sirena suoni, e tu hai appena 15 secondi.
15 secondi per spegnere il motore, staccare la cintura, staccarla ai
tuoi figli e farli uscire, sdraiare per terra e cercare di proteggerli.
Ogni volta pensi a quale di loro non riuscirai a salvare.
Così scorre tutto il giorno da anni, dal 2000, con la rottura tra Israele e ANP.
Fino all’escalation del 2008, la rottura, non è chiaro da che parte,
dell’ennesimo cessate il fuoco questa volta tra Telaviv e Hamas,
l’alternarsi di razzi qassam su Sderot e i raid israeliani sulla
Striscia, fino all’operazione piombo fuso. Un percorso senza ritorno,
spiega la nostra ospite, che ha cambiato nel profondo il comune sentire
degli israeliani. La nostra vita e’ un passare da una guerra a un’altra,
e non si vedepiù un’alternativa, è ormai l’ordine naturale delle cose.
Gli abitanti di Sderot rappresentano la quintessenza di questo
mutamento.
NOMIKA denuncia: i palestinesi sono ormai diventati invisibili, si è persa la capacità di considerarli come esseri umani,
si è persa l’umanità. Per questo, per ridare un volto e una voce a
questi fantasmi, abbiamo iniziato a riunirci qui nel kibbutz, per
chiamare al telefono le persone che vivono dall’altra parte della
frontiera, nella striscia di Gaza. Passavamo anche ore intere a
raccontarci tra noi, le paure dei razzi, i morti sotto i raid di Tsahal,
le perdite. Così è nata Other Voice, l’organizzazione che ha creato con altri israeliani che come lei non riescono a vedere il nemico, il terrorista nell’altro.
Ma durante Piombo fuso non c’è stato più
spazio per le altre voci. A cominciare da quasi tutti i media che hanno
rilanciato la bellicista del governo israeliano. Racconta sempre
Nomika: una sera, nell’orario di primetime in tv ho sentito un abitante
di qui intervistato che diceva: non sono mai stato a un concerto ma
quando sento il suono delle bombe su Gaza, le esplosioni e le
distruzioni, questo è la musica migliore al mondo.
Mentre le mura di casa tremavano per
l’intensità dei bombardamenti israeliani sulla Striscia di Gaza, mentre
io me ne stavo chiusa pensando a quanti stavano morendo oltre il muro,
qui per strada si festeggiava.
Un popolo, che ha subito l’olocausto, aggiunge ancora, non può imporre ad altri le stessesofferenze.
In piena operazione Piombo fuso ho scritto un articolo, pubblicato in
22 lingue, anche in Italia, dicendo che non accettavo quel bagno di
sangue in mio nome, per la mia sicurezza. Mi sono attirata gli attacchi
di molti qui in Israele, sono isolata nella mia stessa città, racconta,
ma aggiunge: in tanti mi hanno scritto ringraziandomi di aver avuto la
forza di scrivere le cose che pensano, di essermi vicini.
Nel silenzio attento di tutti i
presenti, Nomika ricorda quando, alla fine di Piombo fuso, in Americaha
ricevuto il premio Niarchos per il suo impegno. Un premio condiviso con
Izzedin Abu al-Aish, un chirurgo attivista pacifista, che a Gaza ha
perduto tre sue figlie e un nipote sotto un bombardamento, eppure dopo
la guerra si è dedicato a studiare e curare gli effetti della guerra sui
bambini palestinesi e israeliani, scrivendo anche un libro sulla sua
esperienza dal titolo esplicito, “Io non odierò”. Un incontro che Nomika ricorda con emozione ancora oggi.
La visita al Kibbutz si conclude tra
l’emozione di tutti, quando Nomika ci invita a raccogliere il testimone
per portare la sua denuncia fuori da Israele: è importante che queste
cose siano conosciute fuori di qui, non lasciateci soli, solo così la
pace, che oggi è una brutta parola, potrà avere un futuro anche per
questa terra.
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