Supermarket Apartheid: gli arabi non rivolgano mai più la parola alle ebree

Emma Mancini  

L’amore ai tempi dell’occupazione diventa apartheid. In un supermercato della colonia di Gush Etzion, in Cisgiordania, una cassiera ebrea e un magazziniere palestinese hanno compiuto un crimine gravissimo: si sono innamorati. La direzione è intervenuta: da oggi vietato agli impiegati arabi parlare alle ebree. Tranne mercoledì e giovedì notte. Ma non solo. Tredici lavoratori arabi sono stati trasferiti in un’altra filiale del negozio di Rami Levi, specializzato in imballaggi e molto noto in Israele, e tutti gli altri sono stati costretti a firmare un contratto in cui si impegnano a non parlare alle colleghe ebree. La storia, che sta facendo il giro dei giornali e delle agenzie di stampa locali, ha come protagonisti Moussa e B. Lui, residente ad Hebron, lavora per il supermarket della colonia da otto anni come addetto agli imballaggi. Lei, ebrea dell’insediamento di Kyriat Arba, fa la cassiera. 


Una storia d’amore complessa, da tenere nascosta alle rispettive famiglie, ma che per colpa di un cellulare è venuta alla luce. Moussa ha chiesto alla fidanzata segreta di prestargli 1.320 dollari per acquistare un iPhone, con l’accordo di restituirne sessanta al mese. Lei ha pagato con la carta di credito del padre, ebreo osservante, che non ci ha visto più. Scoperto l’affair, è corso al negozio pretendendo il licenziamento di Moussa e minacciando di invitare al boicottaggio tutti i residenti della colonia. 
La direzione non ci ha pensato due volte: tutti i lavoratori arabi della filiale di Gush Etzion sono stati costretti a firmare un contratto nel quale si impegnano a non rivolgere la parola alle impiegate ebree. E tredici di loro sono stati spostati in altri negozi della catena. Moussa è stato licenziato ed è andato a cercare fortuna in Giordania, B. si è dimessa ed è scomparsa dalla circolazione. 
Rami Levi si difende. Ci saranno delle eccezioni, riporta il quotidiano israeliano Ha’aretz: arabi ed ebrei potranno parlarsi solo il mercoledì e il giovedì, nel turno di notte, quando le cassiere sono poche e i magazzinieri ne copriranno i turni. La storia del negozio di Rami Levi nella colonia di Gush Etzion era stata controversa fin dall’apertura: localizzato poco fuori dall’insediamento, è frequentato anche da palestinesi. E alcuni arabi sono stati assunti come magazzinieri, tanto che alcuni media locali avevano parlato della filiale come un’isola di coesistenza pacifica tra palestinesi occupati e israeliani occupanti. 
Una situazione inaccettabile, tanto da essere oggetto dell’attenzione dei rabbini locali. Quello di Alon Shyut, il rabbino Gideon Perl, ha fatto pressioni esplicite perché Moussa venisse licenziato: “C’era una storia tra una cassiera e un magazziniere e c’era un piano per portare lei nel villaggio di lui. Ho parlato con Rami Levi del problema e mi ha detto che temeva da un anno che qualcosa di simile potesse accadere. Sono felice della decisione presa da Rami Levi. Il lavoratore è stato licenziato, era necessario una lezione dopo quello che era successo” 
Tra i dipendenti del negozio le reazioni non sono univoche. I lavoratori palestinesi sembrano scioccati (“Non possiamo offrire alle dipendenti ebree nemmeno un caffè” , ha raccontato uno di loro all’agenzia israeliana Ynetnews), le ebree divise. C’è chi sorride al nuovo contratto, felice di “non essere più molestata” e chi parla di razzismo. E il direttore, Rami Levi si difende: “E’ una storia vecchia di un mese e mezzo fa. Nessuno è stato licenziato. Solo Moussa”.

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