Siniora: "Se la religione è parte del problema, deve anche essere parte della soluzione"

 In un messaggio che ha concluso le due settimane di incontri del Sinodo Vaticano sul Medio Oriente, i vescovi hanno dichiarato che Israele non dovrebbe usare il concetto biblico di terra promessa o di popolo scelto per giustificare nuovi insediamenti a Gerusalemme o rivendicazioni territoriali in Cisgiordania. La dichiarazione ha anche espresso la speranza che la soluzione dei due stati possa diventare realtà.
La dichiarazione finale del Sinodo dice: “Abbiamo fatto da mediatori nella situazione della città santa di Gerusalemme. Siamo preoccupati per le iniziative unilaterali che minacciano la sua composizione e rischiano di cambiare il suo equilibrio demografico. Il ricorso alle posizioni teologiche e bibliche che usano la Parola di Dio per giustificare erroneamente le ingiustizie, non è accettabile”. Il clero del Sinodo è in disaccordo con gli ebrei che usano la Bibbia per giustificare gli insediamenti in Cisgiordania.Come sopra illustrato, la religione costituisce una parte del problema nel conflitto israelo-palestinese. E poiché è parte del problema, deve anche essere parte della soluzione. Il concetto pacifico di coesistenza nell'Islam, Ebraismo e Cristianesimo, se appropriatamente diffuso e insegnato dai leader religiosi delle tre fedi monoteistiche, è la chiave per risolvere il conflitto. E' di importanza fondamentale per risolvere il conflitto riguardo ai luoghi sacri e può aprire la strada ad una soluzione rispetto ai santuari ebrei e musulmani a Gerusalemme.
Finora, i leader religiosi hanno preferito rimanere ai margini. In passato, timidi tentativi di trattare questioni religiose a livello locale e regionale sono stati ostacolati dalla paura che la religione potesse essere sfruttata con scopi politici nel contesto del conflitto israelo-palestinese. Usare la religione in maniera positiva in questo conflitto vuol dire procedere su un “terreno vergine”.
Il Consiglio delle Istituzioni Religiose della Terra Santa è un'iniziativa portata avanti da leader musulmani, ebrei e cristiani che rappresentano le istituzioni religiose formali di Israele e dell'Autorità Palestinese. Questi leader hanno dedicato i loro sforzi, dal 2005, ad evitare che la religione venga usata come fonte di conflitto e ad incoraggiare i suoi obiettivi di giustizia, riconciliazione e pace. Hanno fatto progressi nello stabilire armonia e canali aperti di comunicazione fra le istituzioni religiose formali della Terra Santa. Tuttavia, attualmente sono meno visibili agli occhi del pubblico e non sono stati in grado di tradurre il loro lavoro in una più ampia e pubblica accettazione di tolleranza e comprensioneLa mia opinione è che i leader religiosi sono il corpo più credibile per diffondere il messaggio di pace che le diverse narrative religiose possono coesistere perché hanno l'autorità di interpretare i libri sacri. Inoltre, i leader religiosi non sono in corsa per le elezioni e sono quindi al sicuro con i loro seguaci e in grado di influenzare e abbassare i toni dell'estremismo religioso e costruire relazioni armoniche. Ogni religione ha in sé il potenziale per gettare i semi del cambiamento nel sentimento pubblico fra i suoi fedeli.     
I leader religiosi dovrebbero essere incoraggiati e sostenuti nei loro sforzi sia per assumere la responsabilità di guidare la popolazione verso la coesistenza pacifica che per rivestire un ruolo attivo e sicuro nel formare l'opinione pubblica. Devono opporsi agli estremismi religiosi e ai leader politici che usano la Parola di Dio per i loro propri fini politici, per perpetuare e infiammare il conflitto.
Nel nostro conflitto, le narrative si oppongono e troppo spesso portano alla delegittimazione e demonizzazione dell'Altro. Attualmente, la religione è usata da coloro che chiedono il possesso totale della terra e dei luoghi sacri, invece di servire come strumento di riconciliazione e accettazione del bisogno di condividere la terra e di rispettare i bisogni religiosi delle tre religioni. 
E' importante incoraggiare e promuovere gli incontri interreligiosi sia in patria che nella regione. Tali sforzi sono già in atto, coinvolgendo lo Sheikh Sider di Hebron, il rabbino David Rosen di Gerusalemme e il vescovo Younan della Chiesa Luterana di Gerusalemme. L'arcivescovo di Canterbury ha stabilito i contatti con i leader religiosi della regione che hanno portato all'incontro ad Alessandria al quale hanno partecipato il Rabbino Capo della comunità sefardita di Israele, il Gran Sheikh di Al-Azhar in Egitto, i principali religiosi musulmani dalla Palestina e i capi di varie Chiese cristiane di Gerusalemme. A questo incontro, i partecipanti hanno firmato la “Dichiarazione di Alessandria” che afferma chiaramente che le varie fedi che i leader rappresentano si oppongono alla violenza e che ogni leader cercherà la maniera per collaborare con gli altri per prevenire la violenzaIn Palestina Mohammed Dajani sta diffondendo il messaggio del Movimento Wasatia. Wasatia nell'Islam deriva dal Sacro Corano e significa moderazione, posizione di centro ed equilibrio. Wasatia si dedica a diffondere la conoscenza della moderazione nell'Islam e ad applicarla alla società, alle istituzioni educative e all'attivismo politico. 
Fino ad oggi, la religione è stata più una fonte di discordia che una fonte di pace. Il conflitto territoriale e politico fra israeliani e palestinesi ha portato ad abusare delle interpretazioni religiose piuttosto che a coltivare atteggiamenti moderati verso la terra e, in particolare, verso i luoghi santi in Gerusalemme. Nel nostro caso particolare, i leader religiosi devono intensificare i loro sforzi per persuadere i loro seguaci che Dio e la Sua Parola chiamano all'accettazione, alla comprensione, all'equilibrio e alla pace. Le voci estremiste interpretano male questo messaggio
Siniora: "Se la religione è parte del problema, deve anche essere parte della soluzione"

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