Lo psicologo Carlo Strenger: perché l’antisionismo è una nevrosi collettiva












 La gente, certa gente, odia Israele per la stessa ragione per cui ama il calcio. “Uno dei bisogni principali della psiche umana è avere certezze assolute, leggere tutto in termini di bianco o nero. Amare il Milan e odiare l’Inter è uno dei mezzi per soddisfare questa pulsione. Ti dà delle certezze. Il problema è quando questo tipo di pulsioni trovano sfogo altrove.” Lo spiega uno che di psiche umana, e di conflitto israelo-palestinese, se ne intende: è lo psicanalista Carlo Strenger, direttore del programma post laurea di psicologia clinica all’Università di Tel Aviv, nonché commentatore di vicende mediorientali per prestigiose testate internazionali, come The Guardian e Haaretz.
Strenger, il cui libro Critica alla Irragionevolezza Globale sarà pubblicato in Italia il prossimo anno, appartiene a quella categoria di israeliani di sinistra che accettano e spesso sostengono le critiche ad alcune politiche dello Stato ebraico. Ma crede anche che contro il suo Paese esista unaccanimento che ha quasi le sembianze di una nevrosi collettiva. Intervistato nella sua abitazione di Tel Aviv, ci spiega perché le vicende mediorientali smuovono negli animi una serie di processi irrazionali.
E’ scientificamente dimostrato che molte persone, altrimenti sane di mente, perdono la testa quando si parla di Israele.
Basta pensare a quante persone dichiarano di essere “contro Israele” o addirittura contrarie all’esistenza stessa di Israele. O al numero, sproporzionato, di dichiarazioni Onu contro Israele. Che certo commette una serie di violazioni dei diritti umani, che io sono il primo a condannare. Ma c’è qualcosa che non va. Quasi nessuno per esempio dice di essere “contro la Cina” anche se occupa il Tibet, semmai si dice di essere contrari all’occupazione del Tibet. E non ho mai sentito qualcuno dire di essere contrario all’esistenza della Serbia nonostante tutte le atrocità commesse.
Come se lo spiega?Per capire i processi psicologici dietro questo accanimento bisogna distinguere fra tre categorie dove è particolarmente comune: la sinistra radicale marxista, l’opinione pubblica europea e il mondo arabo musulmano.
Partiamo dalla sinistra radicale.
Vede, la dottrina marxista si basa sull’illusione che sia possibile creare un mondo perfetto. Una volta, l’ostacolo da abbattere era il sistema capitalista, ma con il crollo dell’Unione sovietica i marxisti hanno dovuto elaborare il lutto del fallimento del comunismo e trovare un altro capro espiatorio. Risultato? Se solo Israele non esistesse, il mondo sarebbe perfetto e vivremmo tutti in armonia. Israele è il capro espiatorio perfetto, i palestinesi le vittime perfette e tutto questo ci fornisce una comoda certezza morale.
E dell’Europa che cosa ne pensa?Qui la faccenda si fa più complicata. Bisogna tenere conto del contesto psico-storico in cui è nato lo Stato di Israele, dopo la Seconda guerra mondiale, proprio mentre le potenze europee stavano liberando le loro colonie. Se a questo aggiungiamo che Israele ha conquistato i Territori occupati negli anni Sessanta, quando il modello coloniale è entrato definitivamente in crisi, Israele diventa il cattivo perfetto, che faceva la cosa sbagliata mentre tutti gli altri cominciavano a fare la cosa giusta. Non mi fraintenda, io sono molto contrario all’occupazione della Cisgiordania e i palestinesi hanno tutte le buone ragioni di essere adirati. Ma la realtà è che Israele sta diventando il capro espiatorio di un senso di colpa europeo che ha ragioni storiche ben diverse. L’Occidente ha colonizzato il mondo arabo per secoli, ma è facile cadere nell’illusione che non ci sarebbero tensioni se non fosse per Israele.
Ma spesso non si accusa Israele di sfruttare il senso di colpa degli europei per l’Olocausto?
Questo è in parte colpa del governo israeliano, che è spesso ricorso al discorso dell’Olocausto per giustificare il proprio diritto non solo a esistere ma anche a difendersi in modo aggressivo. Tutto questo però ha suscitato una reazione inversa: proprio perché Israele richiama spesso l’Olocausto e perché Israele è “il cattivo”, allora questo permette a molti di non fare i conti con il passato.
Che cosa spinge invece il mondo arabo a odiare tanto Israele?
I palestinesi hanno un sacco di buone ragioni per avercela con il mio Paese e non li biasimo. Ma non si capisce perché tutto il mondo arabo e gran parte del mondo musulmano ce l’abbia tanto con Israele. Israele non ha mai fatto nulla di male all’Iran o all’Algeria, eppure si vedono persino in Pakistan siti jihadisti che utilizzano Israele come un’icona. La cosa va analizzata su due piani. In primo luogo molti regimi arabi e musulmani utilizzano Israele come un capro espiatorio per distogliere l’attenzione dai loro fallimenti, un po’ secondo l’illusione marxista: se solo non ci fosse lo Stato ebraico, andrebbe tutto bene. In secondo luogo Israele sta pagando lo scotto di secoli di colonialismo occidentale, diventa l’oggetto di sfogo per una serie di situazioni psico-storiche con cui in realtà non ha nulla a che vedere.
Concludendo, Israele non è un Paese ma un feticcio?In un certo senso sì. Israele viene reso un feticcio su cui si proiettano tensioni, frustrazioni e aspirazioni che apparterrebbero altrove. Può essere facilmente trasformato in un feticcio perché si trova al crocevia dove sono nate le tre grandi religioni monoteiste. E’ un luogo che simbolizza il desiderio umano per un’unica, grande, semplice risposta alla complessità dell’esistenza umana.
  • annamomigliano
  • Martedì 14 Settembre 2010

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