Avvenire : La ricostruzione non è mai cominciata perché Israele impedisce l’arrivo di cemento, acciaio, vetro e altro materiale edilizio.


Stanno sotto le tende, in mezzo a tubi arrugginiti che spunta no fuori da quel che resta del le loro case, ridotte a un cumulo di macerie. Molta gente del quartiere Abed Rabbo di Jabaliya, all’estremo nord della Striscia, vive in questo sta to dalla fine della guerra. Sono famiglie di contadini che non danno fastidio a nessuno. «Dal nostro villaggio non ho mai vi sto partire un solo razzo Qassam contro Israele » giura il vecchio Mohammed mentre sgrana la sua masbaha , il rosario dei musulmani. Racconta che una mattina di gennaio sono arrivati i carri armati con la stella di David seguiti dai bulldozer che in un attimo hanno spiana to le case. Racconta e impreca. Ce l’ha con tutti, Mohammed: con I sraele, certo, ma anche con Hamas che non ha portato nulla di buono, e con la comunità internazionale da cui non arriva nessun aiuto. Raed Abu-Athamma è stato un po’ più fortunato. Al momento è l’unico che possiede una nuova casa. Gliel’ha consegnata pochi giorni fa l’Unrwa, l’agenzia dell’Onu per i rifugiati. Una dimora provvisoria, realizzata con il fango, nel quadro di un programma d’emergenza che ne prevede 120, a fronte di oltre 4000 case distrutte durante l’operazione “Piombo fuso. La ricostruzione a Ga za non è mai cominciata perché I sraele impedisce l’arrivo di cemen to, acciaio, vetro e altro materiale e dilizio. E così i quattro miliardi e mezzo di dollari stanziati dai Paesi donatori durante la conferenza di Sharm- el- Sheikh della scorsa pri mavera sono rimasti sulla carta. Stretta nella morsa di un durissimo embargo e isolata dal resto del mon do per la persistente chiusura delle frontiere, Gaza è sempre più una pri gione a cielo aperto dove la povertà aumenta insieme con la disperazio ne. Non c’è attività produttiva, le in frastrutture sono crollate, migliaia di famiglie non hanno l’acqua corren te, l’accesso a cure mediche e ai ser vizi igienici si è drammaticamente ridotto. Il blocco economico impo sto da Israele riguarda i prodotti “strategici”, praticamente ogni tipo di merce, ad eccezione di medicina li, beni per la sussistenza alimenta re e benzina. «Nella Striscia entrano da 60 a 100 camion al giorno, men tre il fabbisogno minimo si colloca attorno ai 500 – spiega il vice-diret tore della sede Unrwa di Gaza, lo sve dese Christer Nordahl –. Sono rifor nimenti col contagocce, di fatto sia mo in emergenza continua». Un re cente rapporto pubblicato da sedi ci Ong parla di «punizione colletti va » e denuncia il fallimento della co munità internazionale, «incapace di porre fine all’embargo israeliano». Se a Gaza non si muore di fame è so lo perché un milione di persone, l’80% della popolazione, riceve gli aiuti umanitari delle Nazioni Unite in quanto ha lo status di rifugiato (fi gli e nipoti dei profughi del 1948). Il resto è al soldo del governo di Ha mas come militare o poliziotto (32mila persone) oppure continua a ricevere un sussidio dal governo del l’Anp che controlla la Cisgiordania (77mila ex dipendenti pubblici).

Li si può notare mentre formano lunghe code davanti alle succursali della Bank of Palestine per ritirare i soldi inviati da Ramallah. Le strade sono sempre piene di gente che ciondola senza far nulla, i giovani passano le giornate al caffè, annoia ti e depressi. Molti di loro sono in gegneri, contabili, insegnanti, sen za lavoro e senza possibilità d’emi grare. «Peggio della povertà mate riale è la devastazione psicologica di chi vive chiuso in una gabbia. A sof frirne di più sono i bambini. Hanno spesso crisi di panico e sviluppano una forte aggressività – mi spiega il direttore del Centro d’igiene menta le di Gaza City, il dottor Iyad Saraj – . In passato i ragazzi si identificava no nella figura dello shahid , il mar tire kamikaze. Oggi non credo no più nella po litica, si diffonde l’uso delle dro ghe e aumenta la violenza a livello familiare».
Hamas ha perso popolarità, an che se resta sal damente al po tere, che man tiene con pugno di ferro. L’unica opposizione, quella del movimento salafita, ancor più radicale dei fondamentalisti islami ci al governo, è stata oggetto di una repressione spietata. Attorno a Ha mas sono cresciuti i “nuovi im prenditori” che gestiscono il traf fico illegale attraverso i tunnel sotterranei. A Rafah, all’estre mo sud della Striscia, sorge quella che ironicamente viene chiamata la “zona in dustriale” di Gaza, un ter mitaio nascosto da grandi tendoni da cui esce ogni tipo di merce, comprese armi e munizioni. C’è una sola economia a Gaza, quella dei tunnel (circa un migliaio scavati lungo i 12 chilometri di confine con l’Egitto), e c’è un solo potere, quello di Hamas. È l’effetto perverso del blocco israeliano. Per scavare un cu nicolo basta pagare tremila dollari a un funzionario di Hamas, mentre dall’altra parte ce ne vogliono cin quemila per far chiudere gli occhi al le guardie di frontiera egiziane.

Ma da qualche giorno, oltre confine, sono iniziati degli strani lavori. Si ve dono trivelle giallognole in movi mento e corre voce che l’Egitto stia costruendo una barriera d’acciaio sotterranea fino a 30 metri di profon dità. «Se fanno una cosa del genere Gaza morirà di fame», dice Abu Kha lil alle prese con un montacarichi pieno di sacchi di cemento. Hamas accusa l’Egitto di «comportamento inumano » . Il Cairo si difende ac cennando vagamente all’installa zione di sensori anti-contrabbando. Sto per lasciare Rafah quando sento dei colpi d’arma da fuoco. Qualcu no si è messo a sparare contro gli o perai egiziani, la tensione è destina ta a crescere. Sul fronte israeliano la calma che ha ca ratterizzato gli ultimi mesi è stata brusca mente interrotta ieri mattina con l’uccisione di tre palestinesi nelle vicinanze del va lico di Erez. «C’è una tregua di fatto» mi confer ma Abu Musaab, uno dei coman danti delle Brigate Ezzedim al-Qas sam, il braccio armato di Hamas. È il gruppo che da tre anni e mezzo tie ne prigioniero il soldato israeliano Gilad Shalit, per il quale Israele sta negoziando la liberazione in cam bio di un migliaio di detenuti politi ci palestinesi. Ma, comunque vada a finire la trat tativa, non ci sarà pace con il nemi co sionista. «L’operazione “Piombo fuso” ci ha aperto gli occhi – dice A bu Musaab –. Non si tratta più di resistere all’occupazione, d’ora in avanti sarà guerra vera e propria. Noi ci stiamo preparando » . Paro le inquietanti che fanno presagire nuovi scontri e nuovi lutti. Ab bandonata e senza cure, la ferita di Gaza tornerà di nuovo a san guinare? Le strade sono sempre piene di gente che ciondola senza far nulla I giovani passano le giornate al caffè, annoiati e depressi. Molti sono ingegneri, insegnanti, senza lavoro né possibilità d’emigrare L’80% della popolazione riceve gli aiuti per non morire di fame «Peggio della povertà, è la devastazione psicologica di chi vive in gabbia. I ragazzi non credono più a nulla: si diffonde l’uso delle droghe e aumenta la violenza in famiglia»
http://edicola.avvenire.it/ee/avvenire/default.php?pSetup=avvenire
http://www.medarabnews.com/2009/12/28/la-politica-ostacola-la-ricostruzione-di-gaza/

http://rete-eco.it/it/approfondimenti/gaza/10562-failing-gaza-no-rebuilding-no-recovery-no-more-excuses.html

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