Amira Hass: fuga da Gaza
Khalil, un avvocato che si è specializzato nella difesa dei ragazzi palestinesi presso i tribunali militari israeliani, è in Irlanda da nove mesi per seguire un master in difesa dei diritti umani e rappresentanza processuale.
Ha potuto farlo grazie a una borsa di studio, ma ha dovuto lasciare la moglie e i figli a Ramallah. Speravano di incontrarsi quest'estate in Irlanda e concedersi una piccola vacanza prima del suo ritorno allo straziante lavoro nei tribunali militari, dove la "giustizia" è un concetto sconosciuto.
Sua moglie ha presentato al consolato irlandese di Ramallah tutti i documenti necessari per ottenere il visto. Da allora sono passate molte settimane, in cui le hanno chiesto di portare altri documenti.
Poi, all'inizio di maggio, la richiesta di visto è stata ufficialmente respinta. Non è stata fornita nessuna motivazione per il rifiuto, ma è evidente: gli stati europei hanno paura che i turisti palestinesi possano chiedere asilo politico. Un'intera famiglia è sospettata a priori. Che vadano pure a cercarsi i boschi verdi e i torrenti limpidi in Giordania o in Arabia Saudita.
Le storie di persone che emigrano sono sempre più numerose. Il mio vicino ha ottenuto un buon posto di lavoro in un ministero palestinese, ma sta ancora cercando di trasferirsi in Canada con la famiglia. I proprietari del suo appartamento sono già emigrati in Canada. Il fratello di Khalil, esperto appaltatore, è emigrato a Dubai.
Lì potrebbe incontrare il mio amico Iyad, un ingegnere civile che se n'è andato l'anno scorso. Gli abitanti di Gaza stanno fuggendo, almeno i più ricchi e i professionisti che sono graditi al Cairo e ad Amman.
Fuggono dalle violenze tra le fazioni, dall'impotenza dei leader politici, dal timore che le cose possano peggiorare ulteriormente. Adesso si uniscono a loro altre persone, preoccupate che il caos e l'assenza di forze di polizia affidabili possano aggravare la situazione anche in Cisgiordania.
Ha potuto farlo grazie a una borsa di studio, ma ha dovuto lasciare la moglie e i figli a Ramallah. Speravano di incontrarsi quest'estate in Irlanda e concedersi una piccola vacanza prima del suo ritorno allo straziante lavoro nei tribunali militari, dove la "giustizia" è un concetto sconosciuto.
Sua moglie ha presentato al consolato irlandese di Ramallah tutti i documenti necessari per ottenere il visto. Da allora sono passate molte settimane, in cui le hanno chiesto di portare altri documenti.
Poi, all'inizio di maggio, la richiesta di visto è stata ufficialmente respinta. Non è stata fornita nessuna motivazione per il rifiuto, ma è evidente: gli stati europei hanno paura che i turisti palestinesi possano chiedere asilo politico. Un'intera famiglia è sospettata a priori. Che vadano pure a cercarsi i boschi verdi e i torrenti limpidi in Giordania o in Arabia Saudita.
Le storie di persone che emigrano sono sempre più numerose. Il mio vicino ha ottenuto un buon posto di lavoro in un ministero palestinese, ma sta ancora cercando di trasferirsi in Canada con la famiglia. I proprietari del suo appartamento sono già emigrati in Canada. Il fratello di Khalil, esperto appaltatore, è emigrato a Dubai.
Lì potrebbe incontrare il mio amico Iyad, un ingegnere civile che se n'è andato l'anno scorso. Gli abitanti di Gaza stanno fuggendo, almeno i più ricchi e i professionisti che sono graditi al Cairo e ad Amman.
Fuggono dalle violenze tra le fazioni, dall'impotenza dei leader politici, dal timore che le cose possano peggiorare ulteriormente. Adesso si uniscono a loro altre persone, preoccupate che il caos e l'assenza di forze di polizia affidabili possano aggravare la situazione anche in Cisgiordania.
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