RabbinoLerner: guerra tra palestinesi colpa israeliana
La guerra civile quasi in corso fra i palestinesi è colpa dell'occupazione israeliana: finché non finirà non risolveremo la questione mediorientale, non stabilizzeremo l'Iraq, e non sconfiggeremo i terroristi».
Il rabbino Michael Lerner, direttore della rivista Tikkun, era uno dei consiglieri preferiti da Bill Clinton e sua moglie Hillary. Questo spiega la posizione sulla crisi mediorientale, opposte a quella dell'amministrazione Bush.
I palestinesi si sparano fra di loro e lei incolpa Israele?
«Hamas e Fatah si stanno scontrando per una divergenza tattica su come porre fine all'occupazione: il primo gruppo è intransigente e punta sulla violenza, mentre il secondo favorisce il negoziato politico. Alla radice, quindi, c'è il comportamento dello Stato ebraico, che non può sperare nella pace e nella sicurezza finché non avrà risolto in maniera generosa il problema della convivenza con i palestinesi».
Chi appoggia Hamas e chi sostiene Fatah?
«Iran e Siria sono con Hamas, mentre l'Egitto sta con Fatah».
L'Arabia Saudita non sostiene nessuno?
«Al contrario: probabilmente appoggia entrambi, per evitare di mettersi contro qualcuno che poi potrebbe andare al potere. L'Arabia è governata da una piccola élite senza legittimità: la monarchia si regge solo grazie al sostegno militare degli Stati Uniti. Il suo unico interesse è che nei Paesi musulmani non vadano al potere forze nemiche, inclini ad appoggiare gli oppositori interni come al Qaeda, che vogliono rovesciare l'esecutivo».
In questo quadro, qual è l'interesse strategico degli Stati Uniti e dell'Occidente?
«Trovare una soluzione politica alla questione israelo-palestinese, se necessario imporla, per evitare che l'Iran, l'Iraq, l'Arabia e anche i terroristi di Osama bin Laden, possano usare l'occupazione israeliana come una scusa per non affrontare i loro problemi interni o continuare a scatenare il risentimento popolare».
Alcuni intellettuali neocon, tipo Daniel Pipes, sostengono che fare concessioni ai palestinesi li incoraggia a distruggere Israele, quindi è meglio lasciare che si indeboliscano da soli attraverso la guerra civile.
«Hanno torto, come è già accaduto in Iraq: questa strategia non ha funzionato e non funzionerà mai. La posizione dei neocon, pur ammantandosi formalmente con gli ideali democratici, è basata su un disprezzo di fondo per arabi e musulmani. In teoria dicono di volerli liberare dall'oppressione, in realtà li trattano come esseri umani spendibili. Questo si è visto chiaramente in Iraq, dove il Pentagono non conta nemmeno le vittime civili: dovremmo portare la democrazia ma intanto stiamo portando solo morte. Fino a quando non cambieremo atteggiamento nei confronti degli arabi e dei musulmani, mostrando più rispetto, non potremo aspettarci la pace. È ora di fare qualcosa sul piano politico, invece di restare a guardare la gente che muore e sperare che ciò risolva tutti i problemi».
Cosa suggerisce?
«Un accordo con i palestinesi sulla base delle intese di Ginevra. Creare uno stato in quasi tutta la Cisgiordania e Gaza, con l'eccezione del 5% di territorio dove si trovano gli insediamenti di confine, che passeranno definitivamente ad Israele. In cambio, lo Stato ebraico cederà un 5% di terra altrettanto utile altrove. Questo scambio dovrà portare al riconoscimento definitivo e concreto di Israele: una pace calda, non quella fredda esistente con l'Egitto. Quindi gli Usa e gli alleati occidentali dovranno finanziare un fondo per compensare i palestinesi che dal 1947 a oggi hanno perso la loro terra. Infine, bisognerà formare una commissione per la riconciliazione, sull'esempio di quanto avvenuto in Sudafrica. Finché non risolveremo così la questione mediorientale non stabilizzeremo l'Iraq, perché i Paesi arabi e musulmani non ci aiuteranno, e non batteremo il terrorismo».
I palestinesi si sparano fra di loro e lei incolpa Israele?
«Hamas e Fatah si stanno scontrando per una divergenza tattica su come porre fine all'occupazione: il primo gruppo è intransigente e punta sulla violenza, mentre il secondo favorisce il negoziato politico. Alla radice, quindi, c'è il comportamento dello Stato ebraico, che non può sperare nella pace e nella sicurezza finché non avrà risolto in maniera generosa il problema della convivenza con i palestinesi».
Chi appoggia Hamas e chi sostiene Fatah?
«Iran e Siria sono con Hamas, mentre l'Egitto sta con Fatah».
L'Arabia Saudita non sostiene nessuno?
«Al contrario: probabilmente appoggia entrambi, per evitare di mettersi contro qualcuno che poi potrebbe andare al potere. L'Arabia è governata da una piccola élite senza legittimità: la monarchia si regge solo grazie al sostegno militare degli Stati Uniti. Il suo unico interesse è che nei Paesi musulmani non vadano al potere forze nemiche, inclini ad appoggiare gli oppositori interni come al Qaeda, che vogliono rovesciare l'esecutivo».
In questo quadro, qual è l'interesse strategico degli Stati Uniti e dell'Occidente?
«Trovare una soluzione politica alla questione israelo-palestinese, se necessario imporla, per evitare che l'Iran, l'Iraq, l'Arabia e anche i terroristi di Osama bin Laden, possano usare l'occupazione israeliana come una scusa per non affrontare i loro problemi interni o continuare a scatenare il risentimento popolare».
Alcuni intellettuali neocon, tipo Daniel Pipes, sostengono che fare concessioni ai palestinesi li incoraggia a distruggere Israele, quindi è meglio lasciare che si indeboliscano da soli attraverso la guerra civile.
«Hanno torto, come è già accaduto in Iraq: questa strategia non ha funzionato e non funzionerà mai. La posizione dei neocon, pur ammantandosi formalmente con gli ideali democratici, è basata su un disprezzo di fondo per arabi e musulmani. In teoria dicono di volerli liberare dall'oppressione, in realtà li trattano come esseri umani spendibili. Questo si è visto chiaramente in Iraq, dove il Pentagono non conta nemmeno le vittime civili: dovremmo portare la democrazia ma intanto stiamo portando solo morte. Fino a quando non cambieremo atteggiamento nei confronti degli arabi e dei musulmani, mostrando più rispetto, non potremo aspettarci la pace. È ora di fare qualcosa sul piano politico, invece di restare a guardare la gente che muore e sperare che ciò risolva tutti i problemi».
Cosa suggerisce?
«Un accordo con i palestinesi sulla base delle intese di Ginevra. Creare uno stato in quasi tutta la Cisgiordania e Gaza, con l'eccezione del 5% di territorio dove si trovano gli insediamenti di confine, che passeranno definitivamente ad Israele. In cambio, lo Stato ebraico cederà un 5% di terra altrettanto utile altrove. Questo scambio dovrà portare al riconoscimento definitivo e concreto di Israele: una pace calda, non quella fredda esistente con l'Egitto. Quindi gli Usa e gli alleati occidentali dovranno finanziare un fondo per compensare i palestinesi che dal 1947 a oggi hanno perso la loro terra. Infine, bisognerà formare una commissione per la riconciliazione, sull'esempio di quanto avvenuto in Sudafrica. Finché non risolveremo così la questione mediorientale non stabilizzeremo l'Iraq, perché i Paesi arabi e musulmani non ci aiuteranno, e non batteremo il terrorismo».
La Stampa, 18/12/2006
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