Alberto Negri - Italia e Francia restano più concorrenti che alleati

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Alberto Negri - Italia e Francia restano più concorrenti che alleati
Concorrenti in politica estera e anche in economia dove lo stesso Macron ha bloccato l'acquisizione da parte di Fincantieri dei cantieri statali francesi Stx. Il Trattato del Quirinale è più formale che sostanziale ma la stampa è sommersa da un diluvio di retorica
Tra Italia-Francia quasi sempre trionfa l’ipocrisia. In realtà il Trattato del Quirinale è più che altro una dichiarazione di intenti, un favore che facciamo a Macron in corsa per le presidenziali e sotto tiro della destra sovranista. Mentre sul piano internazionale l’accordo è uno strumento con il quale Italia e Francia si riposizionano mentre esce di scena la cancelliera Angela Merkel.
L’unica cosa politicamente concreta è che al “sovranismo” nazionalista il Trattato replica con una sorta di “sovranismo europeista”. Si tratta da questo punto di vista di un indubbio progresso del governo Draghi rispetto al clima delle relazioni bilaterali negli anni precedenti.
Il rapporto tra Francia e Italia era diventato particolarmente tossico tra il 2018 e il 2019, con il governo Lega-Movimento 5 Stelle, mentre è in netto miglioramento dall’insediamento di Draghi, a partire quindi da febbraio del 2021. Interessante quanto scrive il giornale Usa “Politico”: “nonostante la competizione negli ultimi anni, in ambiti tra cui la migrazione, la Libia e i progetti industriali, Parigi e Roma si sono avvicinate negli ultimi mesi mentre si coordinavano sul piano di ripresa economica post-pandemia dell’UE. Poiché entrambe le nazioni sono fortemente indebitate, hanno un interesse comune a spingere l’Unione a ridurre la pressione riguardo alla loro spesa”.
Anche “Politico sottolinea il fatto che il cosiddetto Trattato del Quirinale è stato firmato proprio in concomitanza con l’uscita di scena della Merkel, che crea un vuoto nella politica europea, e alla vigilia della campagna elettorale per le presidenziali francesi del 2022. Quindi, come dicevamo, un favore a Macron.
A Villa Madama ieri si sono sprecati sorrisi tra due Paesi alleati nella Ue e nella Nato ma certo non amici visto quanto è accaduto e accade ancora sulla Libia: la Francia, in maniera talvolta esplicita e talaltra sotterranea, appoggia il generale della Cirenaica Khalifa Haftar candidato alle presidenziali del 24 dicembre (se si terranno). Un generale che nel 2020 ha umiliato l’Italia costringendo un premier, Conte, e un ministro degli esteri, Di Maio, ad andare a Bengasi per recuperare i pescatori di Mazara del Vallo. Cosa hanno fatto i francesi per aiutarci? Nulla.
La Francia va a braccetto con il dittatore egiziano Al Sisi (cui per altro pure noi vendiamo miliardi di euro di armi) e insieme al generale spia con i sistemi satellitari amici e nemici. Salta anche fuori un documento dei servizi segreti francesi secondo i quali Regeni sia stato vittima di una feroce competizione tra gli apparati di sicurezza egiziani. Ma non risulta che Macron, che ha insignito Al Sisi della Legion d’Onore, si sia mai preso la briga di chiedere conto di Regeni al generale, nonostante ci sia su questo assassinio barbarico un risoluzione durissima del Parlamento europeo.
I francesi sono europeisti quando gli fa comodo: nel 2011 per buttare giù Gheddafi si sono alleati con gli Usa e la Gran Bretagna. Parigi ha assestato all’Italia la peggiore sconfitta dalla seconda guerra mondiale, quando i francesi si legarono al dito la proditoria dichiarazione di guerra alla Francia del regime fascista. Poi, nel dopoguerra, l’Italia e l’Eni di Mettei, sostennero l’Algeria nella sanguinosa guerra di indipendenza dalla Francia (un milione di morti) e loro quando hanno potuto ci hanno restituito il colpo in Libia facendo fuori Gheddafi. Quanto al possibile, se non probabile, coinvolgimento dell’aviazione militare francese nell’abbattimento del volo passeggeri italiano su Ustica del 1980 (81 morti), neppure Macron ci ha dato un mano a chiarire il mistero.
Gli interessi comuni ci sono, ma sono più quelli francesi in Italia che viceversa. Nel trattato del Quirinale si parla di cooperazione economica, industriale e digitale. Ma sono dichiarazioni di intenti, la realtà finora è stata ben diversa. Dalla partita aperta su Tim a Fincantieri a tutti gli intrecci economici con Parigi, sono tanti i marchi italiani, soprattutto nel settore del lusso, finiti in mani francesi, mentre sono assai meno i casi inversi.
Nel gruppo Tim i francesi di Vivendi sono gli azionisti di maggioranza relativa. La convivenza nel capitale con gli altri soci è sempre stata difficile, vedremo se ora di fronte all’Opa di Kkr, saranno pronti a collaborare con il governo italiano. Ma i francesi di Vivendi, che negli anni scorsi si erano impegnati in un tetnativo di scalata di Mediaset di Berlusconi, non hanno nessuna intenzione di mollare Tim soprattutto ai prezzi offerti finora, tendendo anche conto che il patron di Vivendi, Vincent Bolloré, non è certo un amico di Macron.
Intanto i marchi del lusso francese si sono portati a casa alcuni dei pezzi più pregiati dcl sistema italiano. La Lvmh di Bernard Arnault, che controlla marchi come Louis Vuitton e Moet-Chandon, si è comprato Fendi e Bulgari. La rivale Kerin, cui fanno capo Saint Laurent e Belenciaga, si è preso Gucci, Pomellato e Bottega Veneta. Nel settore dell’energia Edf ha conquistato Edison, nell’alimentare, dopo il crack di Calisto Tanzi, la Parmalat è finita al gruppo francese Lactalis (che aveva già comprato Galbani). Mentre nel campo bancario Bnp Parbas controlla la Bnl e il Credit Agricole ha rilevato Cariparma e altre casse di risparmio. Il gruppo francese Axa inoltre è stato spesso citato per avere nel mirino le Generali, principale asset finanziario italiano. Più recente invece l’intesa tra Fiat Chrysler e Psa che ha dato vita a Stellantis, gruppo di cui il principale azionista è il gruppo Exor di Agnelli-Elkann.
Più rare e anche meno fortunate le sortite italiane in terra di Francia: la Fincantieri ha dovuto rinunciare all’acquisizione dei cantieri navali pubblici Stx, operazione fallita proprio su spinta di Macron. Quindi non raccontiamoci barzellette sul Trattato
Ma di che stiamo parlando allora? Di una cooperazione che appare più una competizione che una collaborazione. Riuscirà un Trattato a modificare le cose? C’è da dubitarne assai.

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