Limes :La Russia in Siria, i migranti in Germania . Rassegna geopolitica di oggi , con link per approfondire

 rassegna geopolitica della giornata, con link per approfondire e ricostruire il contesto.



La Russia in Siria, il giorno dopo
I bombardamenti aerei russi, iniziati ieri e proseguiti oggi, segnano una nuova fase nella guerra di Siria. Non c’è chiarezza sugli obiettivi colpiti da Mosca (non solo lo Stato Islamico, ha ammesso il Cremlino), ma c’è chiarezza sull’obiettivo politico: sostenere il regime del presidente al-Asad contro tutti i suoi avversari in nome della lotta al terrorismo, garantirsi un posto al tavolo delle trattative sulla transizione – se mai diverranno serie – e avere una pedina negoziale in più da giocarsi in altri dossier, a partire dall’Ucraina.
Ci scrive Orietta Moscatelli:
Gli Stati Uniti sono scettici sui veri obiettivi dei raid russi in Siria e Mosca non fa molto per fugare questi dubbi. Non ha interesse a farlo, d’altronde. Più a lungo gli americani restano nell’angolino del penitente, meglio è per una Russia reduce da un anno e mezzo di duro isolamento internazionale. Vladimir Putin ha assicurato che con gli americani ci sono contatti a vari livelli e che sarà creato un “meccanismo d’eccezione” per coordinare le azioni in Siria, ma la domanda è quale possa essere il punto di caduta della partita avviata dal Cremlino. C’è motivo di dubitare che il presidente russo voglia intraprendere una lunga e costosa campagna militare, per quanto interessante possa essere l’investimento nel paese mediorientale. Il negoziato sull’Ucraina (e sulle sanzioni internazionali, punto cruciale su cui si preferisce per ora tacere) peserà non poco sulle prospettive della campagna siriana di Putin.
Per approfondire:
Siria Libanizzata di L. Trombetta


Le nuove leggi della Germania sui migranti
Il parlamento tedesco ha approvato dei provvedimenti tesi a ridurre l’afflusso di migranti, tagliando i benefici da questi ricevuti. Nei giorni scorsi Berlino aveva decretato che le persone provenienti da Albania, Kosovo e Montenegro verranno considerate “migranti economici”, per agevolare le procedure di rimpatrio. La scelta estiva di Angela Merkel – sospendere il trattato di Dublino per accogliere i richiedenti asilo siriani – aveva garantito alla cancelliera un ottimo ritorno d’immagine, particolarmente gradito dopo la crisi greca, e alla Germania un bacino di manodopera qualificata con cui far fronte al declino demografico. Ma le ha causato le critiche degli alleati bavaresi della Cdu/Csu, oltre ad aver colto impreparato il resto d’Europa, che rimane spaccato su come gestire l’arrivo dei migranti.
Sulla questione aveva scritto per noi Dario Fabbri:
Condannata a perdere circa dieci milioni di abitanti, nonché il 25% della forza lavoro entro la metà del secolo, Berlino intende stemperare il drammatico sviluppo attraverso l’apertura ai profughi. Ben 800 mila nel 2015 e almeno 500 mila nei prossimi anni. Da sempre gli strateghi tedeschi hanno l’esigenza di supportare la qualità del welfare nazionale e negli ultimi anni hanno individuato nel bulimico surplus commerciale, principale origine degli squilibri interni all’Eurozona, lo strumento utile a sopperire nel lungo periodo alla diminuzione e all’invecchiamento della popolazione. La svolta della Merkel potrebbe dunque segnalare anche il timore di un possibile rallentamento dell’export teutonico.
Per approfondire:
E l’Europa dichiarò guerra al clandestino di F. Vassallo Paleologo


La Moldova in piazza e forse presto al centro del ciclone
Ci scrive Dario Quintavalle:
Più di centomila persone si sono radunate, a partire dal 6 settembre, nella Piazza della Grande Assemblea Nazionale di Chisinau (Piaţa Marii Adunări Naţionale da cui l’hastag #pman su Twitter) per protestare contro la corruzione che alligna nel paese. La protesta è stata organizzata dalla Piattaforma Civica per la Dignità e la Verità. A fare da detonatore, le rivelazioni sulla colossale frode che ha portato alla sparizione di un milione di dollari dalle tre maggiori banche del paese, una somma che pari al 13% del pil moldavo. Un’iniezione di liquidità dalle casse dello Stato per salvarle non ha fatto che aumentare il deficit pubblico, portando alla chiusura di servizi essenziali e al crollo del leu moldavo, la valuta nazionale. I manifestanti chiedono le dimissioni del presidente Timofti (eletto nel 2012 dopo una sede vacante di tre anni), accusandolo di proteggere interessi illeciti. A giugno il primo ministro Gaburici era stato costretto a dimettersi con l’accusa di aver falsificato il suo titolo di studio. Gli è subentrato il milionario Streleţ, che si regge sulla medesima fragile coalizione pro-europea di governo composta da tre partiti poco fantasiosamente denominati Liberali, Democratici Liberali e Democratici. Bersaglio dei manifestanti anche il corrottissimo sistema giudiziario, il cui pesante coinvolgimento nello scandalo era stato denunciato da Gaburici (la sua incriminazione da parte della Procura generale è stata letta come un ‘avvertimento’). L’Unione Europea ha congelato un programma di assistenza finanziaria di 40 milioni di euro, seguendo l’esempio del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale. Ciò potrebbe portare lo Stato alla bancarotta, mentre proseguono i programmi di assistenza tecnica; da poco è stata lanciata una selezione per l’invio, da parte delle amministrazioni nazionali degli Stati membri, di 25 High Level Advisers che avranno il compito di collaborare con la pubblica amministrazione moldava nel quadro dell’Accordo di associazione.
Le riforme languono in questo paese – che pochi anni fa veniva definito “l’allievo modello della Eastern Partnership” – e spesso si rivelano di pura facciata. Ma la stretta collaborazione tra l’Ue e le classi dirigenti corrotte fa sì che Bruxelles sia vista come la garante dello status quo. Un paese essenzialmente contadino risente poi delle sanzioni selettive imposte dalla Russia dopo l’Accordo di associazione – selettive perché non colpiscono, ad esempio, la regione filorussa e semiautonoma della Gagauzia.
La Moldova potrebbe essere l’occhio di un altro ciclone geopolitico. L’Ucraina ha pesantemente ristretto il transito di truppe russe dalla regione separatista della Transnistria, il cui confine verrebbe presidiato ora dal famigerato battaglione Azov; 300 soldati russi sono stati arrestati e deportati da Chisinau a maggio. A sud si agita il Budjak, la Bessarabia ucraina, composita regione ex moldava che fa parte del distretto di Odessa. Gli animatori di #pman hanno poi cercato di marginalizzare le dimostrazioni degli unionisti filo-romeni di Action 2012, che avevano tenuto con successo una manifestazione nella stessa piazza lo scorso 16 maggio. Resta da vedere se il movimento civico saprà darsi una piattaforma di lungo respiro, o – più   probabilmente – si rivelerà una pedina del gioco delle parti tra le oligarchie che tengono ferreamente il paese in pugno.
Per approfondire:
Moldova e Transnistria: le ragioni profonde di una crisi permanente di P. Sartori


Cina, le esplosioni sospette
Una serie di pacchi-bomba sta facendo vittime nella provincia cinese del Guangxi. La polizia sta trattando la vicenda come un reato comune e non come terrorismo – è già capitato che l’insoddisfazione verso i funzionari locali sfoci in atti simili – ma la coincidenza con l’odierno anniversario della proclamazione della Repubblica Popolare Cinese potrebbe non essere casuale.
Pochi dubbi invece sul movente politico dell’attacco alla miniera di carbone nello Xinjiang che ha fatto almeno 50 morti, prevalentemente di etnia Han (maggioritaria in Cina). Pechino accusa i “terroristi” uiguri, ma la repressione operata dal governo centrale contro gli abitanti della regione a maggioranza musulmana è parte del problema.
Sullo Xinjiang ha scritto per noi in passato Giorgio Cuscito:
La responsabilità di simili violenze è attribuita a frange estremiste della minoranza degli uiguri, turcofoni di religione musulmana che popolano il Xinjiang (in cinese “Nuova frontiera”), da loro chiamato Turkestan orientale. La “Nuova frontiera” è la regione più occidentale della Repubblica popolare cinese (Rpc) ed è fondamentale nelle strategie senergetiche di Pechino, sempre alla ricerca d’idrocarburi per alimentare la crescita economica del Dragone. Inoltre, il Xinjiang è uno snodo cruciale della “nuova via della seta”, il progetto infrastrutturale e commerciale che nei piani di Xi Jinping collegherà il paese all’Europa, per terra e per mare. Tuttavia, la contiguità geografica con l’Afghanistan e il Pakistan e il tentativo di Pechino di “sinizzare” la regione l’hanno resa terreno fertile per il jihadismo. […] Il sentimento anti-han si è radicalizzato e ha alimentato le aspirazioni separatiste degli uiguri. Pechino considera il Movimento islamico per l’indipendenza del Turkestan Orientale (Etim) la più pericolosa organizzazione terroristica della Rpc e teme che questa riceva appoggio economico e operativo da al Qaida.
Per approfondire:
La partita del Xinjiang di G. Cuscito e F. Petroni



Aggiornamenti
La conquista talebana di Kunduz è durata poco, secondo il governo afghano.


Anniversari geopolitici
331 a.C.: Battaglia di Gaugamela, che porterà alla caduta dell’impero achemenide.
1924: Nasce Jimmy Carter
1949: Mao Zedong proclama la Repubblica Popolare Cinese
2012: Muore Eric Hobsbawm

Ha collaborato Federico Petroni. Carta di Laura Canali animata da Marco Terzoni.

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