Ugo Tramballi : Occhio per occhio

Il Sole-24 Ore, 1/8/2015
Occhio per occhio, diceva il Mahatma Gandhi, rende tutto il mondo cieco. Israeliani e palestinesi sono ipovedenti in forma cronica e grave dall’inizio del loro conflitto, più di un secolo fa. Ieri, la vittima di questa faida senza fine è stato un bambino palestinese di 18 mesi, bruciato vivo nella sua casa alla fine di un assalto di estremisti ebrei armati di bottiglie incendiarie. “Vendetta!”, hanno scritto su un muro, in ebraico, accanto a una stella di Davide.
Il villaggio di Duma, tremila abitanti nel Nord della Cisgiordania, verso Nablus, è povero come tutti i piccoli centri abitati della zona: fra un insediamento e un posto di blocco, la requisizione di un oliveto e una retata dell’esercito israeliano, è difficile sviluppare un’economia oltre la sussistenza. L’altra notte tre, forse quattro uomini sono presumibilmente arrivati da una colonia ebraica vicina, Ma’ale Efrayim. Il loro obiettivo erano le prime due case di Duma: un po’ più isolate e più facili da colpire. Hanno rotto le finestre e buttato delle bottiglie incendiarie.
Una delle due case era deserta, nell’altra viveva Saad Daabsheh con la moglie Rihma, i figli Ali di 18 mesi e Ahmad, di quattro anni. Saad fa il muratore e costruisce case nelle colonie israeliane – anche questo significa l’economia dell’occupazione - Rihma insegna matematica. Assaliti nel sono dalle fiamme, Saad riesce a prendere il piccolo Ahmad e spingere fuori Rihma. E’ impossibile raggiungere Ali. Saad, Rihma e Ahmad sono gravi: Ricoverati in un ospedale israeliano, rischiano anche loro di morire.
Vanno a visitarli Reuven Rivlin, il presidente israeliano, e Bibi Netanyahu, il primo ministro. “Siamo scioccati, condanniamo pienamente: l’intero governo e tutti gli israeliani”, dice Netanyahu. “Cattureremo questi assassini. E’ un crimine terroristico: il terrorismo è terrorismo”, da qualsiasi parte venga, conclude per essere più chiaro.
Sono parole che gli israeliani, soprattutto Netanyahu e il suo governo, usano con grande parsimonia quando gli assassini sono coloni degli insediamenti ebraici. La definizione di “terroristi”, l’uso del termine “equivalente ebraico della jihad”, sono un segno politico interessante. Ma di soliti le indagini sui fatti di sangue sono molto più efficienti, e gli arresti più rapidi, se i terroristi sono palestinesi. Per questo Abu Mazen, il presidente dell’Autorità palestinese di Ramallah, mette le mani avanti: “Dei passi devono essere intrapresi, oltre le parole”.
La scritta “Vendetta” lasciata dai terroristi ebrei sul muro di Duma, si riferisce probabilmente al recente omicidio di Malachi Rosenfeld, 26 anni, ucciso da palestinesi fuori dal vicino insediamento di Shilo. Forse per vendicare l’uccisione di quattro giovani arabi. Sarebbe bello se l’atroce morte di Ali e lo sbigottimento israeliano fossero l’inizio di qualcosa di diverso. Non sarà così. Hamas, da sempre attivo partecipante della faida, dice che ora ogni israeliano è un obiettivo. Ma tutto questo non accade per via di Hamas o del movimento dei coloni che per Israele sono un cancro infinitamente più pericoloso dell’accordo sul nucleare iraniano. Accade perché il campo di battaglia della faida è un territorio occupato o “conteso” (è la versione israeliana) da 48 anni, senza un’ipotesi di soluzione.
Ogni volta che Hamas o la Jihad islamica compiono un attentato, Bibi Netanyahu accusa Abu Mazen di sostenere il terrorismo. Ora è Bibi nella situazione speculare. Naftali Bennett, leader del partito nazional-religioso dei coloni, è il suo ministro dell’Educazione e l’alleato più importante della sua coalizione di governo. Bennett, che in campagna elettorale vantava di avere ucciso molti arabi, è un istigatore di quei movimenti estremisti ora definiti anche “terroristi”. Se ora condanna la morte di Ali, le sue sono lacrime da coccodrillo.
Eppure, nonostante Bennett, nonostante Hamas e la nuova “jihad ebraica”, Netanyahu non ha tutti i torti ad accusare Abu Mazen; e il leader palestinese ha qualche ragione a scaricare le colpe su quello israeliano. E’ l’occupazione, è l’odio che coltiva e moltiplica, a creare quell’ambiguità nella quale l’affiliazione tribale trionfa sempre sulla vera giustizia e sulla politica.
Ora altri conflitti mediorientali hanno la precedenza in termini di maggiore pericolosità. Quello fra israeliani e palestinesi, sempre più vendetta e sempre meno politica, è in lista d’attesa diplomatica. Ma se andaste fra i giovani ebrei esaltati degli insediamenti, i “ragazzi delle colline” convinti di essere lì per un disegno divino; se parlaste con i giovani palestinesi fra i quali il risentimento cresce parallelo all’inesistenza di prospettive, potreste constatare che il conflitto o la faida hanno già allevato la nuova generazione di combattenti, martiri, assassini e terroristi. Tutti ciechi fin dalla nascita, incapaci gli uni di distinguere le ragioni dell’altro.
Ugo Tramballi

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