Hamas sotto l’attacco israeliano in Cisgiordania e preda delle divisioni a Gaza

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Hamas sotto l'attacco israeliano in Cisgiordania e preda delle

Negli ultimi giorni decine di palestinesi, presunti affiliati del movimento islamista, sono stati arrestati dall’esercito israeliano. Nella Striscia crescono le tensioni con i gruppi islamisti radicali.
La scure israeliana torna ad abbattersi contro Hamas in Cisgiordania: in pochi giorni decine di presunti affiliati al movimento islamista palestinese sono stati arrestati dalle forze militari israeliane. Il raid più duro è stato compiuto ieri notte a Nablus: alle due del mattino circa 50 jeep dell’esercito sono entrate nella città, senza prima alcun coordinamento con le forze di sicurezza palestinesi (secondo gli Accordi di Oslo, nel caso di azioni in Area A – il 18% della Cisgiordania, sotto il controllo civile e militare palestinese – le autorità di Tel Aviv dovrebbe prima informare l’Autorità Palestinese).
I soldati hanno perquisito case nel campo profughi di Balata e in città vecchia, arrestando 31 palestinesi, di cui 20 presunti membri di Hamas. Molti degli arrestati sono ex prigionieri. L’operazione, di vasta scala, ha coinvolto non solo l’esercito, ma anche la polizia di frontiera e i servizi segreti interni, lo Shin Bet: “Gli arresti sono stati compiuti a seguito di un incremento dell’attività di Hamas nella zona di Hamas, attività volte a compiere attentati terroristici in Israele – si legge nel comunicato dell’esercito – Gli arrestati erano coinvolti nel finanziamento e la direzione di Hamas all’estero”.
Sale così a 49 il numero di presunti affiliati del movimento islamista arrestati da Israele dal primo aprile scorso. E sale il numero di prigionieri politici nelle carceri israeliane: alla vigilia della commemorazione della Giornata dei Prigionieri Palestinesi, che si celebra domani, sono 6mila i detenuti nelle prigioni israeliane. Tra loro 200 bambini, 23 donne, 450 prigionieri in detenzione amministrativa e 14 membri del Consiglio Legislativo Palestinese.
Martedì l’intelligence israeliana aveva arrestato due palestinesi, Muin Nour Shaer, 25 anni, del villaggio di Burqa (Nablus), e Daoud Adwan, 32, di el-Azzariya, con l’accusa di voler compiere – dietro presunto ordine di Hamas – un attacco al Container Checkpoint, posto di blocco israeliano tra Betlemme e Ramallah, unica via di collegamento tra la Cisgiordania del nord e quella del sud. Secondo lo Shin Bet, “la cellula” avrebbe progettato un attacco per la festa ebraica del Purim, dopo essersi addestrati all’uso delle armi automatiche. Arresti che seguono ad altre detenzioni: a marzo 6 palestinesi di Qalqilya e a febbraio 19 di Jenin sono stati arrestati con l’accusa di far parte di cellule di Hamas, considerata da Israele organizzazione terroristica.
L’obiettivo è chiaro: annientare il movimento islamista in Cisgiordania, dopo aver bombardato Gaza per 50 giorni per farlo scomparire dalla Striscia. All’epoca, Israele aveva come scopo – tra gli altri – quello di interrompere il processo di riconciliazione in corso tra Anp e Hamas, che avevano nella primavera del 2014 creato un governo di unità nazionale. Nella realtà dei fatti, quella riconciliazione non è mai avvenuta: le divisioni politiche tra Hamas e Fatah, il cui terreno di scontro è per lo più il rifiuto dell’Anp di Ramallah di pagare gli stipendi dei dipendenti pubblici di Gaza, si traducono nell’incapacità – o meglio, la non volontà – di organizzare le tanto attese elezioni nazionali.
La tensione continua così a salire, danneggiando in primis il popolo palestinese, privo di una reale guida politica. Ma la tensione preoccupa anche Hamas, isolato nell’enclave di Gaza, con il solo supporto finanziario del Qatar. L’allontanamento dall’asse sciita è stato il primo grave errore compiuto dalla leadership islamista, che ha rotto l’alleanza con la Siria, e di conseguenza l’Iran, per puntare ai legami con la Fratellanza Musulmana nel resto del mondo arabo. Ma con il crollo dei Fratelli Musulmani e il colpo di Stato al Cairo, che ha deposto l’islamista Morsi, Hamas si è ritrovata sola, senza soldi e un concreto appoggio politico.
La crisi in corso è ben visibile a Gaza, dove il movimento tenta di rafforzare i controlli di una zona che gestisce con sempre minore forza. La conseguenza è la crescita di movimenti e gruppi islamisti radicali, alcuni che si richiamano all’Isis, altri che si definiscono salafiti, e che potrebbero destabilizzare ulteriormente una Striscia al collasso, dopo la violenta operazione militare israeliana della scorsa estate. L’attacco al Centro Francese a Gaza City lo scorso dicembre fu rivendicato da una presunta cellula Isis, seppur non si abbiano prove certe della presenza di membri del califfato nella Striscia.
Secondo il sito arabo al-Monitor, le tensioni tra sostenitori dell’Isis e Hamas a Gaza sono cominciate già a febbraio, per toccare l’apice agli inizi di aprile con l’arresto da parte delle forze di Hamas di sette affiliati allo Stato Islamico dopo l’uccisione di un capo della milizia Akfan Beit al-Maqdis, legata ad Hamas, nel campo profughi di Yarmouk in Siria. Eppure Hamas preferisce negare: “L’Isis non è presente a Gaza – ha detto il portavoce del Ministero degli Interni, Iyad al-Bozom – Le notizie pubblicate da alcuni media non sono vere”.
Oggi il quotidiano liberale israeliano Haaretz ha pubblicato le opinioni di una serie di esperti israeliani, secondo i quali la frattura interna tra ala politica e ala militare (le Brigate al-Qassam) potrebbe mettere a rischio il cessate il fuoco con Israele. Un cessate il fuoco in realtà rotto più volte dall’esercito israeliano, che non ha mancato da settembre ad oggi di aprire il fuoco contro i contadini a est di Gaza e i pescatori lungo le coste.

( Fonte: Nena News )

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