Umberto De Giovannangeli : In Israele vincono Netanyahu e la paura



In Israele vincono Netanyahu e la paura

Nel futuro d’Israele c’è ancora lui, Benjamin Netanyahu.

L’uomo che aveva fortemente  voluto il voto anticipato, trasformandolo in un referendum sulla sua persona: prendere o lasciare.

Alla fine, smentendo tutte le previsioni della vigilia, Israele ha scelto di puntare ancora una volta su Netanyahu, “Mr Sicurezza”.

Il Likud, sempre più un partito personale, si conferma prima forza politica con 30 seggi, seguito dall’Unione Sionista di Isaac Herzog e Tzipi Livni con 24 seggi.

Terza forza politica del paese, un risultato senza precedenti nella storia d’Israele, è la Lista Unita che raggruppa i quattro partiti arabi israeliani (14 seggi). Al quarto posto si piazza Yesh Atid, il partito centrista dell’ex ministro delle Finanze Yair Lapid, con 12 seggi, seguito dall’altra sorpresa di questa tornata elettorale, Kulanu (10 seggi), il partito di destra sociale “inventato” dall’ex membro del Likud Moshe Kahlon, amato – soprattutto dai giovani – ex ministro delle Comunicazioni che ha abbassato le tariffe della telefonia mobile.

A Habayit Hayehudi del “tecno colono” ed ex ministro dell’Economia Naftali Bennett vanno 8 seggi, gli ortodossi sefarditi di Shas si attestano a 7, United Torah Judaism a 6 così come Yisrael Beiteinu del superfalco Avigdor Lieberman, il grande sconfitto di queste elezioni, per chiudere con la sinistra sionista del Meretz, relegata a 4 seggi.

L’azzardo di Netanyahu è riuscito. Ma trasformare un successo personale in una coalizione di governo stabile e omogenea è tutt’altro discorso. Per vincere, Netanyahu ha dovuto attingere dal serbatoio elettorale delle altre forze della destra più radicale: il partito di Lieberman, per l’appunto, e “Habayt Hayehudi” (Casa Ebraica) di Bennett.

Il governo delle destre vagheggiato da “Bibi” alla vigilia del voto raggiunge infatti i 44 seggi, 17 in meno di quelli necessari (61 su 120) per avere la fiducia della maggioranza della Knesset. Il che porta il capo dello Stato, Reuven Rivlin, anch’egli del Likud, a dichiarare: “Soltanto un governo di unità nazionale può evitare la disintegrazione della democrazia d’Israele e nuove elezioni anticipate”.

Sulla carta Netanyahu può contare su 67 deputati sui 120 della nuova Knesset. A patto però di imbarcare nel nuovo esecutivo anche gli ortodossi sefarditi di Shas e United Torah Judaism, partiti che faranno pesare i loro “appetiti” di poltrone e di denaro pubblico, cercando di privilegiare gli interessi del proprio elettorato: i coloni per Bennett, i giovani “haredim” per Shas e Uniteh Torah Judaism, i quali esigeranno, ad esempio, che venga ritirata la legge voluta dal precedente governo che imponeva la leva obbligatoria anche agli studenti delle yeshivat (le scuole talmudiche), oltre alla richiesta di finanziare il proprio sistema parallelo d’istruzione e di assistenza. In una situazione di grave crisi economica e sociale questo significherà inevitabilmente sottrarre altre risorse a settori strategici quali la ricerca scientifica, le infrastrutture, l’università.

Ricomporre il “puzzle” non sarà impresa facile neanche per “re Bibi”, l’uomo che aveva puntato tutte le sue carte sul tema più caro alla destra: la sicurezza, additando i tanti “Nemici” mortali che minacciano Israele. Nemici veri e presunti. La sicurezza prima di tutto, ha ribadito da trionfatore Netanyahu.

Un messaggio rivolto stavolta soprattutto alla comunità internazionale. In primo luogo, all’inquilino della Casa Bianca, quel Barack Obama che aveva liquidato con un “solo retorica” il discorso pronunciato dal premier israeliano ai primi di marzo al Congresso degli Stati Uniti, e che ieri notte, quando non vi erano più dubbi sul trionfo di Netanyahu, aveva accolto la notizia con un gelido commento affidato al suo portavoce: “Lavoreremo con il vincitore”, senza neanche dargli un nome e un volto. Non era certo un segreto che l’Amministrazione Obama – non solo il presidente ma anche il segretario di Stato John Kerry – preferisse avere a che fare con il più malleabile Herzog.

Con Netanyahu, non vince una politica ma una psicologia nazionale: quella di un Israele che si sente   accerchiato, e che vive e pensa come un paese in trincea. Una sorta di Sparta superarmata che fa della paura qualcosa di più di una linea di governo. Una filosofia di vita, il perno della sua identità nazionale. È questa la cifra dell’era Netanyahu.

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