Nandino Capovilla : Gaza, non c’è limite alla follia


 


 Alienum est a ratione. Gaza, non c’è limite alla follia



Stremato, si getta sul letto vicino al mio e riprende a martellare sul cell per scrivere un altro comunicato che in pochi minuti rimbalzerà in Italia, da facebook a twitter: “Una giornata indimenticabile nella Striscia di Gaza. Macerie, macerie, macerie, case distrutte, anziani senza parole davanti alle loro case ridotte a zero. E poi, bambini, tanti bambini belli, ma scalzi, sporchi e affamati. Come prendere sonno, qui, a Gaza, stanotte? Ma la speranza… -Inshalla-Se Dio vuole- dicono gli arabi. E dobbiamo dirlo anche noi. Buona notte Gaza!” + don Giovanni Ricchiuti, presidente Pax Christi Italia.
Nemmeno io ho preso sonno quella notte, anche se dovevamo ritenerci soddisfatti, visto che l’unica centrale elettrica della Striscia ci regalava un turno di elettricità e avremmo potuto perfino ricaricare il telefono.
Ma era impossibile mettere in pausa le sequenze di quegli interi quartieri rasi al suolo, i fotogrammi di turbe chiassose di gazawi tra le bancherelle del mercato e i carretti trainati dagli asini, le riprese fatte ai giovani per nulla rassegnati, che nel cortile dell’Università mi raccontavano di esami e corsi; e poi le zoomate sugli anziani impegnati a separare il ferro dal cemento in una distesa di edifici distrutti ormai indistinguibili se non fosse stato per l’aiuto di Mahmoud: “Quello era l’internet point dove trovavo gli amici, e più in là la casa di uno zio che ha visto crollare la casa sull’intera sua famiglia.”
Come uno zombi ho passeggiato tra le case di Shejaiya (definisco “case” immense colline di macerie solo perchè moltissime famiglie abitano ancora lì), senza staccare il tasto REC dalla telecamera perchè mi ripeto: “Solo l’obiettivo di girare scuole e città di tutta Italia per raccontare questa abiezione dell’umanità mi può far continuare questa allucinante passeggiata.” E’ l’indice puntato del mio amico Mahmoud a spingermi avanti: “Guarda, lì abitava il mio migliore amico… lì non si riconosce più il parco giochi dei bambini.”
Sono stati scritti libri e film su Paul Tibbits che, il 6 agosto del 1945, ha sganciato sulla città di Hiroshima la bomba atomica senza pentirsi affatto, anzi, condividendo la soddisfazione del presidente americano Truman (“E’ stato un successo. Abbiamo raggiunto un’immensa capacità di distruzione che servirà ad aumentare la crescente potenza delle nostre forze armate”). Tibbits dichiarò: “Non mi sono mai pentito di aver buttato la bomba che ha cancellato l’intera città. Solo un secondo prima di sganciarla ho pensato che stavamo per uccidere vecchi, donne, bambini.”
Non c’è limite alla follia.
Prima di partire avevo letto che 350 soldati israeliani erano letteralmente impazziti o in cura psichiatrica dopo aver partecipato all’ultimo massacro di luglio nella Striscia di Gaza. E dieci giovani soldati si erano suicidati. Avevo letto la notizia ma solo ora, qui, guardando con i miei occhi la devastazione pianificata nel suo obiettivo distruttivo senza limite e senza misura, solo ora capisco e non mi stupisco che le persone vestite da soldato che hanno collaborato a sterminare famiglie e città, abbiano perso la testa.
La follia si impadronisce di chi rinuncia alla propria umanità.
Capisco ora quella frase in latino che Papa Giovanni aveva usato per definire la guerra e che, uscendo dal lungo tunnel che separa la prigione di Gaza dal resto del mondo, mi ripeto sconsolato e sconvolto: “Alienum est a ratione”, è roba da matti, da manicomio.
Nandino Capovilla
nandino.capovilla@gmail.com
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