Murmelstein, che camminò a fianco del male
Un
nuovo film di Claude Lanzmann è da salutare sempre come un evento.
Per come l’irascibile regista, giornalista e scrittore francese sa
suscitare polemiche e discussioni da sessant’anni a questa parte
con la sua…
ilmanifesto.info
Un nuovo film di Claude Lanzmann è da salutare sempre come un evento. Per come l’irascibile regista, giornalista e scrittore francese sa suscitare polemiche e discussioni da sessant’anni a questa parte con la sua ininterrotta ricerca sulle cause e ragioni della Shoah (il suo eponimo capolavoro cinematografico ha rivoluzionato la storiografia sulle deportazioni e lo sterminio ebraico nazista). Non fa eccezione, Le dernier des injustes (L’ultimo degli ingiusti), che oggi esce, in doppia veste editoriale italiana e in contemporanea all’approssimarsi del «Giorno della memoria», con un’edizione in dvd (Fil Rouge Media/ CG Entertaintment) e un libro della Skira che ne raccoglie la sceneggiatura e che avrà proprio il 27 gennaio alle ore 21 una proiezione in streaming gratuito sulla piattaforma digitale di MyMoviesLive (www.mymovies.it/film/2013/thelastoftheunju st/live/).
Il film passato fuori concorso a Cannes nel 2013 e fuggevolmente all’inizio dello scorso anno in alcuni cinema italiani alla presenza dello stesso regista sempre in concomitanza con i giorni dedicati alla memoria dell’Olocausto ebraico, nasce, al pari di Un vivant qui passe (1997) e Sobibor, 14 octobre 1943, 16 heurs (2001) da costole e escrescenze del suo capolavoro. Anzi, Le dernier des injustes, sembra penetrare più a fondo nelle tematiche di Un vivant qui passe che in certo qual modo, vedendolo in prospettiva rovesciata, potrebbe esserne una prova generale nella testimonianza della vita quotidiana del dottor Maurice Russell a Theresienstadt, la città-fortezza situata a poco più di cinquanta chilometri da Praga che, negli intendimenti di Eichmann, doveva essere lo specchietto per le allodole dell’opinione pubblica ostile al regime nazista. Ma per capire «L’ultimo degli ingiusti», il rabbino viennese Benjamin Murmelstein, bisogna capire anche come si è mosso e si muove ancora Lanzmann in un discorso, come quello sull’antisemitismo e l’Olocausto, che offre il destro a non pochi equivoci e fraintendimenti. Anche nell’impossibilità di stargli se non alla pari nemmeno dietro. Giovanissimo partecipante alla resistenza francese, genitori bizzarri e anticonformisti, in particolare la madre fiancheggiatrice del Surrealismo, educato alla scuola de L’Être et le néante della rivista Les temps modernes di Jean-Paul Sartre e di Simone de Beauvior, di cui fu per un lasso di tempo abbastanza lungo compagno di vita — a proposito del periodico ne prenderà dopo di lei la direzione mantenendola ancor oggi — Lanzmann, alla soglia dei novant’anni, non sembra aver messo da parte né l’intransigenza caratteriale, scambiata spesso per boria trombonesca, né il desiderio di essere ancora una volta interprete del suo tempo. E lo fa liberando dai suoi archivi l’intervista a Murmelstein una delle prime realizzate per Shoah, poi non utilizzate. Lanzmann racconta: «Lo intervistai a Roma, per un’intera settimana, nel 1975. A mio avviso Theresienstadt è stata il fulcro, in tutti i sensi, della genesi e dell’attuazione della Soluzione Finale. Tutte quelle ore di conversazione, piene di rivelazioni inedite, continuavano a ronzarmi in testa e a tormentarmi. Sapevo di essere il depositario di qualcosa di unico, ma indietreggiavo di fronte alle difficoltà di realizzare un film.
C’è voluto molto tempo prima di arrendermi all’evidenza che non avevo il diritto di tenere per me quelle informazioni». Quindi la Shoah per Lanzmann, ieri come oggi, è sì l’azione di un indicibile sopruso all’umanità (e nel caso specifico Theresienstadt come inizio dell’orrore), ma è anche storia, stratificazioni di poteri, incomprensioni, furbizie e rivolte. Qui, non ci sono considerazioni di carattere filosofico: c’è la realtà, crudele quanto si vuole. Ma pur sempre realtà. Ed è una realtà che brucia ancora, che non smette di ardere, incenerendo – nemmeno chiedendo scusa all’ambiguità delle parole – tutte le passioni umane. Ma un nemico più subdolo, tragedia nella tragedia, è la burocrazia. Solo così si può capire l’azione pubblica di Benjamin Murmelstein, l’ultimo dei decani del «ghetto modello», stazione di transito verso la morte, e protagonista indiscusso – fu lui a suggerire il titolo a Lanzmann – di Le dernier de les injustes. La brillantezza delle risposte, la nettezza dei suoi giudizi su accadimenti e persone come la filosofa Hannah Arendt o l’ex-amico Gerhard Scholem, grande studioso della Kabbalah, che lo voleva impiccato, il suo ricordare episodi persi nella memoria come le urla di Eichmann (uomo mai banale ma male assoluto) pistola in mano nell’ufficio per l’emigrazione istituito dai nazisti a Vienna o quelle dei bambini arrivati a Theresienstadt che alla vista delle docce pronunciavano inspiegabilmente gas, lo mostrano come un uomo consapevole di ciò che è stato: «io non sono un tipo avventuroso. Non mi sono mai tirato indietro, specialmente per tutto ciò che riguardava il mio ruolo pubblico, di fronte al pericolo». Insomma, s’interroga il regista (e con lui il pubblico): all’ultimo degli ingiusti cosa si può imputare? Un eccesso di ordine, una durezza nei comandi, l’aver camminato a fianco del male per ben otto anni o semplicemente di essere l’unico sopravvissuto alla strage dei decani del Consiglio Ebraico di Theresienstadt? Ciò gli costò l’ostracismo dei suoi correligionari, l’esilio a Roma, e l’impossibilità di vivere in Israele. Le parole come le cose sono diverse tra loro per sottili sfumature, ma anche le immagini come gli uomini.
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