Nena News, 27.01.2015
http://nena-news.it/gaza-la-battaglia-dei-giovani-per-studiare-fuori-dalla-striscia/
È
questo l’effetto della “politica di separazione”: Israele nega la
libertà di movimento e viola il diritto all’istruzione, spiega Sari
Bashi, cofondatrice di Gisha, organizzazione no profit israeliana.
di Giovanni Vigna
Mantova, 27 gennaio 2015 –
“Esistono numerose limitazioni all’accesso alle università palestinesi.
Alcune sono restrizioni generali per entrare a Gaza e in Cisgiordania
che si applicano a tutti, compresi gli studenti e i professori. Altre
limitazioni colpiscono specificamente gli studenti palestinesi, che
Israele ha collocato nella categoria ‘profili a rischio elevato’, e le
università palestinesi, che gli israeliani descrivono come ‘serre dove
crescono i terroristi’. Anche se le preoccupazioni di Israele
per la propria sicurezza sono legittime, in tutti i casi le restrizioni
vanno oltre ciò che è necessario per garantire la sicurezza stessa. Al
contrario, Israele promuove obiettivi politici e demografici finalizzati
a consolidare il proprio potere sulla Cisgiordania, al fine di separare
quest’area dalla Striscia di Gaza”.
L’analisi di Sari Bashi, autrice di un articolo pubblicato il 13 gennaio scorso sul magazine online +972 (http://www.amiciziaitalo-palestinese.org/), concentra
l’attenzione sulla “politica di separazione” applicata da Israele e
sulla limitazione della libertà di movimento dei palestinesi che, tra le
numerose conseguenze, ha prodotto anche l’impossibilità per la
popolazione araba locale di accedere all’istruzione. Lo si
evince da queste poche righe tratte dal pezzo firmato da Bashi,
cofondatrice di “Gisha – Legal Center for Freedom of Movement”,
organizzazione no profit israeliana, fondata nel 2005, alla quale
collaborano anche docenti universitari ed esperti di diritto, il cui
obiettivo è proteggere la libertà di movimento dei palestinesi, in
particolare degli abitanti della Striscia di Gaza.
“In generale –
ha dichiarato Bashi – Israele non consente di viaggiare all’estero da
Gaza e non permette agli abitanti della Striscia di utilizzare il porto e
l’aeroporto. Il valico di Rafah tra l’Egitto e Gaza è stato quasi
sempre chiuso da ottobre a oggi. Egitto e Israele hanno deciso di
effettuare alcune concessioni per permettere ad alcuni studenti di
andare all’estero attraverso i loro valichi di frontiera, ma le
restrizioni rimangono e impediscono a tanti altri giovani di dedicarsi
ai propri studi. L’istruzione è la chiave in mano ai giovani per
accedere al futuro”.
Sari Bashi, cofondatrice di Gisha
Come si evince dal sito internet dell’organizzazione (http://gisha.org/about/about-gisha),
Gisha promuove alcuni diritti garantiti dalle leggi israeliane e
internazionali. Fin dal 1967, anno dell’occupazione della Striscia di
Gaza e della Cisgiordania, le forze armate israeliane hanno sviluppato
un complesso sistema di regole e sanzioni per controllare il movimento
dei 4 milioni e 500mila palestinesi che vivono in quelle terre. Appare
evidente che le limitazioni violano il diritto fondamentale dei
palestinesi di esercitare la libertà di movimento.
Di conseguenza, altri
diritti fondamentali sono negati, inclusi il diritto alla vita, il
diritto alle cure mediche, il diritto all’istruzione, il diritto al
proprio sostentamento, il diritto all’unità della famiglia e il diritto
alla libertà di professare la propria religione. Gisha presta assistenza
legale e fornisce un servizio di patrocinio gratuito per proteggere i
diritti dei palestinesi. “Proprio per il fatto che la libertà
di movimento è la precondizione per esercitare altri diritti basilari –
si legge sul sito di Gisha – la nostra attività ha un effetto
moltiplicatore nel tentativo di aiutare gli abitanti dei Territori
Occupati ad accedere all’istruzione, al lavoro, all’assistenza sanitaria
e ai ricongiungimenti familiari”.
La catalogazione degli
studenti palestinesi come “soggetti ad alto rischio” viene messa in
discussione dagli attivisti di Gisha che hanno scritto nella pagina del
proprio sito internet http://www.gisha.org/UserFiles/File/publications/students/students-2012-eng.pdf:
“I giovani, che costituiscono la maggior parte degli abitanti della
Striscia, dovrebbero essere considerati per il loro potenziale come
futuri dottori, insegnanti e avvocati di Gaza. Il caso delle quattro
donne di Gaza sopra i 35 anni, alle quali nel 2000 l’esercito israeliano
non ha rinnovato il permesso per completare gli studi alla Birzeit
University, dimostra che il problema non è l’età degli abitanti della
Striscia”.
L’organizzazione no
profit israeliana sostiene che gli studenti palestinesi abbiano il
diritto di studiare nelle università di Gaza e della Cisgiordania. Per
Bashi, inoltre, Israele dovrebbe togliere il divieto posto nel 2000 che
impedisce i viaggi di studio da Gaza e, al contrario, dovrebbe adottare
una politica che tenga conto dei suoi obblighi e dei suoi interessi a
lungo termine, oltre che delle sue preoccupazioni per la sicurezza.
“Le pur legittime
rivendicazioni di Israele in merito alla propria sicurezza non trovano
riscontro nella decisione di impedire agli abitanti della Striscia di
Gaza, specialmente ai giovani, di accedere alle opportunità educative e
professionali di cui hanno bisogno per costruire un futuro migliore”,
affermano gli attivisti di Gisha che, nella stessa pagina del sito
indicata in precedenza (http://www.gisha.org/UserFiles/File/publications/students/students-2012-eng.pdf), tentano di smontare le tesi con le quali Israele difende la propria “politica di separazione”.
Tale indirizzo del
governo israeliano impone agli abitanti della Striscia di Gaza di non
entrare nell’area della Giudea e della Samaria (Cisgiordania, ndr).
Gisha riporta che, secondo lo Stato di Israele, “le situazioni in cui è
consentito entrare in Cisgiordania sono limitate alle emergenze
umanitarie e ai casi eccezionali”. Da parte loro, i volontari
dell’organizzazione no profit intendono incoraggiare un dibattito
approfondito e trasparente su questa politica che danneggia i diritti
dei palestinesi residenti nei Territori Occupati e si pone in contrasto
con gli stessi interessi di Israele.
Come si legge nel sito
di Gisha, lo Stato di Israele sostiene che “dal mese di settembre del
2000, dopo lo scoppio della seconda Intifada, le organizzazioni
terroristiche palestinesi avrebbero finanziato un conflitto armato
contro Israele. Perciò le restrizioni di movimento imposte ai
palestinesi, fatta eccezione per i casi umanitari ed eccezionali,
rappresenterebbero “uno strumento per impedire l’espansione delle
strutture terroristiche dalla Striscia di Gaza alla Giudea e alla
Samaria”.
Inoltre, secondo
Gisha, Israele afferma di avere il diritto di decidere chi far entrare
nel proprio territorio. Tale diritto si fonderebbe sulla “piena autorità
di Israele di determinare chi può entrare nella propria giurisdizione”.
Pertanto i cittadini stranieri non avrebbero il diritto “di entrare nel
territorio israeliano. Ancor di più quando l’individuo che vuole
entrare è residente in un territorio ostile”. Gli attivisti che
difendono i palestinesi ritengono invece che la questione di chi vuole
entrare nel territorio di Israele sia irrilevante perché nulla vieta
agli studenti di entrare in Cisgiordania dalla frontiera con la
Giordania: “È proprio la presenza dei giovani in Cisgiordania ad essere
in discussione, non il modo in cui vi arrivano”.
I giovani della
Striscia di Gaza sognano di poter studiare all’estero e di condurre una
vita normale. È questo il caso di Awni Farhat, giovane palestinese di
Gaza, che ha ricevuto un’offerta per partecipare a un master sul tema
“Violenza, conflitto e sviluppo” promosso dalla Scuola di Studi
Orientali e Africani (School of Oriental and African Studies, ndr)
dell’Università di Londra. “Così – spiega Awni – ho lanciato una
campagna di raccolta fondi per intraprendere il master universitario a
Londra. Ero riluttante a lanciare un appello per ricevere fondi dopo
tutto quello che è successo, dopo gli attacchi e l’aggressione che
abbiamo subito nella Striscia di Gaza l’estate scorsa. Pur dovendo
affrontare continuamente ostacoli e sfide, dobbiamo continuare a lottare
per raggiungere i nostri obiettivi”.
Farhat crede
fermamente nella conoscenza intesa come un’arma efficace per resistere
all’ingiustizia: “Grazie all’aiuto di chi vorrà sostenere il mio
progetto, potrò forse diventare un leader e un modello positivo per le
altre persone, specialmente i giovani, al fine di liberare la nostra
terra dal giogo dell’oppressione e conquistare la pace e la giustizia in
Medio Oriente”. Per ulteriori informazioni sul progetto e sulla
raccolta fondi di Awni Farhat è possibile visitare la pagina Facebook https://www.facebook.com/Gazastudent. Nena News
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