Il mancato invito di Parigi, le insistenze di Netanyahu: cos’è successo alla marcia di Parigi
Nella foto – storica – ci è finito pure lui. Protetto, abbastanza visibilmente, da due guardie del corpo. Meglio: accompagnato dai due bodyguard che non hanno mai perso il contatto fisico con il loro capo. Lì, in prima fila. Il volto tipico dei grandi eventi.E però, alla sera, ci hanno pensato le radio e le tv a rovinargli la giornata. Raccontando agl’israeliani che Benjamin Netanyahu, il loro primo ministro uscente, a Parigi non lo volevano. Che François Hollande, il padrone di casa e il presidente francese, aveva più volte detto agli organizzatori che il leader d’Israele avrebbe costituito un elemento di divisione. E di critiche.«La Francia non ha ufficialmente spiegato perché non voleva Netanyahu», spiega una fonte del governo alla Radio militare israeliana. «L’Eliseo in realtà cercava di fare in modo che il conflitto israelo-palestinese piombasse nella marcia organizzata contro il terrore e per ricordare le vittime degli attacchi nella capitale francese», aggiunge più tardi Canale 2.
Ma lui, Netanyahu, nonostante il mancato invito e le obiezioni a Parigi, fa capire che ci vuole andare a tutti i costi. E così sabato, verso l’ora di pranzo, Hollande viene quasi «costretto» dal protocollo a chiamare «Bibi» e dirgli di raggiungerlo nella capitale francese il giorno dopo. «Grazie, presidente, ma è meglio se sto a Gerusalemme, anche per ragioni di sicurezza», gli risponde a sorpresa Netanyahu. Sembra tutto risolto. Hollande può tirare un sospiro di sollievo.Gli uffici stampa di Parigi e Gerusalemme dicono che il primo ministro israeliano non si muove. E così è per diverse ore. Poi sui social monta la critica. «Ma come, il nostro leader non va a mostrare la nostra vicinanza? Nemmeno con quattro ebrei uccisi?». I ministri degli Esteri e dell’Economia, Avigdor Lieberman e Naftali Bennett – leader di partiti in grado di togliergli voti alle elezioni di marzo prossimo – confermano che voleranno nella capitale francese.È quasi all’ora di cena che Netanyahu decide di cambiare idea. Si va – si vola – a Parigi. L’ufficio di «Bibi» chiama l’Eliseo e comunica la novità. Che, per evitare imbarazzi, replica: «Ok, allora dobbiamo anche invitare il presidente dell’Autorità palestinese, Mahmoud Abbas». E così sarà.Domenica, verso le tre e mezza di pomeriggio, Netanyahu è lì, in mondovisione. E in seconda fila. Poi si avvicina sempre di più alla prima. Infine si piazza in testa. Alla sua sinistra Ibrahim Boubakar Keita, il presidente del Mali. E ancora più in là Hollande, la cancelliera Angela Merkel, il presidente del Consiglio Ue Donald Tusk. Subito dopo ecco lui, Mahmoud Abbas, il presidente dell’Autorità nazionale palestinese.I due leader mediorientali non si guardano. Non si sfiorano. Non si stringono la mano. Dopo alcuni minuti sono già ognuno per fatti suoi, lontani da quel luogo che – domenica 11 gennaio 2015 – è stato il centro, il cuore del mondo.Nel tardo pomeriggio Netanyahu si presenta alla sinagoga principale di Parigi. Accolto come un eroe. Dietro di lui i suoi due ministri. Per «Bibi» è un trionfo, almeno politico. «Israele è casa vostra», dice il primo ministro ai fedeli. Facendo arrabbiare Hollande. E bollando la Francia come un Paese in cui gli ebrei non possono vivere.© Leonard Berberi
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