Altro che “olivo di pace”:Italia-Israele
Altro che “olivo di pace”
di Manlio Dinucci
Il
radicato legame tra lo Stato italiano e quello d’Israele – rafforzato
dal vertice Letta-Netanyahu, conclusosi ieri a Roma con la firma di 12
accordi – è rappresentato da un olivo centenario, dono dello Stato
d’Israele, piantato ai Fori Imperiali quale «simbolo di pace e
fratellanza», come si legge sulla lapide. Non potrebbe esserci emblema
più significativo. Nei territori occupati, le autorità e i coloni
israeliani hanno sradicato e rubato o bruciato circa 3 milioni e mezzo
di olivi per colpire a morte l’agricoltura palestinese, privandola allo
stesso tempo dell’acqua. Con l’aiuto di Germania e Gran Bretagna, che
bloccano l’accesso della Palestina all’International Olive Council,
l’organizzazione intergovernativa dei produttori di olive di cui fa
parte Israele, perché ciò significherebbe «sabotare i colloqui di pace
israelo-palestinesi». Il «genocidio degli olivi» si sta intensificando:
il 28 ottobre un oliveto di Gaza è stato bombardato dai caccia
israeliani.
Gaza
– avvertono le Nazioni Unite – sta divenendo «inabitabile»: il blocco
israeliano, rafforzato dalla chiusura dei tunnel attraverso cui
arrivavano dall’Egitto generi di prima necessità, ha ridotto allo stremo
oltre l’80% degli abitanti (1,7 milioni). La mancanza di carburante (ne
arriva appena il 40% del minimo necessario) provoca blackout che durano
12-16 ore al giorno, lasciando senza energia abitazioni, ospedali e
fabbriche. Ciò avviene in un territorio palestinese che possiede ricchi
giacimenti di gas naturale, soprattutto nelle acque costiere, il cui
sfruttamento viene impedito da Israele. Si aggiunge a questo un altro
dramma: l’imminente trasferimento forzato di altri 30-40mila arabi
beduini che da millenni vivono nel deserto del Negev, i cui insediamenti
sono considerati illegali dalle autorità israeliane. Il piano
Prawer-Begin prevede l’evacuazione di 35 villaggi, gli abitanti saranno
trasferiti in «townships beduine». Le aree evacuate servono non solo ad
aprire nuovi spazi alla colonizzazione israeliana, ma anche a scopi
militari.
Nel deserto del
Negev (dove a Dimona si fabbricano armi nucleari) si è appena svolta la
più grande esercitazione aerea internazionale nella storia di Israele:
la «Blue Flag», cui hanno partecipato Stati uniti, Italia e Grecia. Lo
scenario dell’esercitazione a fuoco era quello dell’attacco a un paese
nemico dotato di forti difese aeree (come è ad esempio l’Iran). Lo scopo
è stato spiegato dall’ambasciatore Usa in Israele Dan Shapiro che, a
fianco di un caccia F-16 insieme agli ambasciatori di Italia e Grecia,
ha dichiarato: «L’esercitazione congiunta offre la possibilità di
addestrarsi in condizioni reali così che, nel caso operiamo insieme,
abbiamo la capacità di farlo». L’Italia si prepara dunque a intervenire
in una guerra a fianco di Israele.
Quale
può essere lo scenario è stato confermato ieri da Netanyahu: ha detto
che l’Iran, nascondendosi dietro sorrisi diplomatici, è il «motore del
terrorismo» e che «deve essere fermato» per impedire che «sconvolga il
Medio Oriente con l’arma nucleare». E Letta ha definito Israele «partner
strategico», sottolineando che «la sua sicurezza non è negoziabile». Su
questo sfondo si collocano i 12 accordi tra Italia e Israele: sulla
«pubblica sicurezza» e la «protezione civile» (firmati da Alfano),
sull’acqua e l’energia, sul cyberspazio, su l’istruzione (firmati dalla
Carrozza), la sanità e il cinema. Il 2014 sarà «l’anno dell’amicizia
culturale Italia-Israele». E all’Expo di Milano 2015 ci sarà un
padiglione di 2400 m2 del costo di 11 milioni di euro, che mostrerà «il
vero carattere di Israele».
Il
governo Letta, seguendo il solco già tracciato che ha portato
all’accordo di cooperazione militare con Israele istituito per legge nel
2005, sta così imprimendo una accelerazione senza precedenti al
rafforzamento dei legami con Israele. Ha parlato anche di una futura
importazione da Israele di gas naturale. Quello dei giacimenti
palestinesi e libanesi di cui Israele si sta impadronendo. Letta
comunque giura di avere sempre a cuore «il benessere del popolo
palestinese».
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