"Spero un giorno di poter tornare in Bahrein, in un Bahrein libero e democratico"


Intervista a Huwaida Arraf, attivista di Witness Bahrain, arrestata a Manama l'11 febbraio: "Se ti stai chiedendo se io, o i miei colleghi, ritorneremo in Bahrein, credo d'essere ufficialmente stata messa al bando dal regime, e lo stesso vale per i miei colleghi espulsi (11 in totale). Comunque, non smetteremo di assicurare la nostra presenza, la nostra solidarietà e il nostro supporto a tutti quelli che si attiveranno e rischieranno le loro vite per la libertà, i diritti umani e la democrazia. E spero un giorno di poter tornare in Bahrein, in un Bahrein libero e democratico".
 di Marta Ghezzi - Amman

La rivoluzione sta continuando. Sfortunatamente sono riuscita a restare in Bahrein solo per cinque giorni, prima di venire arrestata ed espulsa. Durante quei giorni, sono stata in due villaggi attaccati durante la notte dalle forze di sicurezza nazionali.
Il 9 febbraio, con i miei colleghi ho partecipato al funerale, a tre giorni dalla morte, di Ali Issa Abdallah Al-Haiki, un uomo di 47 anni ucciso dopo aver inalato gas lacrimogeno nel villaggio di Samaheej.
Dopo una breve cerimonia al cimitero, ci siamo spostati nei dintorni di un altro villaggio, dove ci avevano detto che la polizia aveva innescato un combattimento con alcuni giovani.
Abbiamo assistito ad un massiccio lancio di lacrimogeni da parte della polizia in assetto anti-sommossa. I giovani rispondevano bersagliando con pietre e bottiglie Molotov.
Ci siamo persi nel caos; molti abitanti del villaggio, preoccupati, volevano darmi rifugio nelle loro case. In quel momento mi sono accorta che nemmeno l’interno delle case era sicuro, a causa del gas che entrava da ogni parte.
Che poi era quello che ci avevano detto anche di Ali Al-Haiki: era rimasto soffocato dal gas in casa sua. Ad un certo punto mi sono trovata faccia a faccia con un gruppo di poliziotti. Hanno cercato di impedirmi di filmare quello che stava accadendo.
Al che ho chiesto ‘perchè siete così preoccupati dal fatto che io riprenda la scena, se non pensate di fare niente di male?’
La sera seguente, abbiamo seguito una protesta notturna in uno dei villaggi sull’isola di Sitra. Di nuovo siamo stati bersagliati con gas lacrimogeni. Ho visto almeno un uomo ferito da un candelotto lacrimogeno finitogli su una gamba, vicino all’inguine. Una macchina ha preso fuoco, a causa del gas.
Malgrado questo, lo spirito della gente, specialmente quello delle donne, era contagioso.
Il giorno dopo, il giorno del mio arresto, ho preso parte ad una marcia pacifica nella capitale, Manama.
Ho visto la polizia rincorrere persone che non stavano facendo null’altro che camminare. Un ragazzino, che avrà avuto 11 o 12 anni, è stato preso dalla polizia.
Ho seguito gli agenti per provare ad avere il suo nome, o a capire il motivo del suo arresto, ma sono stata ignorata e il ragazzo preso e portato via, lontano dalla vista della gente.
Quando le diverse marce, provenienti da zone della città differenti, sono confluite in un unico punto, il gruppo è stato immediatamente attaccato con lacrimogeni, sparati ad altezza uomo.
Ho sentito distintamente un candelotto volarmi a pochi centimetri dal viso.
Questi proiettili sono gli stessi che hanno ferito gravemente, e ucciso, manifestanti in Palestina e nello stesso Bahrein.
Anche se il governo del Bahrein continua a dire di aver preso provvedimenti per cambiare il modo di gestire alle proteste, ancora l’11 febbraio stavano usando armi potenzialmente letali – sparando gas lacrimogeni a quell’altezza.
Durante la mia breve permanenza in Bahrein, ho avuto modo di intervistare un cittadino canadese-kuwaitiano, recentemente rilasciato dopo essere stato arrestato e torturato in prigione.
Poi un ragazzo di sedici anni che era in macchina con alcuni amici quando la polizia li ha fatti fermare: il ragazzo è stato accoltellato due volte e sfregiato da un poliziotto e gli è stato sottratto il telefono.
E poi ancora una ragazzina, ammalata di anemia mediterranea, che assieme ad altre donne è stata fatta mettere per terra, ammucchiate una sull'altra, in pubblico, e poi arrestata.

CHI C’È OGGI IN BAHREIN

Un numero ragguardevole di forze di polizia che ho incontrato non era bahreinita.
Non posso dire con assoluta certezza quale sia la percentuale o da dove vengano, ma le persone con cui abbiamo avuto modo di parlare erano tutte pachistane.
Alcune venivano dallo Yemen, dalla Giordania, e forse qualcuno anche dalla Siria. L’Arabia Saudita e gli Emirati hanno inviato forze in Bahrein (rispettivamente un migliaio e circa la metà). In ogni caso, non li ho incontrati personalmente.
Uno dei motivi per cui abbiamo dato il via all’iniziativa di Witness Bahrein era perchè temevamo un’escalation di violenza da parte del governo contro le manifestazioni pacifiche durante i festeggiamenti del primo anniversario dall’inizio della rivoluzione (il 14 febbraio).
Avevamo ricevuto notizie da organizzazioni per i diritti umani e da giornalisti che avevano cercato di ottenere i visti d’ingresso in Bahrein nelle settimane precedenti, senza successo, o rimandati a marzo.
Questo ci ha fatto credere che il governo stesse tentando di evitare la presenza dei media, delle organizzazioni umanitarie, e in generale degli internazionali, probabili testimoni delle violenze che evidentemente il governo aveva già in mente.
Speravamo che la nostra presenza (e il fatto che il governo ne fosse a conoscenza) avrebbe frenato le violenze contro i manifestanti. Il modo in cui il governo ha risposto alla nostra presenza – ci hanno letteralmente dato la caccia, per poi arrestarci, e mandarci via dal paese – ci ha confermato una volta di più che il governo del Bahrein non vuole osservatori internazionali che possano testimoniare cosa sta succedendo veramente.
Sulla scia della rivoluzione, il governo ha intrapreso una campagna di comunicazione pubblica massiccia, per migliorare la sua imagine, e gli osservatori internazionali presenti sul campo per registrare le violazioni dei diritti umani (sfidando la propaganda del governo) sono ora minacciati dal regime del Bahrein.

UNA CONTRO-RIVOLUZIONE?

Non so se si possa chiamare contro-rivoluzione, ma è evidente che lo stato sta lottando contro la sua gente.
Oltre alle violenze fisiche (i lacrimogeni, le bombe acustiche, i proiettili, le botte, gli arresti e le torture), ha iniziato una campagna internazionale di disinformazione e allarmismo, cercando di presentare l’opposizione come allineata con l’Iran.
Questo ha creato una divisione settaria, non perchè la lotta sia di per sè di natura settaria (nei fatti ci sono moltissimi sunniti dalla parte della rivoluzione), ma perchè il regime è settario, e gioca sulle paure della gente per garantirsi supporto.
Mentre ero in Bahrein, non ho notato alcun filo diretto con l’Iran.
Non l’ho mai nemmeno sentito nominare, e se è saltato fuori, è stato per bocca di attivisti democratici che sottolineavano come loro non ci avessero nulla a che fare.

IL FUTURO DEL BAHREIN?

Credo che la rivoluzione abbia la possibilità di vincere. Le richieste di libertà, uguaglianza e rispetto dei diritti umani sono solo richieste. E ovviamente, questo non basta. Quello che è anche incoraggiante è lo spirito e l'unità del movimento per la democrazia: mi lascia sperare davvero che gli obiettivi che il movimento si prefigge saranno realizzati.
La questione è quante persone devono ancora soffrire, abbandonate in prigione, torturate, ferite gravemente, o uccise, prima che questo accada?
Credo che dipenda dalla solidarietà internazionale: dobbiamo fare pressione sui nostri rispettivi governi affinchè a loro volta facciano pressione sul Bahrein, anche sanzionandolo.
Una via per fare questo è la prossima gara di Formula Uno, programmata per il 22 aprile in Bahrein.
Gli attivisti per i diritti umani del Bahrein stanno chiedendo che la gara venga cancellata e rimandata a data da destinarsi, almeno fino a che il governo non ponga fine alla repressione e implementi riforme serie.

8 marzo 20
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