La vittoria elettorale di Khamenei: nuova svolta nella ridefinizione del panorama politico iraniano


Nel clamore suscitato dal “botta e risposta” fra il presidente americano Obama ed il premier israeliano Netanyahu a Washington riguardo a un possibile attacco militare all’Iran, l’esito delle elezioni parlamentari iraniane è passato per molti versi in secondo piano.
Se nel 2009 la politica interna iraniana era salita alla ribalta internazionale in occasione delle controverse elezioni presidenziali che hanno conferito un secondo mandato ad Ahmadinejad, le consultazioni legislative di venerdì 2 marzo – le prime dopo il voto duramente contestato di tre anni fa – sono state eclissate dalle tensioni internazionali legate al braccio di ferro sul programma nucleare di Teheran e alla sempre più grave e pericolosa crisi siriana.
Il voto di venerdì scorso rappresenta tuttavia una nuova importante tappa nel processo di ridefinizione del panorama politico iraniano – un processo che fu avviato proprio dalle presidenziali del 2009.
La discutibile rielezione di Ahmadinejad, e le proteste di piazza e la repressione che ne seguirono, portarono alla definitiva emarginazione della corrente riformista che aveva raggiunto la sua massima influenza sotto la presidenza Khatami alla fine degli anni ‘90, ed alla soppressione del Movimento Verde che era sorto all’indomani del voto presidenziale per contestarne la legittimità.
Le legislative del 2 marzo si sono svolte invece all’insegna di un’altra aspra contrapposizione, questa volta fra due opposti schieramenti sorti all’interno del fronte conservatore, e capeggiati rispettivamente dalla Guida suprema Ali Khamenei e dal presidente Ahmadinejad.
I risultati elettorali sembrano confermare il declino di Ahmadinejad, ma – considerate le enormi sfide che il regime deve affrontare sotto il profilo economico e della politica internazionale, e visto che il panorama politico iraniano sembra polarizzarsi lungo linee di frattura sempre nuove – non significano una vittoria definitiva del peraltro anziano Khamenei.
ESITO DEL VOTO E CLIMA PREELETTORALE
Il Fronte Unito dei Principialisti, o JMO (Jebheh Mottahed-e Osulgarayan), coalizione fedele a Khamenei, ha ottenuto circa 80 dei 290 seggi di cui si compone il Majlis (il parlamento iraniano). A fronte di questo risultato, il Fronte Duraturo della Rivoluzione Islamica, o JPEE (Jebheh Paaydaari-e Enghlelab-e Eslami), coalizione guidata da Mohammad Taqi Mesbah Yazdi, il religioso intransigente considerato la guida spirituale di Ahmadinejad, ha ottenuto solo una quarantina di seggi.
Le restanti poltrone sono andate ad altre formazioni e a candidati indipendenti. Inoltre un ballottaggio si terrà nel mese di aprile per attribuire 65 seggi per i quali i candidati che hanno ottenuto il maggior numero di voti non hanno comunque superato la soglia minima del 25%.
Lo schieramento che appoggia Ahmadinejad (al cui interno non sono mancate le voci critiche nei confronti del presidente) potrà forse recuperare un po’ di terreno in quell’occasione, e cercare di “pescare” fra gli indipendenti eletti nelle aree rurali e più povere, ma comunque la sconfitta di Ahmadinejad appare evidente, pur non essendo una totale disfatta.
A conferma del clima sfavorevole al presidente vi è il fatto che alcuni tra i suoi principali nemici sono stati tra i più votati. Fra essi spicca Gholam Ali Haddad Adel, probabile presidente del futuro parlamento, e suocero dell’influente figlio di Khamenei, Mojtaba.
Il clima preelettorale è stato certamente caratterizzato da un livello di libertà ancora inferiore rispetto a quelli già insufficienti delle consultazioni degli anni passati.
I leader del Movimento Verde – Hossein Mousavi, sua moglie Zahra Rahnavard, e Mehdi Karroubi – sono agli arresti domiciliari da oltre un anno. Importanti figure dell’opposizione sono in carcere, insieme a numerosi attivisti, giornalisti ed altri prigionieri politici.
Molti giornali riformisti e gruppi di opposizione sono stati messi fuorilegge, o comunque tacitati dalla censura. Stessa sorte è toccata a ONG come il Centro per la Difesa dei Diritti Umani del premio Nobel Shirin Ebadi.
Essendo stata messa a tacere ogni forma di aperto dissenso al regime, e con la maggior parte del fronte riformista che ha boicottato le elezioni, la competizione elettorale si è ridotta a uno scontro tra le principali fazioni conservatrici.
Due erano le questioni chiave alla vigilia delle elezioni: in primo luogo, il voto è stato considerato una sorta di “referendum” sulla figura di Ahmadinejad; secondariamente, la percentuale di affluenza alle urne era stata indicata come un elemento essenziale per stabilire il livello di popolarità del regime.
LO SCONTRO FRA IL PRESIDENTE E LA GUIDA SUPREMA
Se le presidenziali del 2009 erano state caratterizzate dall’alleanza tra Ahmadinejad e la Guida suprema, che era scesa in campo apertamente per difendere la legittimità della rielezione del presidente e la regolarità del processo elettorale (entrambe aspramente messe in discussione dal Movimento Verde), negli anni successivi la competizione tra queste due figure ha creato una spaccatura all’interno del fronte conservatore.
Convinto di avere un ampio sostegno popolare, Ahmadinejad ha cercato negli anni passati di imporre la linea presidenziale su quella della Guida suprema. Così facendo, egli ha però sottovalutato il ruolo determinante che Khamenei e il Corpo della Guardia Rivoluzionaria Iraniana (IRGC) hanno avuto nella sua elezione.
L’atteggiamento spavaldo di Ahmadinejad ha suscitato la reazione di Khamenei, il quale continua in ogni caso a detenere la maggior parte del potere grazie alle funzioni che sono attribuite alla Guida suprema dallo statuto della Repubblica islamica.
I sostenitori di Ahmadinejad sono stati definiti dalle fazioni più fedeli a Khamenei come una “corrente deviazionista” dalle tendenze messianiche che vuole emarginare il clero sciita. Alcuni fra i più stretti collaboratori del presidente sono stati incarcerati. Nell’aprile del 2011 lo stesso Ahmadinejad è stato umiliato quando Khamenei ha reinsediato Heydar Moslehi, ministro dell’intelligence precedentemente destituito proprio dal presidente.
Molti degli attriti fra Ahmadinejad e Khamenei ruotano attorno alla controversa figura di Esfandiar Rahim Mashaei, stretto collaboratore del presidente considerato dai suoi detrattori come uno dei principali ispiratori delle tendenze “deviazioniste” della corrente presidenziale. Nominato vicepresidente da Ahmadinejad nel 2009, Mashaei fu immediatamente destituito da Khamenei. Invece di desistere, Ahmadinejad a quel punto lo ha nominato capo di gabinetto.
Mezzi di informazione ostili ad Ahmadinejad hanno recentemente accusato Mashaei di essere implicato in uno dei maggiori scandali finanziari mai verificatisi in Iran, scoppiato verso la fine dello scorso anno. Al centro di tale scandalo vi è un consorzio privato, il gruppo “Aria” guidato dall’uomo d’affari Amir-Mansour Aria, accusato di aver creato ingenti fondi illegali per l’acquisto di compagnie statali attraverso false lettere di credito approvate da banche pubbliche e private.
Secondo le accuse, Mashaei avrebbe inviato una lettera al ministro dell’economia per chiedergli di facilitare le operazioni del gruppo “Aria”. Il processo legato a questa truffa, del valore impressionante di 2,6 miliardi di dollari, è ormai avviato, ed è visto da molti come un altro tentativo di “saldare i conti” con il presidente in carica.
Visto che Ahmadinejad non potrà candidarsi per un terzo mandato consecutivo alle presidenziali del 2013, molti ritengono che egli abbia considerato Mashaei come possibile candidato da presentare in sua vece, in base a uno schema simile a quello che ha visto avvicendarsi Putin e Medvedev in Russia.
Ma probabilmente la candidatura di Mashaei, anche alla luce dello scandalo in cui a torto o a ragione lo si vuole coinvolgere, sarebbe semplicemente squalificata dal Consiglio dei Guardiani – un organismo composto da 12 membri, in gran parte esponenti del clero, metà dei quali sono nominati dalla Guida suprema.
Il Consiglio dei Guardiani, fra l’altro, ha l’ultima parola non solo sulle candidature presidenziali ma anche su quelle al parlamento. Diversi candidati filo-Ahmadinejad, tra cui una ventina nella sola città di Teheran, non hanno potuto prendere parte alle elezioni legislative perché squalificati da questo organismo.
Anche per questa ragione, il presidente in carica ha dovuto fare spesso affidamento su candidati di secondo piano. Il fatto di essersi affidato a candidati che non appartengono alla cerchia ristretta dei suoi fedelissimi, inoltre, aumenta per Ahmadinejad il rischio che alcuni dei suoi deputati defezionino in favore dello schieramento fedele alla Guida suprema, come è già avvenuto in passato.
Alla luce della recente sconfitta elettorale, Ahmadinejad dovrà fare i conti con un parlamento relativamente ostile nell’ultimo anno del suo mandato. Dunque, egli difficilmente potrà sfidare Khamenei come ha fatto in passato. Inoltre, alla luce dell’attuale campagna contro di lui, Ahmadinejad quasi certamente non riuscirà a far prevalere un proprio candidato alle presidenziali del 2013 – tanto più che è probabile che la Guida suprema voglia sopprimere del tutto la carica presidenziale reintroducendo al suo posto la figura di un primo ministro eletto dal parlamento.
Una riforma di questo genere risparmierebbe a Khamenei il rischio di doversi confrontare con un altro presidente dalle mire ambiziose: il parlamento, in gran parte fedele alla Guida suprema, eleggerebbe un primo ministro facilmente controllabile.
LE SFIDE CHE ATTENDONO KHAMENEI
Tuttavia, il fatto che Khamenei con tutta probabilità si avvii a vincere definitivamente la propria battaglia con Ahmadinejad non significa assolutamente che per lui le sfide siano finite.
Dopo aver avuto la meglio sul Movimento Verde all’indomani delle elezioni del 2009, la Guida suprema si è trovata a dover fare i conti con un fronte conservatore insospettatamente diviso.
Sebbene abbiano ridotto all’irrilevanza i riformisti ed emarginato una figura storica come l’ex presidente Ali Akbar Hashemi Rafsanjani (il quale lo scorso anno ha dovuto rinunciare anche alla carica di presidente dell’Assemblea degli Esperti), i “principialisti” – la corrente conservatrice che ormai costituisce il nocciolo duro dell’establishment che tuttora sostiene il regime della Repubblica islamica – si sono mostrati a loro volta soggetti a una delle caratteristiche dominanti del sistema politico iraniano: la tendenza a frammentarsi in fazioni che danno vita a coalizioni sempre nuove in un contesto eternamente fluido.
In altre parole, sebbene la base di consenso al regime della Repubblica islamica si sia certamente assottigliata in questi ultimi anni, non per questo l’èlite politica che continua a sostenere tale regime si è mostrata più compatta. Il fronte “principialista” si è presentato diviso alle elezioni malgrado i forti appelli all’unità lanciati proprio dalla Guida suprema.
Inoltre, Khamenei deve fare i conti con la Guardia Rivoluzionaria, che ha acquisito un crescente potere negli ultimi anni. Esponenti legati all’IRGC ed all’organizzazione studentesca e paramilitare dei Basiji sono stati massicciamente presenti nelle liste elettorali di tutto lo schieramento “principialista”, ed in particolare sia nel JMO (il quale, malgrado il suo nome significhi “Fronte Unito dei Principialisti”, rappresenta solo una parte di tale schieramento) che nel JPEE.
La Guardia Rivoluzionaria controlla gran parte dell’economia iraniana, ed ha certamente voce in capitolo in un momento in cui il confronto fra l’Iran e l’Occidente rischia di sfociare in un conflitto militare, ed in cui durissime sanzioni economiche stanno contribuendo, assieme ai fallimenti del governo Ahmadinejad, a mandare a rotoli l’economia del paese.
Ma Khamenei deve anche confrontarsi con le conseguenze delle politiche da lui adottate in questi anni. Gli eventi politici susseguitisi in Iran a partire dal 2009 hanno coinvolto direttamente due cardini della Repubblica islamica, fra loro complementari: le elezioni, e il ruolo di “arbitro” della Guida suprema.
Da un lato, lo straordinario crollo di credibilità subito dal processo elettorale in conseguenza delle contestazioni del 2009, e della repressione che ne è seguita, ha messo in crisi il carattere “repubblicano” del regime a vantaggio del suo carattere “islamico teocratico”.
Dall’altro, dopo essere sceso in campo in prima persona per difendere la dubbia rielezione di Ahmadinejad, Khamenei in questi anni è rimasto invischiato in una battaglia politica proprio contro quest’ultimo, compromettendo il carattere “super partes” del ruolo di Guida suprema ed intensificandone l’ingerenza nel dibattito politico quotidiano.
Khamenei non è stato esente da critiche per questo suo comportamento. Politici, analisti e membri dell’opposizione lo hanno accusato di abusare della sua autorità influenzando la nomina di ministri ed alti funzionari.
Recentemente un esponente del clero vicino al conservatore Mohammad Taqi Mesbah Yazdi (considerato il mentore di Ahmadinejad fino a poco tempo fa, quando egli si è dissociato dal presidente, colpevole di aver rivendicato una connessione diretta nientemeno che con il Mahdi, l’Imam nascosto il cui ritorno è atteso alla fine dei tempi) ha affermato che Khamenei avrebbe violato il diritto costituzionale dell’Assemblea degli Esperti di monitorare la condotta della Guida suprema.
Una critica indiretta nei confronti di Khamenei è giunta da Ali Motaheri, un deputato conservatore, il quale ha biasimato coloro che si definiscono “devoti” della Guida suprema, aggiungendo che “dovremmo essere in grado di esprimere critiche nei confronti della Guida, alle quali essa dovrebbe rispondere”.
E’ anche per replicare a queste critiche, e per rafforzare la propria posizione nel panorama politico interno – e non solo per dare “uno schiaffo” al “fronte dell’arroganza” rappresentato in primo luogo dagli Stati Uniti – che Khamenei aveva invocato una massiccia partecipazione al voto.
La Guida suprema aveva infatti urgente bisogno di un attestato di legittimazione, ed anche di mostrare che gli iraniani ancora credono nel regime della Repubblica islamica nella sua configurazione attuale, e che gli appelli al boicottaggio da parte dell’opposizione sarebbero stati inascoltati.
Oltre a ciò, naturalmente, una massiccia partecipazione al voto avrebbe dimostrato che il paese è unito contro la minaccia di un attacco straniero.
All’indomani delle elezioni, il regime ha sbandierato un’affluenza del 65%, di gran lunga la percentuale più alta dopo il picco del 71% registratosi alle presidenziali del 1996, quando fra grandi speranze si era affermato il riformista Khatami (alle ultime legislative, nel 2008, l’affluenza era stata del 57%).
Sebbene sia difficile giudicare l’attendibilità di questo dato (vista l’assenza di osservatori indipendenti, e considerato che il ministero dell’interno è controllato dal governo), ed anzi sia probabile che la percentuale ufficiale dell’affluenza sia stata gonfiata, non vi è dubbio che le sanzioni e la pressione dell’Occidente abbiano facilitato al regime il compito di liquidare gli oppositori appartenenti al Movimento Verde, accusati di essere traditori e fantocci nelle mani dell’America, e che la minaccia di un attacco militare abbia ricompattato almeno una parte della popolazione a sostegno dell’élite al potere.
LE SANZIONI E IL BRACCIO DI FERRO NUCLEARE
Del resto, come hanno rilevato anche numerosi analisti iraniani in Occidente, la “punizione collettiva” delle sanzioni colpisce in particolar modo proprio quella classe media che si era sollevata contro Ahmadinejad nel 2009, e se da un lato danneggia gli interessi economici del regime, dall’altro contribuisce a soffocare le voci che chiedono un cambiamento nel paese – voci che “semplicemente non possono essere udite da una popolazione minacciata dallo strangolamento economico o, peggio ancora, di essere bombardata”, ha scritto sul New York Times il giornalista iraniano Hooman Majd.
Per Khamenei e per coloro che lo sostengono, in ogni caso, non è questo il momento di tirarsi indietro di fronte alle “minacce dell’Occidente”. La crisi nucleare rappresenta un test di sopravvivenza per la Repubblica islamica e per la sua leadership.
Come ha scritto Alireza Nader, analista iraniano presso la RAND Corporation, l’èlite attualmente alla guida del regime è intransigente e ostinata, “ma non irrazionale”. L’eventuale possibilità di costruire armi nucleari non ha certo lo scopo di distruggere Israele, ma di acquisire una capacità di deterrenza che metterebbe al sicuro il paese – e il regime – da un possibile attacco straniero, con la cui minaccia l’Iran convive da decenni.
Il successo del programma nucleare, inoltre, sarebbe un’eclatante dimostrazione delle potenzialità dello Stato rivoluzionario iraniano, delle sue capacità scientifiche e umane, e una conferma del suo status di potenza regionale. D’altra parte, a questo punto un fallimento di tale programma potrebbe anche tradursi nella rovina del regime stesso.
Perciò Khamenei sembra disposto a subire anche il peso tremendo delle sanzioni, ed a correre il rischio del tracollo economico, e forse di un attacco militare.
In un recente discorso prima delle elezioni, la Guida Suprema ha sottolineato che l’Iran non rinuncerà mai al suo diritto a portare avanti il proprio programma nucleare, ma – forse nel tentativo di lasciare aperto uno spiraglio diplomatico – ha ribadito che gli occidentali “sanno che non stiamo cercando di costruire armi nucleari”, ed ha aggiunto che, anche da un punto di vista ideologico e dottrinario, “consideriamo illegale sviluppare armi nucleari; consideriamo un grave peccato usare queste armi; crediamo anche che possedere queste armi sia inutile e pericoloso”.
Simili parole potrebbero forse trovare ascolto presso Obama, che pochi giorni fa, davanti all’AIPAC, ha dichiarato di ritenere fermamente che “rimane una possibilità di successo per la diplomazia”, sebbene si tratti di una diplomazia “sostenuta dalle pressioni”. Ma difficilmente saranno ascoltate da Netanyahu, che di fronte alla stessa platea, ribadendo il suo ‘approccio apocalittico’ ha affermato: “non lascerò mai che il mio popolo viva nella paura dell’annientamento”, aggiungendo che “nessuno di noi può permettersi di aspettare oltre”.

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