Video :Israele sospende la campagna per il rientro degli ebrei americani






Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha deciso di interrompere una campagna pubblicitaria negli Stati Uniti finanziata dal Ministero per l’Assorbimento dell’Immigrazione di Israele, e diretta ai cittadini di Israele che hanno lasciato lo stato per emigrare all’estero, un fenomeno in forte crescita negli ultimi anni.
La campagna è iniziata alla fine di settembre con cartelloni pubblicitari nelle città statunitensi che ospitano il maggior numero di emigrati da Israele, tra cui New York e Los Angeles. Il messaggio centrale della campagna è il rischio di venire assimilati nella cultura americana, perdendo la propria identità culturale. Alcuni degli slogan sono “Prima che Hanukkah [o Festa delle Luci, una delle principali festività della religione ebraica] si trasformi nel Natale, è ora di tornare in Israele” oppure “Prima che Abba [la parola ebraica per "papà"] si trasformi in Daddy, è ora di tornare in Israele”. Il ministero israeliano che curava la campagna ha pubblicato su internet anche diversi video pubblicitari.
La campagna ha causato le proteste di molte associazioni di ebrei americani, tra cui la Anti Defamation League, e persino di alcuni membri del Congresso statunitense, costringendo l’ambasciatore israeliano negli Stati Uniti Michael Oren a chiedere scusa, dicendo che l’ambasciata non era stata consultata sulla campagna e che “la campagna del Ministero per l’Assorbimento dell’Immigrazione non ha chiaramente tenuto conto della sensibilità degli ebrei americani, e ci scusiamo per le offese che può aver causato.”Fin dall’indipendenza di Israele nel 1948, i governi hanno investito molto nei programmi e negli incentivi per garantire una numerosa e continua immigrazione nel nuovo stato di persone di religione ebraica: il provvedimento principale è la Legge del Ritorno, approvata nel 1950. Nel 1970 venne estesa anche a tutti i cittadini stranieri che avessero genitori o nonni di religione ebraica e ai neoconvertiti. Il Ministero per l’Assorbimento dell’Immigrazione si occupa di trovare un lavoro e una casa ai nuovi arrivati, oltre a garantire loro una serie di incentivi fiscali e di altro tipo. Il “ritorno” in Israele si chiama aliyah in ebraico, “ascesa” o “salita”, e da sempre i governi lo dichiarano necessario per la sopravvivenza dello stato.

2In arrivo in Palestina 2500 immigrati ebrei per colonizzare il Nord   È il piano dell’organizzazione sionista Nefesh B’nefesh che ha recentemente lanciato un piano per l’immigrazione in Israele di 2500 ebrei provenienti dal Nord America, dal Canada e dal Regno Unito.I primi 245 nuovi coloni sono attesi per oggi all’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv, ha fatto sapere l’organizzazione israeliana. Ad attenderli al Terminal 1 ci sarà una cerimonia di benvenuto a cui parteciperà anche il ministro dell’Immigrazione , Sofa Landver, e il presidente dell’Agenzia Ebraica, Natan Sharansky. L’obiettivo del piano battezzato “Go North” è fare arrivare gli altri 2.250 entro l’estate e di dirottarli a Nord di Israele, nelle zone dove sono più numerosi i residenti palestinesi, nell’obiettivo di modificare i tassi demografici dell’area. Galilea e Golan, quindi, lasciando fuori le città miste di Haifa e Acco, dove la presenza israeliana pare sufficiente.
Nefesh B’nefesh, che da tempo incoraggia una simile immigrazione da America, Canada e Regno Unito, ha detto che coopererà con l’Agenzia Ebraica per Israele, il Ministero dell’Immigrazione e il Ministero per lo Sviluppo di Negev e Galilea per attuare il piano. Un piano il cui costo finale toccherà quota 10 milioni di dollari. Quest’estate l’organizzazione israeliana festeggia i dieci anni di attività e vorrebbe celebrare il decimo anniversario facendo entrare l’aliyah (ebreo immigrato in Israele) numero 30.000. “È una grande soddisfazione per noi vedere che sempre più ebrei dal Nord America decidono di divenire aliyah e di vivere nello Stato di Israele-  ha detto Tony Gelbart, fondatore e presidente della Nefesh B’nefesh – Ognuno di loro dà un enorme contributo a Israele e lascia il segno”.
Nella homepage del sito dell’organizzazione si leggono gli strumenti che il piano “Go North” metterà sul tavolo: aiuti finanziari, esenzioni dalle tasse, assistenza nella ricerca di un lavoro, sussidi per i trasporti e abitazioni confortevoli al fine di spingere verso Israele un numero sempre maggiore di ebrei residenti all’estero.See more details 

3   Quelli che lasciano Israele :750.000 gli emigrati da Israele  Fin dalla sua nascita, nel 1948, Israele incentiva l’immigrazione nel suo territorio degli ebrei che vivono all’estero (e di chi ha antenati di religione ebraica). Negli ultimi anni è in crescita però un fenomeno di segno opposto: molti israeliani decidono infatti di abbandonare Israele. La cosiddetta yerida (“discesa”) è oggetto di molte discussioni nello stato ebraico per le sue pesanti implicazioni sociali, demografiche e politiche. Un articolo di Foreign Policy si occupa di questo fenomeno.Le stime del numero di israeliani che vivono all’estero variano molto e manca un sistema di rilevamento preciso, ma il governo ammette che gli emigrati da Israele attualmente siano almeno 750.000. Secondo altre stime, il numero arriverebbe a un milione. Sono cifre notevoli, se si tiene conto del fatto che Israele ha circa 7,7 milioni di abitanti: la percentuale di emigrati, superiore al 10% della popolazione, mette Israele a fianco di paesi ad alta emigrazione come Messico, Marocco e Sri Lanka. A gennaio di quest’anno si è tenuta anche la prima conferenza internazionale degli israeliani residenti all’estero.Fin dall’indipendenza di Israele nel 1948, i governi hanno investito molto nei programmi e negli incentivi per garantire una numerosa e continua immigrazione nel nuovo stato di persone di religione ebraica: il provvedimento principale è la Legge del Ritorno, approvata nel 1950. Nel 1970 venne estesa anche a tutti i cittadini stranieri che avessero genitori o nonni di religione ebraica e ai neoconvertiti. Il Ministero per l’Assorbimento dell’Immigrazione si occupa di trovare un lavoro e una casa ai nuovi arrivati, oltre a garantire loro una serie di incentivi fiscali e di altro tipo. Il “ritorno” in Israele si chiama aliyah in ebraico, “ascesa” o “salita”, e da sempre i governi lo dichiarano necessario per la sopravvivenza dello statoMa le difficoltà nella risoluzione della questione palestinese, le condizioni economiche e una generale sfiducia nel futuro hanno convinto centinaia di persone a fare il viaggio inverso e ad abbandonare Israele: un desiderio che, secondo un recente sondaggio, riguarderebbe circa la metà dei giovani israeliani e che è in crescita negli ultimi decenni. Una ricerca di pochi anni fa riportava che poco meno del 60% degli israeliani avevano preso contatti con un’ambasciata straniera o intendevano farlo per ottenere una seconda cittadinanza, anche se a breve non intendevano lasciare il paese. L’ambasciata statunitense, da sola, ha in sospeso quasi 250.000 richieste di un secondo passaporto.Gran parte degli emigrati si trasferisce negli Stati Uniti (le stime parlano di circa due terzi del totale) e più o meno un quarto sceglie l’Europa. Si tratta solitamente di giovani, con un alto grado di istruzione e poco legati alla religione ebraica, che quindi si sentono poco a loro agio nella radicalizzazione delle posizioni politiche degli ultimi anni e nella crescente influenza dei gruppi religiosi ebraici più rigidi e ortodossi. La yerida, termine che significa “discesa” e che si oppone, con una connotazione negativa, all’aliyah, sta cambiando gli equilibri demografici dello stato ebraico: attualmente i cittadini israeliani di dichiarata religione ebraica sono circa il 75% (erano l’89% nell’anno del massimo storico, il 1957) ma la popolazione araba ha un numero medio di figli per donna molto più alto e il numero di ebrei disposti a trasferirsi in Israele, dopo l’ondata di cittadini dell’ex Unione Sovietica all’inizio degli anni Novanta, sembra in netta diminuzione. Tutte le previsioni indicano che nei prossimi decenni la percentuale di ebrei in Israele diminuirà parecchio.

http://www.ilpost.it/2011/07/07/quelli-che-lasciano-israele/






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