Roma, 17 luglio 2010, Nena News – E’ una estate più secca del solito per 60 mila palestinesi della Cisgiordania. E non solo per la carenza del prezioso liquido a causa della siccità che ormai da anni afflige questa parte del Vicino Oriente. Per queste decine di migliaia di persone il «problema» è legato alla loro residenza nella cosiddetta «Area C», ossia in quella ampia porzione (circa il 60%) della Cisgiordania sotto il pieno controllo delle autorità di occupazione israeliane.
Intervistata da Irin, l’agenzia stampa delle Nazioni Unite, Cara Flowers, una funzionaria di Emergency Water, Sanitation and Hygiene Group (Ewash), ha avvertito che le condizioni di vita di questi palestinesi stanno rapidamente peggiorando per la mancanza di acqua e per l’impossibilità di osservare le regole igieniche basilari. «Ci sono comunità palestinesi nell’Area C che riescono a procurarsi l’acqua solo comprandola a 40 km di distanza dalle loro case, una situazione che rende molto complicata la loro esistenza», ha spiegato Flowers. Occorrono interventi immediati, ha aggiunto, ma Israele non concede i permessi necessari per realizzarli.Dopo gli Accordi di Oslo I e II (1993/1995) tra Israele e l’Olp dello scomparso presidente palestinese Yasser Arafat la Cisgiordania venne suddivisa in tre zone: Area A, sotto il pieno controllo dell’Autorità nazionale palestinese; Area B, con amministrazione civile palestinese e gestione della sicurezza da parte di Israele; Area C, totalmente sotto l’autorità militare israelianaIn quest’ultima zona la popolazione palestinese è limitata a poche decine di migliaia ma queste persone sono costrette a far riferimento per ogni aspetto della loro esistenza all’esercito israeliano (nelle aree A e B vive il 95% dei palestinesi della Cisgiordania). Questa situazione comporta la mancanza o il ritardo (spesso di anni) nell’avvio di qualsiasi progetto di sviluppo delle infrastrutture civili e dei servizi pubblici di base. Occorre tenere in considerazione che Israele non nasconde di volersi annettere, nel quadro di un futuro accordo con l’Anp, una fetta consistente dell’Area C, dove si trovano le principali concentrazioni di colonie ebraiche (costruite in violazione della legge internazionale) e dove è stato edificato gran parte del «muro di separazione».L’acquifero della Cisgiordania è l’unic fonte accessibile dai palestinesi ma a controllarla è solo Israele che nella distribuzione favorisce ampiamente i suoi cittadini e gli abitanti delle colonie. Ai palestinesi resta una quantità di acqua, (il 20%) non in grado di coprire il fabbisogno di una popolazione peraltro in forte crescita. Questa politica israeliana è stata condannata da vari organismi internazionali e, più di recente, anche da Amnesty International [http://www.amnesty.org/en/library/asset/MDE15/028/2009/en/634f6762-d603-4efb-98ba-42a02acd3f46/mde150282009en.pdf).I più penalizzati, denuncia Ewash, sono i palestinesi che vivono nell’Area C. Si tratta in molti casi di abitanti di piccoli villaggi, non collegati alla rete idrica, che l’esercito israeliano (attraverso la sua «Amministrazione civile») è tenuto a tutelare ed assistere e che invece non tiene in alcuna considerazione. Un caso emblematico è quello delle cento famiglie beduine del villaggio di Ras al-Awja, vicino Gerico, che sono costrette a comprare l’acqua a prezzi molto elevati mentre i coloni israeliani degli insediamenti circostanti hanno a disposizione quantitativi sufficienti di acqua, proveniente dall’acquifero della Cisgiordania, per irrigare i campi coltivati e persino i loro giardini. (red) Nena News
(Il rapporto di Ewash sulla crisi idrica in Cisgiordania è disponibile a questo indirizzo http://www.ewash.org/files/library/5Factsheet5-AccesstoWASHinAreaC.pdf
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