Gideon Levy il patrimonio occultato di israele
Il vilipeso “Chief Scientist” del Ministero dell’Istruzione, il dottor Gavriel Avital, è apparentemente più aperto e progressista rispetto allo stimato segretario del governo, Zvi Hauser. Sebbene Avital, che è stato subito messo pubblicamente in ridicolo, abbia semplicemente cercato teorie (e convinzioni) alternative in aggiunta all’evoluzionismo e al riscaldamento globale, Hauser, ispirato dal suo capo – il primo ministro Benjamin Netanyahu – ha cercato di lasciarci in eredità una singola e univoca narrazione storica.Avital è stato considerato retrogrado anche se non stava chiedendo che il darwinismo fosse ignorato, ma Netanyahu e Hauser – nella loro apertura mentale – si ostinano ad ignorare la maggior parte della storia.Quattrocento milioni di Shekel, 150 “siti storici” e una grande, vecchia bugia: una terra senza popolo per un popolo senza terra. Dopo più di 100 anni di sionismo e più di 60 dalla fondazione dello Stato, Israele ha ancora bisogno di nascondere, negare, coprire e oscurare per giustificare la sua esistenza.Non c’è prova più grande della sua mancanza di fiducia in sé, in una simile giustificazione. “Questa non è una festa per il post-sionismo”, ha detto Hauser quando il programma per la salvaguardia del patrimonio nazionale è stato approvato dal consiglio dei ministri – che è vero. È una festa per i propagandisti.Lasciamo da parte i disordini a Betlemme e a Hebron. La Tomba di Rachele e la Tomba dei Patriarchi (entrambi in Cisgiordania, rispettivamente a Betlemme e a Hebron, sono luoghi sacri sia agli ebrei che ai musulmani (N.d.T.) ) sono stai aggiunti al programma come una provocazione dell’ultimo minuto dovuta alle pressioni da parte del partito Shas, e i tumulti probabilmente si calmeranno.Si deve anche accettare l’approccio che afferma che ad un Paese e ad un popolo è permesso immortalare il proprio passato ed il proprio patrimonio. Ma un Paese che ha ricoperto di foreste 416 villaggi arabi abbandonati, tramite il Fondo Nazionale Ebraico, e non ha lasciato un solo monumento per ricordarli – come nelle parole del poeta Yevgeny Yevtushenko a proposito di Babi Yar – deve finalmente consegnare l’intera storia ai suoi cittadini, e non solo capitoli selezionati e fuorvianti.sraele è una potenza regionale consolidata e forte, il cui diritto ad esistere, contrariamente ai suoi ragionamenti infondati, non è messo in dubbio da molte persone nel mondo, e il governo Netanyahu-Hauser avrebbe dovuto avere il coraggio di proporre un vero piano per il patrimonio, presentando l’intera verità.
Non dovrebbero cancellare interi capitoli di storia e liquidare il patrimonio di circa un quinto dei cittadini del Paese, cittadini arabi, la cui presenza qui è più antica e più radicata di quella della maggior parte dei cittadini ebrei. L’umile casa del primo ministro David Ben-Gurion nel Kibbutz di Sde Boker? Ovviamente includiamola. Ma cosa ne è del trascurato e inaccessibile cimitero arabo del villaggio di Sheikh Munis, ora parte di Ramat Aviv? Quando Hauser parla dei “nostri siti”, non può riferirsi soltanto agli ebrei del Paese.Nel centro del villaggio di Moshav Zekharia, sulle Colline della Giudea, che è stato edificato sulle rovine del villaggio palestinese di Zakariyya, c’è una moschea abbandonata. Andate lì una volta, e osservate la recinzione che la circonda. Cosa c’è scritto sulla recinzione? “Attenzione. Struttura pericolosa”.
Esiste una metafora più adatta di questa? La vera ed autentica storia palestinese, che non è meno nobile della nostra, è tuttora considerata come una struttura pericolosa. Sul serio, perché? Se tutto era così soltanto nel 1948, perché nasconderlo, e trascurarlo, circondarlo da una recinzione e un cartello di pericolo? Perché non restaurarlo come parte del programma per la salvaguardia del patrimonio e dire agli abitanti di Zekharia la verità a proposito della terra sulla quale vivono.
Perché è considerato offensivo “post-sionismo” affermare che lì sorgeva un villaggio che era esistito fin dall’epoca Romana e Bizantina, dove nel XVI secolo vivevano 259 persone, e dove nel 1948 le sue 181 case davano riparo a 1.180 abitanti arabi? Si può anche parlare degli ultimi giorni del villaggio, di come nel marzo del 1949, dopo la costituzione dello Stato d’Israele e la fine della Guerra di Indipendenza, quando il villaggio era ancora abitato, il rappresentante regionale del ministero degli interni scrisse che c’erano “molte case in buono stato nel villaggio, e sarà possibile ospitarvi diverse centinaia di nuovi immigrati”.
Si potrebbe parlare di come il primo ministro Ben-Gurion si incontrò – mentre era in vacanza a Tiberiade – con Moshe Sharett e un gruppo di funzionari governativi e decise di espellere gli abitanti del villaggio, e di come durante l’estate del 1950 essi furono espulsi permanentemente. Non è piacevole, ma la gente deve saperlo. Anche questo fa parte della nostra storia.
Ovviamente, non solo questo capitolo è omesso nel piano sulla salvaguardia del patrimonio promosso da Netanyahu. Esso omette centinaia di anni di presenza non-ebraica nella terra di Israele.
Dunque non dovremmo sapere? Un patrimonio propagandistico può cambiare il volto della storia? E se il passato è così problematico, forse potremmo metterlo da parte finché Hauser non avrà il coraggio di raccontarlo per intero.
Nel frattempo, forse sarebbe meglio se Netanyahu si occupasse del futuro. Forse potrebbe pensare all’eredità che lui vorrebbe tramandare. Cosa lascerà ai suoi discendenti? Più cimiteri? Più guerre? O forse qualcosa di diverso, tanto per cambiare.
Gideon Levy è un giornalista israeliano; è membro del comitato di redazione del quotidiano “Haaretz”; è stato portavoce di Shimon Peres dal 1978 al 1982
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