AVRAHAM B. YEHOSHUAI palestinesi non vogliono i pasdaran

La Seconda guerra mondiale non ha purtroppo segnato la fine di sanguinosi conflitti bellici durante i quali si sono verificati episodi di genocidio. Ricordiamo l’Angola, ricordiamo il massacro di milioni di esseri umani in Cambogia da parte dei Khmer rossi, ricordiamo le terribili guerre tribali in Ruanda, le lotte cruente per lo smantellamento dell’ex Jugoslavia e lo sterminio dei cristiani nel Sudan meridionale. E naturalmente non possiamo dimenticare i crimini compiuti dal regime stalinista contro i popoli dell’ex impero sovietico. Eppure l’Organizzazione delle Nazioni Unite ha deciso di dedicare una giornata alla memoria della Shoah degli ebrei d'Europa.Che cosa differenzia lo sterminio degli ebrei da altre tragedie della storia umana avvenute nel ventesimo secolo? La differenza non sta solo nell’inconcepibile numero di vittime e nella ferocia con la quale questo eccidio è stato perpetrato ma anche nell’assenza dei motivi all'origine dei massacri e dei genocidi conosciuti nel secolo scorsoI nazisti infatti non trucidarono gli ebrei perché volevano impossessarsi dei loro territori (gli ebrei non possedevano alcun territorio), né perché erano seguaci di un diverso credo religioso (i nazisti e i loro complici erano atei, nemici di qualunque fede religiosa). Non li sterminarono neppure per impossessarsi dei loro averi (la maggior parte degli ebrei era povera e chi possedeva qualcosa vi avrebbe probabilmente rinunciato per avere salva la vita), né tanto meno per motivi ideologici in quanto gli ebrei non detenevano un'ideologia a loro peculiare. I nazisti non volevano nemmeno trasformare gli ebrei, che mai prima di allora erano stati catalogati come una «razza» a sé stante, in schiavi. Li consideravano alla stregua di «microbi» e per questo li distrussero con tanta efferatezza e puntigliosità. Lo sterminio, inoltre, non fu perpetrato nella sola Germania ma in tutti i Paesi sotto occupazione nazista, talvolta con l’aiuto, o per lo meno con il silenzioso consenso, dei popoli conquistati che pure soffrivano sotto il giogo della dominazione tedesca. La Shoah fu perciò innescata da un meccanismo assurdo e fantasioso che attribuiva agli ebrei colpe inventate, da una distorsione mentale che generò un odio inspiegabile, bruciante e immotivato. Un odio che probabilmente non fu soffocato con la sconfitta del nazismo e del quale, sessantacinque anni dopo la liberazione del campo di sterminio di Auschwitz, ancora si intravedono segnali terrificanti. Occorre pertanto restare allerta affinché questo odio, le cui conseguenze potrebbero essere devastanti, non si ridesti, né verso gli ebrei né verso altri popoli. Per questo l'Organizzazione delle Nazioni Unite ha ritenuto giusto commemorare la memoria della Shoah piuttosto che dedicare una giornata generica a tutte le tragedie umane.I leader israeliani, con la loro partecipazione alle cerimonie ufficiali tenutesi nelle varie capitali europee nel Giorno della Memoria, non solo hanno cercato di rafforzare le difese naturali contro i fenomeni di antisemitismo che ancora sopravvivono qua e là nel mondo ma anche di ottenere sostegno politico contro la politica di armamento nucleare dell'Iran che, periodicamente, lancia minacce contro Israele e proclama di volerlo cancellare dalla faccia della terra.L'Iran non è la Germania nazista. Il suo regime politico, la sua ideologia e naturalmente il suo potenziale bellico ed economico sono ben diversi da quelli dello Stato hitleriano. E l'Israele moderno non ricorda le deboli comunità ebraiche sparse in passato in Europa. Israele oggi non solo è in grado di difendersi da sé ma anche di causare gravi danni ai suoi nemici. Eppure, nonostante la differenza sostanziale tra l’Iran moderno e la Germania nazista, le autorità iraniane hanno adottato una bizzarra e totale opposizione all'esistenza di Israele, una presa di posizione che potrebbe farli precipitare nel meccanismo responsabile di aver generato l’odio abissale verso gli ebrei all'epoca della Shoah. Quando l’Iran possiederà armi atomiche, malgrado la sua debolezza e vulnerabilità, non è da escludere che, come la Germania nazista, possa essere risucchiato in un vortice di follia aggressiva che rischierebbe di provocare una sciagura terribile per lo Stato di Israele.Nessuno può garantire che le sanzioni decretate dalla comunità internazionale nei confronti dell’Iran riusciranno a convincere i suoi leader a desistere dalla corsa alla produzione di armi nucleari. E un tentativo di distruggere militarmente il suo potenziale atomico potrebbe coinvolgere Israele in una lotta sfiancante e prolungata alla quale si unirebbero forse anche altri nemici dello Stato ebraico. Sono perciò molti coloro che ritengono che l'unica via giusta e morale per neutralizzare la minaccia iraniana sia quella di siglare un accordo di pace con i palestinesiLa scorsa settimana, durante una preghiera pubblica a Ramallah alla quale hanno preso parte tutti i capi dell'Autorità palestinese, il ministro della Religione palestinese ha tenuto un sermone che ha destato speranza. Davanti alle telecamere si è pronunciato in maniera forte e risoluta contro l'ingerenza iraniana nel conflitto tra Israele e il suo popolo esprimendosi, più o meno, nei seguenti termini: «Che c'entrate voi con questo conflitto? Noi non abbiamo bisogno del vostro patrocinio né del vostro sostegno. Anziché aiutare noi e gli israeliani a giungere alla soluzione generalmente accettata da tutti, ovvero due Stati per due popoli, voi non fate che inasprire lo scontro. Spinti da motivi estranei al conflitto incoraggiate e sobillate l’estremismo di Hamas provocando così la reazione violenta di Israele, aggravando la nostra sofferenza e allontanando la conclusione alla quale noi tutti auspichiamo. Mai un vostro soldato ha versato sangue per il nostro popolo, a differenza di migliaia di soldati egiziani il cui governo ha stretto un patto di pace con Israele».
La leadership palestinese sa bene che se l'Iran dovesse lanciare un’atomica contro Israele anche il suo popolo ne soffrirebbero terribilmente. Un'eventuale pace tra Israele e i palestinesi neutralizzerebbe invece il veleno dell’odio iraniano e spezzerebbe il fantasioso meccanismo politico che lo porta a identificare Israele con il male totale, o il «piccolo satana» che occorre annientare a ogni costo. Un fronte comune a israeliani e palestinesi potrebbe spingere il popolo iraniano, che in un passato non lontano manteneva buone relazioni con lo Stato ebraico, a ribellarsi alla follia che pare essersi diffusa nella sua dirigenza. Un’azione bellica israeliana o americana rischierebbe di provocare un pericoloso peggioramento della situazione, prolungherebbe e intensificherebbe la sofferenza in questa regione tanto sensibile del mondo. Una conclusione pacifica del conflitto israelo-palestinese, viceversa, sarebbe di gran lunga più efficace di qualunque iniziativa militare.

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