Gaza :"Perché sono sicuro, io finisco in tribunale. Anche tra cinquant'anni: ma io finisco come Eichmann". Un soldato israeliano racconta



"Ma perché non è questione di ordini. Nessuno mi ha mai detto: spara a qualsiasi cosa si muove, se è questo che intendi: spara indipendentemente da tutto. Ma neppure mi è stato detto di sparare solo davanti a una minaccia reale, nel senso - una minaccia che hai verificato, un terrorista che esiste davvero. E alla fine, è tutto qui, nel senso: questo equivoco, no?, questo Goldstone, e tutta la storia, nel senso - il diritto di guerra. Non spari se sei minacciato, ma se ti senti minacciato. Cioè, non il pericolo reale: il pericolo percepito. Spari se hai paura. Tutto qui. E solo - solo che hai costantemente paura. Ti senti costantemente minacciato. Perché sei israeliano, e perché un israeliano viene cresciuto nell'idea della minaccia, e il pericolo e la paura. Perché è una vita intera che ti insegnano a sentirti minacciato. E per cui spari. Entri in una casa, e non sai chi trovi, dentro: e d'altra parte - come puoi saperlo?, e per cui non è che bussi gentile e aspetti il proiettile, fai esplodere tutto e entri sparando in ogni direzione. Chi trovi, trovi. D'altra parte - perché mai sono lì? Non si sono accorti della guerra?, perché sono ancora lì? Affari loro. L'unica mia regola è la visuale, la massima visuale. Giri a destra, a un incrocio, e demolisci la casa a sinistra, la casa che ti rimane dietro. Che storia è, adesso, che sarebbe un crimine?, questo Goldstone - che avrei bisogno di una motivazione? Dietro una finestra può nascondersi chiunque. In guerra ogni attacco è preventivo. E è per questo che l'addestramento vero, alla fine, è a scuola, non in caserma. Perché è a scuola che impari chi sono gli arabi, nel senso - come funziona, qui: la loro vita o la mia. E per cui non è questione di ordini, è questione - questione di atmosfera. La sera prima il comandante ci ha riunito. Sanno perfettamente quando arriviamo, ha detto. E da dove arriviamo. L'unica cosa che abbiamo è la potenza di fuoco. L'unica cosa. Un grilletto, e un dito. Per cui, in caso di dubbio, sparate: e non avrete più alcun dubbio. E poi, ha detto, fortunatamente gli ospedali erano già al limite: e senza più medicine, gasolio, niente, un cerotto: per cui la storia era più rapida, nel senso - nel senso: morivano tutti: anche se non possiamo colpire direttamente le ambulanze, ha detto: siamo una democrazia, purtroppo: non possiamo combattere come vorremmo. In questo senso - l'atmosfera: perché quello che vorremmo, qui, è chiaro a tutti. Cioè, non è esplicito. Non è un ordine, nel senso - tecnicamente. Ma è chiaro comunque. Per cui, nel dubbio - spari. Tutti che vogliono capire perché sono partito. Ma io non ho scelto di andare in guerra, in guerra ci sono nato. La guerra è la mia vita. Non ho idea onestamente, di quale fosse l'obiettivo preciso: ma non è importante - voglio dire: l'obiettivo: conoscerlo, condividerlo. Perché la guerra non è qualcosa di discontinuo rispetto alla mia vita: non è che esiste la pace, qui, e poi a un certo punto la guerra - e ti chiedi allora se ha senso partire, e quale sia l'obiettivo. E così, uguale: non è che ricevi un ordine preciso, nessuna discontinuità. L'obiettivo, l'ordine lo conosci da sempre. Perché sei ebreo, e vogliono assassinarti".
"Non è questione di singoli soldati, qui. L'errore, il danno collaterale. Lo squilibrato di Abu Ghraib con il prigioniero al guinzaglio, no - è questione di un sistema intero, qui, che è in cortocircuito. E questo sistema non è l'esercito israeliano: il nostro esercito rimane tra i migliori al mondo. Il problema è questa cosa - questa contraddizione: il diritto di guerra. Cioè: prima ancora, il problema è la parola stessa: guerra. Perché suggerisce l'idea di una storia come - come lo sbarco in Normandia, no?, avanzate ritirate, la battaglia della Somme: l'inverno in trincea - suggerisce una specie di parità tra i contendenti. Insomma, un esercito contro l'altro, questi racconti epici, Clausewitz, Napoleone, e tutte quelle iliadi lì, le trombe e i tamburi e le medaglie al valore. Sono morti quasi... millequattrocentoquarantaquattro arabi, rispetto a tredici israeliani: di cui, tra l'altro, quattro per fuoco amico - quindi diciamo millequattrocentoeccetera contro nove. Che guerra è?, con una sproporzione così, che eroismo è? E quelli, ti garantisco, erano in larga parte dei disperati con gli stracci ai piedi. Che guerra è? Sono i soldati ormai, non i civili, le vittime accidentali. Il danno collaterale. Non è guerra, è stupro: però la parola è utile, perché è già un'arma, e la più potente - perché in guerra, no?, tutto è permesso. E questa cosa poi, che chiamiamo diritto di guerra, ogni volta, questa storia, i crimini le inchieste - intanto, è completamente inadeguato. Peché questa guerra è una guerra di tipo nuovo: e da entrambe le parti. Nel senso - da entrambe le parti: è la definizione stessa di guerrigliero, uno che è sostenuto dalla popolazione locale - come in Vietnam, no?, l'acqua dei pesci. Nessuno è innocente. Ma distinguere tra civili e combattenti è impossibile anche con Israele. Arriva questo Goldstone, adesso, con la squadra e il compasso e le sue belle geometrie, e mi viene a accusare che sono l'unico assassino, qui. Ma muoiono di embargo, quelli, di fame, di malattie minime che diventano incurabili perché hai quattro anni e non hai mai mangiato un pezzo di carne. E non è solo l'embargo: è l'occupazione. La maggior parte di quelle regole, lì, Ginevra, viene violata con mezzi civili, non militari. Con mezzi legali, con la legge. Un pozzo è Oslo, che ti proibisce di scavarlo, non la guerra - non io: non è per le mie granate, a Hebron, che ti schianti di colera. Chi spara, tra gli israeliani, è solo più visibile: solo in divisa: ma non è l'unico soldato. L'occupazione è la guerra in borghese. Nessuno è innocente. E comunque non è solo questo, voglio dire - questa storia del diritto di guerra. Non sono semplicemente regole inadeguate, concepite per altri tempi, altri mondi. Sono regole insensate, in assoluto. Si chiede di combattere eticamente. Pensare prima di sparare. Ma qui non esistono regole. L'unica cosa che puoi fare, prima di sparare, è essere sparato".
"Il mio compito è stato essenzialmente investire polli. Nel senso - polli. Migliaia di polli. Ore e ore, migliaia, migliaia di polli. Con una ruspa. Il più grande allevamento di Gaza, e il solo ancora in funzione. Come il mulino, quando abbiamo bombardato il mulino, all'inizio - perché era ancora in funzione. E poi, immediatamente, le riserve di acqua - insomma, queste cose così. Perché Goldstone non ha capito che è più umanitario affamare che incenerire - consentire al nemico di arrendersi vivo invece che morto. Non dovevamo conquistare Gaza, dovevamo sradicare il terrorismo. E per sradicare il terrorismo, l'unica è sradicare l'infrastruttura di supporto. Come in Libano. Colpire tutto. Letteralmente: tutto quello che ti fa sopravvivere, e tirare razzi impunito. O lasciare tirare razzi, che poi è uguale: si chiama complicità, in diritto, non si chiama innocenza. La mia guerra è stata essenzialmente questo: demolire. Non mi occupo di granate, storie del genere. Non sono un assassino. Guido una ruspa. Poi è anche divertente, sembra un videogioco, insegui tutti quei polli... Tipo PacMan, è divertente. Migliaia di polli. Non sono un terrorista, io, non esplodo alla posta. Semplicemente, davanti a una cosa come Hamas tutto è un obiettivo legittimo: anche un asilo: perché in fondo è dall'asilo che insegnano ai bambini a diventare terroristi, Corano invece che tabelline, ma li hai visti?, con la bandiera, lì che cantano canzoni sulla resistenza, e chiedi da dove arrivano e sono alti venti centimetri e ti rispondono: da Lydda - da Lydda?, ma spiegategli l'alfabeto, a questo, piuttosto: sono sessant'anni che quella è casa mia. Però è chiaro: siamo una democrazia, e non possiamo colpire un asilo. Però, per intenderci - nessuna città è una città, qui, nessun quartiere è un quartiere: solo basi militari. E allora l'unica è creare una situazione così disperata, così intollerabile che scelgano di andare via, di trasferirsi altrove: oppure, come preferiscono - che la finiscano con questa storia di Hamas. Nel senso: vogliono sostenere Hamas? Che imparino a cucinare erbe e fango, però, perché non rimarrà neppure una capra. Perché l'obiettivo, realisticamente, non è combattere contro i terroristi intesi fisicamente, individualmente uno a uno: avremo sempre, intorno, milioni di arabi. L'obiettivo è la popolazione civile: convincerla a non sostenere Hamas. Con tutti i mezzi possibili: politici, economici, militari. Sono sessant'anni, qui, e altri avrebbero già usato il nucleare. Ma ditelo a Goldstone - noi siamo una democrazia"."Solo che alla fine, a un certo punto - non so, solo che ti accorgi che la guerra santa, qui, in realtà è la tua. A cominciare da questo nome, no?, questo Piombo Fuso: perché arriva dal Talmud, è una delle tecniche di esecuzione della condanna a morte. Strangolare, mentre si versa in gola appunto, piombo fuso. E a pensarci, è esattamente la strategia di Gaza, no?, voglio dire, l'embargo, e poi colpire con questa violenza... Con questa violenza sproporzionata, sì: sproporzionata, in un certo senso. Cioè, più che altro... Proporzionata, ma alla minaccia e non alla realtà. Voglio dire: tu non riconosci la mia esistenza, e io non riconosco la tua: è una cosa proporzionata. Però - cioè, non sono del tutto sicuro. Voglio dire: adesso. A ripensarci. Perché poi io - io fondamentalmente non ho visto nessuno. Nel senso: questi terroristi. A volte sentivamo un colpo, e rispondevamo con l'inferno, però - però non posso veramente dire di averli visti. Non dico che non c'erano, c'erano, ovvio - altrimenti perché mi hanno spedito lì?, però - però, voglio dire: si capisce dai rabbini. Perché l'esercito ha i suoi rabbini, no?, l'assistenza spirituale. Ma alla fine è una specie di demonizzazione del nemico, come l'equazione tra arabi e amalechiti. Una specie di scontro tra il bene e il male. E quindi ti è chiaro che non sarai punito, mai, qualsiasi cosa farai, perché Dio è con te. Non so, è - è a ripensarci, dopo, questa specie di disumanizzazione. Come l'impossibilità di fuggire. Perché in genere le guerre sono sempre le frontiere, no?, e tutti i profughi, in televisione, in fila nel fango. E invece lì erano tutti intrappolati dentro. E poi questa storia dei soccorsi. Nel senso - questa storia di ostacolarli. Così, per nessuna ragione precisa. Nessun ordine preciso, però - cioè, ogni volta trovavi un motivo per fermare, rinviare. Sparare. Un giorno ho demolito una casa sulla testa di morti e feriti, con questi pezzi dalle macerie, un tubo una sedia: una mano. Dopo che avevamo impedito all'ambulanza di raggiungerli, e anche sparato a quelli che tentavano di andare via. Perché arrivavano i volantini, no?, ad avvisarli: dicevamo di andare via: quindi era ovvio, se erano ancora lì erano dei terroristi. Però: cioè, ci ho pensato dopo, nel senso - quando poi erano lì a terra, in genere, mentre tornavo indietro lungo la stessa strada: a Gaza? E andare dove?"."E adesso - e ma adesso non so. Ma perché la verità è che questo stato che era qui per proteggermi, e essere la salvezza per me ebreo, questo stato la verità è che può proteggermi dagli arabi, cancellarli tutti in tre giorni - ma Israele non può proteggermi da me stesso. Perché poi un giorno, anche tra cinquant'anni sono sicuro, arriva uno come Goldstone, e sarò in vacanza a Parigi e mi arresteranno per i polli che ho ucciso a Gaza, e finirò in tribunale, perché dovevo pensare prima di sparare, e come Eichmann, anche tra cinquant'anni all'improvviso, e finirò in tribunale. Perché la verità è che da Gaza non esiste ritorno. Dopo Gaza, solo Gaza, sempre: solo l'esilio. Perché quell'arabo, quei 'territori' senza nome, a scuola, quello spazio bianco sulle mappe, la prateria selvaggia - io non lo sapevo, ma quell'arabo ero io. Il mio nemico qui - qui dentro. Ma perché è come se all'improvviso, disconnetti te stesso. Ti avvicini a una casa, spari al proprietario prima che spari a te, e anche se ha le mani alzate, perché come puoi saperlo?, quello esplode, che importa che ha le mani alzate?, e poi gli passi accanto, allora, a terra che ancora rantola, quello che era rimasto lì di guardia alle sue cose, a due tavoli di compensato e un divano sdrucito, e dici è morto, andiamo, e entri e ti sistemi per la notte, alla meglio, e cucini qualcosa e allora sì, cominciano le discussioni sulla moralità dell'esercito, un'ora per decidere se è giusto usare l'olio, finire i loro biscotti. Ho qualcosa, dentro, che non conosco. Quest'arabo con cui mi hanno cresciuto, quest'arabo che mi sterminerà, in realtà è dentro di me. No, da Gaza non esiste ritorno. E non solo perché sono sicuro, io finisco in tribunale, anche tra cinquant'anni, ma io finisco come Eichmann. Ma perché la verità è che questo stato che era qui per proteggermi - io non ho paura degli arabi, due pietre contro il nostro nucleare: ma chi mi protegge da Israele? Non scrivere il mio nome. Non scrivere niente che mi possa identificare. Chiamami Ismaele". Gaza sola andata
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