Akiva Eldar: gli insediamenti un ostacolo al sionismo
Continuare a portare avanti la politica degli insediamenti significa distruggere lo Stato di Israele. Il sostegno alle colonie in territorio palestinese, a scapito dello sviluppo di altre aree dello stato ebraico renderà Israele una entità irrimediabilmente binazionale, determinando la fine della visione sionista, sostiene il noto giornalista israeliano Akiva EldarDopo aver riconosciuto le “concentrazioni di popolazione ebraica” nei territori, il presidente George W. Bush ha rispolverato l’antica posizione americana secondo la quale gli insediamenti sono un ostacolo per la pace. Ma Bush non è stato del tutto preciso. Gli insediamenti non sono un ostacolo per la pace. Cosa accadrebbe se i palestinesi annunciassero domani mattina che danno il benvenuto ai coloni, e che rinunciano alla loro richiesta di uno stato indipendente in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, con capitale Gerusalemme Est? Cosa faremmo se Hamas deponesse le armi e dichiarasse unilateralmente una “hudna” (una tregua provvisoria) di 50 anni? Cosa diremmo se i palestinesi dovessero chiedere che Israele annetta i territori, inclusi Kiryat Arba, Hebron, Nablus, e Itamar? In quel caso, gli insediamenti non sarebbero un ostacolo per la pace, sarebbero l’epilogo della storia sionista.Per troppi anni molte persone in Israele, inclusi valenti personaggi della sinistra, hanno visto nel movimento dei coloni una nuova versione, nazional-religiosa, del movimento sionista laico. Ma è giunto il momento di esaminare questo mito alla luce della realtà attuale tra il mare ed il fiume Giordano, alla fine di 40 anni di colonizzazione. Nel 60° anno dello stato, non è più possibile accantonare l’affermazione che anche nel 1948 rubammo delle terre arabe. Il capitolo della lotta sionista si concluse il 15 maggio 1948. La Dichiarazione di Indipendenza gettò le fondamenta morali dello stato degli ebrei – la realizzazione della visione sionistaIl documento costitutivo del sionismo assicura che questo stato garantirà “una completa eguaglianza di diritti sociali e politici a tutti i suoi abitanti”. Questa dichiarazione significa che se i territori vengono annessi, Israele è obbligato a garantire i diritti di cittadinanza anche ai palestinesi, inclusi il diritto di voto ed il diritto di essere eletti nella Knesset. All’interno della “linea verde”, i confini antecedenti al 1967, gli ebrei costituiscono una solida maggioranza (il 79 %). Secondo le previsioni demografiche, la separazione di Israele dai territori garantirebbe che anche nel 2020 gli ebrei conservino il loro relativo vantaggio. Ma l’annessione della Cisgiordania e di Gerusalemme Est – sia essa ufficiale o “di fatto” – rende i territori compresi tra il mare ed il fiume Giordano uno stato binazionale anche adesso (con il 54 % di ebrei, ed il 46 % di non ebrei)La leadership sionista dichiarò che lo Stato di Israele “sarà basato sulla libertà, la giustizia e la pace”. Le colonie nel cuore dei territori hanno negato per 40 anni la libertà di milioni di persone, inclusa la libertà di movimento. Che relazione esiste fra l’ esproprio di “terre dello stato” o tra l’appropriazione di terre private, da un lato, e la creazione della giustizia e della pace, dall’altro? Come si concilia l’enorme aumento del numero dei coloni dopo la firma degli Accordi di Oslo (dai 100.000 del 1993 ai 270.000 di oggi) con la dichiarazione di 60 anni fa che recita: “Tendiamo la mano a tutti gli stati vicini ed ai loro popoli in un’offerta di pace e buon vicinato” ?.
Se non fosse per la propria paura dei coloni, Israele non ignorerebbe la mano tesa della Lega Araba, che offre pace ed un buon vicinato entro i confini del 4 giugno 1967. E qual è il contributo degli insediamenti alla reputazione internazionale di Israele, nel rispettare la dichiarazione “Ci appelliamo alle Nazioni Unite perché assistano il popolo ebraico nella costruzione del proprio stato, ed accolgano lo Stato di Israele nel consesso delle nazioni”? Gli insediamenti ed il percorso del muro di separazione, che fu costruito su misura per soddisfare i bisogni dei coloni, hanno attirato il più alto numero di condanne dell’ONU e di proteste internazionali contro Israele.
Il più importante documento politico sionista annunciò anche che il nuovo stato “promuoverà lo sviluppo del paese a beneficio di tutti i suoi abitanti”. Lo sviluppo della terra dei coloni a beneficio di una minoranza, che ammonta a meno del 5 % degli abitanti dello stato, fu portata avanti a spese di altre aree del paese, incluse le città diseredate, ed il Negev e la Galilea in generale. I salari degli impiegati delle autorità locali e regionali nei distretti di Giudea e Samaria (la Cisgiordania) arrivano sempre in orario. E non abbiamo neanche menzionato le enormi somme spese dalle Forze di Difesa Israeliane per proteggere gli insediamenti e le loro strade di accesso.
L’America scoprì una generazione fa che gli insediamenti sono un ostacolo alla pace. Ma ciò non ha impedito ad Israele di espandere questi ostacoli anche oggi. Per anni Ehud Olmert ha lanciato maledizioni contro coloro che ammonivano che la via degli insediamenti, di cui egli era un sostenitore, avrebbe portato ad uno stato binazionale. Egli destituì coloro che lanciavano questi moniti, più di 50 anni prima di dichiararlo egli stesso al quotidiano Haaretz, affermando che se la soluzione dei due stati non verrà raggiunta subito, “lo Stato di Israele è finito”. Ma a parte le parole, cosa sta facendo Olmert per rimuovere questo ostacolo dal cammino del sionismo?
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