Il congresso di al-Fatah, tra Abu Mazen e Barghouti



Dopo aver lungamente rinviato l’appuntamento, lo scorso 4 agosto il partito palestinese di Fatah è finalmente riuscito a convocare il proprio congresso nazionale. Grazie a questo evento la formazione politica fondata da Arafat spera di rinnovare la propria leadership, inserendo nel Comitato Centrale nuove figure. Pesano però su tale opera di rinnovamento importanti accuse di brogli nelle elezioni interne, con molte voci che accusano Abu Mazen di aver pilotato il voto.Il 4 agosto circa 2.300 delegati sono stati convocati a Ramallah per esprimere le proprie preferenze nei confronti dei 96 candidati in lizza per occupare i 19 seggi del Comitato Centrale del partito (Il Comitato di Fatah è composto da un totale di 23 membri: 19 eletti tramite il congresso, tre cooptati dal presidente in carica). Un’opera di riforma radicale che avrebbe dovuto portare nuovi elementi alla ribalta, mandando definitivamente in pensione la vecchia guardia. Ebbene questo è sostanzialmente avvenuto, in quanto alcuni storici appartenenti al partito, in particolare quelli appartenenti alla storica leadership in esilio, non hanno più trovato posto nella cabina di comando di Fatah. E’ tuttavia doveroso riscontrare come i risultati elettorali abbiano praticamente consegnato il partito nelle mani di Abu Mazen e come conseguentemente questo abbia portato alle veementi proteste di alcuni esponenti, primo fra tutti Ahmad Qurei, i quali hanno duramente accusato il leader di Fatah di aver manipolato il voto, nonché di essersi avvalso di sostegni esterni (il rifermento riguarda Israele) al fine di far eleggere alcuni discutibili personaggi. In effetti molti iscritti al partito hanno sollevato obiezioni sul regolare svolgimento delle consultazioni. Ad esempio i 300 delegati di Gaza i quali, a causa del blocco impostogli da Hamas, non hanno potuto raggiungere la Cisgiordania per esprimere direttamente il proprio voto e sono stati costretti a partecipare al congresso via telefono. Altri ancora hanno dichiarato che le proprie preferenze sono state assegnate ad altri e che addirittura alcuni candidati sono stati eletti due volte. Osserviamo allora quali nuovi personaggi sono saliti in carica e quali altri, con non poca sorpresa, hanno dovuto abbandonare il proprio seggio.Terzo per numero di preferenze, Marwan Barghouti è uno dei principali, se non il principale, vincitore di questa tornata elettorale. Con oltre 1.000 voti di preferenza è il vero volto nuovo di Fatah. Leader dell’Intifada al-Aqsa, Barghouti gode di un sostegno popolare non indifferente anche se appare fortemente limitato nell’esercizio della sua carriera politica poiché attualmente incarcerato nelle prigioni israeliane. Teoricamente molto più adatto di Abu Mazen al dialogo con Hamas, paradossalmente potrebbe essere proprio il partito islamico a garantirne la liberazione. Molto spesso si è creduto che all’interno della lista di prigionieri richiesti da Hamas per ottenere il rilascio del caporale Shalit, ci potesse essere anche il nome di Barghouti. Nonostante i suoi 5 ergastoli, il leader palestinese gode di un certo rispetto anche fra alcune figure governative israeliane, prima fra tutte il ministro dell’industria e commercio Benyamin Ben Eliezer, il quale ha recentemente dichiarato come Barghouti sia l’unico in grado di portare unione all’interno del fronte palestinese; come egli rappresenti l’unico interlocutore realmente valido. Tempo addietro anche alcuni esponenti del partito laburista israeliano avevano richiesto a più riprese la sua scarcerazione. Tuttavia, come osserveremo fra poco, la sua figura appare decisamente isolata all’interno del partito e la condizione di carcerazione non facilita certamente la sua capacità di influenzare le decisioni del Comitato.Muhammad Dahlan, Jibril Rajoub e Tawfiq al-Tirawi sono queste le figure più discusse che hanno fatto il loro ingresso nel Comitato Centrale di Fatah. Uomo forte di Fatah, salito alla ribalta delle cronache durante la breve guerriglia civile con Hamas del 2007, Muhammad Dahlan è uno dei personaggi considerati maggiormente vicini ad Abu Mazen. Dahlan è stato anche in perfetta sintonia con la passata amministrazione Usa ed alcuni esponenti di Fatah lo considerano parimenti in stretto contatto finanche con la stessa occupazione israeliana. Altri lo accusano di corruzione, ma soprattutto gli imputano il controllo del contrabbando, in particolare di droga, attraverso i tunnel sotterranei fra la Striscia di Gaza ed il valico di Rafah. E’ lui uno dei più importanti, ed allo stesso tempo più discussi, nuovi personaggi che hanno fatto il loro ingresso nel Comitato Centrale.Insieme con Dahlan, Jibril Rajoub è l’altro nome oscuro in grado di gettare alcune pesanti ombre sul futuro del partito, soprattutto per quanto riguarda la sua coesione interna. Già ex capo della sicurezza interna dell’Autorità Nazionale Palestinese ed oggi a capo della Federazione calcio palestinese, anche Rajoub è rimasto invischiato nell’Action Plan americano del 2006. Anche se i due rappresentanti del partito nazionalista non sembrano poter far fronte comune visti i pessimi rapporti che intercorrono fra di loro, certamente la loro presenza all’interno del Comitato Centrale non lascia ben sperare per i futuri rapporti con Hamas. Entrambi infatti si sono macchiati di azioni di violenza nei confronti del movimento islamico e dunque, proprio a causa della loro elezione nel Comitato Centrale, i rapporti con il partito che attualmente controlla la striscia di Gaza potrebbero peggiorare ancora, portando a scenari facilmente prevedibili.Destabilizzante per i futuri rapporti con Hamas potrebbe essere anche la presenza di Tawfiq al-Tirawi, già a capo dell’intelligence palestinese e storicamente vicino ad Abu Mazen oltre che dichiaratamente ostile al movimento islamico. Molto meno discusse invece le vittorie del governatore di Nablus, Jamal Mouheisen, del nipote di Arafat, Nasser al-Qudwa ed anche di Afif Safeya, ex ambasciatore dell’OLP negli Usa, tutti considerati esponenti dell’ala più moderata del partito. Anche se la maggior parte della vecchia guardia è stata spazzata via dalle succitate new entry, non tutti gli storici delegati del partito hanno perduto la loro poltrona. Ad esempio Mohammed Ghneim, uno dei fondatori di Fatah, non solo è stato riconfermato, ma è anche riuscito ad ottenere il maggior numero di preferenze. Anche Salim Zanoun, Tayyib Abdul Rahim, Nabil Sha’ath e sa’ab eureka manterranno la propria poltrona. Due invece le vittime illustri colpite dal rinnovamento di partito: Ahmad Qurei e Farouk Qaddumi. Entrambi hanno dovuto abbandonare i propri seggi ed entrambi, sia prima che dopo gli esiti delle votazioni, hanno duramente accusato Abu Mazen di aver pesantemente truccato il voto. Addirittura Qurei si è spinto oltre, affermando che i brogli effettuati dal primo ministro palestinese sarebbero di gran lunga superiori a quelli compiutisi nelle ultime elezioni presidenziali iraniane. Kaddoumi, da lungo tempo in esilio a Tunisi e rappresentante dell’ala intransigente di Fatah, alla vigilia del voto aveva messo sotto accusa Abu Mazen millantando addirittura un complotto ordito da quest’ultimo insieme con gli israeliani per avvelenare Arafat. Più in generale comunque sono molti di più coloro i quali accusano Abu Mazen di mantenere una linea troppo conciliante con gli israeliani, se non in alcuni casi addirittura coincidente con i loro interessi. In effetti, anche in questa occasione, Israele ha sostenuto con ogni mezzo la sua rielezione a capo del partito consentendo a molti delegati provenienti dall’esterno, anche da paesi fortemente ostili come Libano e Siria, di ritornare in Cisgiordania. Interessante notare come su alcuni di essi pendessero condanne per terrorismo ed omicidio, ma questo non pare aver rappresentato un problema per le autorità israeliane le quali hanno loro permesso di rientrare in Cisgiordania.Alcuni esponenti di Fatah hanno inoltre contestato il metodo di voto utilizzato per rieleggere Abu Mazen. Il premier palestinese ha infatti chiesto la fiducia dopo un voto per alzata di mano, metodo questo che ha reso praticamente impossibile notare se vi sia stata o meno opposizione alla sua leadership. Forti proteste sono infine giunte anche dal settore femminile del partito. Molte donne hanno infatti denunciato l’assenza di una loro rappresentante all’interno del Comitato centrale. Dato questo che stride fortemente con l’esempio fornito dai rivali di Hamas, partito dove le donne occupano un ruolo fondamentale e dove nel breve governo del 2006 una di esse fu inserita nella squadra dei ministri capeggiata da Ismail Haniyeh.Sebbene molti abbiano gridato al successo ed altri ancora abbiano visto nei risultati elettorali una magnifica vittoria di Abu Mazen, pesanti incognite gravano sul futuro del partito nazionalista palestinese ed in particolare sul suo leader. In primo luogo il nuovo Comitato Centrale appare eccessivamente variegato. Nelle sue fila si alternano con troppa facilità posizioni estreme a dichiarazioni moderate e certamente conciliare queste due diverse anime non sarà impresa facile. Inoltre la presenza di Dahlan e Rajoub (quest’ultimo peraltro in pessimi rapporti anche con lo stesso Abu Mazen), nonché di al Tirawi lascia prevedere un futuro altrettanto oscuro nei rapporti con Hamas. L’esclusione della vecchia guardia e gli scarsi risultati elettorali femminili rischiano poi di portare ad ulteriori perdite di consenso a favore di Hamas il quale, nonostante tutto, appare ancora più solido e compatto. Certamente molti di questi problemi potrebbero essere nascosti, finanche superati, da un’eventuale scarcerazione di Barghouti, evento questo che però non sembra né vicino né parimenti probabile.Il congresso di al-Fatah, tra Abu Mazen e BarghoutiIsrael's excuse to delay peace

Editorial / Israel does have a Palestinian partner

Palestina: Fatah, vent'anni dopo


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