Amira Hass: palestinesi scudi umani dell'IDF


Human shields



I Palestinesi che abitano in un quartiere ad est di Jabaliya hanno spiegato ad Haaretz che soldati dell’esercito israeliano avevano loro imposto una quantità di compiti: creare con la mazza delle aperture nei muri, entrare nelle case davanti ai soldati e accertarsi che fossero davvero stati uccisi gli uomini armati. Risposta del portavoce dell’esercito israeliano: non c’è mai stato niente di simile, i combattenti avevano ricevuto istruzioni di non servirsi della popolazione civile nel quadro dei combattimenti.

Gaza
Alla domanda “chi è?” è arrivata la risposta: “Esercito di difesa di Israele”. Majdi Abed Rabbo, 39 anni, ufficiale dell’informazione palestinese dell’Autorità Palestinese a Ramallah, che abita nel quartiere Izbet Abed Rabbo ad est di Jabaliya, era sceso ad aprire la porta. Si è trovato di fronte al figlio dei vicini, Mahmoud Daher, che aveva dietro un soldato che gli piantava il fucile nella schiena. Il soldato allora ha spostato Mahmoud per puntare il suo fucile su Majdi. “Mi ha ordinato di abbassare i pantaloni. Li ho abbassati. Mi ha ordinato di alzare la camicia. L’ho alzata. Di girare su me stesso. Ho girato” ha raccontato Majdi, e allora la stanza si è riempita di soldati. “Dodici o giù di lì”.
Era lunedì 5 gennaio, tra le 9,30 e le 10 del mattino, circa 40 ore dopo l’inizio dell’offensiva terrestre israeliana. Domenica sera i soldati si erano piazzati nella casa dei Daher. Avevano dapprima riunito la famiglia al piano terreno. Si sentivano spari in giro. Poi avevano fatto salire tutti in una stanza al primo piano. I membri della famiglia si erano chiesti perché i soldati li facessero salire - genitori, figli, due neonati e la nonna anziana - in una stanza scomoda e fredda, ma non avevano potuto rifiutare. Non sapevano ancora che il loro trasferimento al primo piano li avvicinava ai tiri incrociati. Solo più tardi hanno saputo che la casa vuota sul lato nord-est, del vicino Abou Hatem, i cui abitanti da molto tempo erano all’estero, nascondeva tre combattenti di Iz a-Din al Qassam. La casa alta di Majdi Abed Rabbo è contigua a quella, stretta, di Abou Hatem.
Prima di tutto questo, lunedì mattina, intorno alle sette, i soldati avevano fatto uscire di casa Shafik Daher, 53 anni, un direttore finanziario, che riceve il suo stipendio da Ramallah, e i suoi tre figli. I soldati hanno condotto Shafik Daher alla casa vicina, lato est, quella di Jaber Zidane. La porta era stata sfondata. Ha trovato i vicini chiusi in una sola stanza. La perquisizione, in questa come nelle altre quattro case in cui gli hanno ordinato di entrare quel giorno, si è svolta in modo simile: lui camminava in testa, con i soldati dietro di lui. Un soldato teneva il fucile appoggiato sulla sua spalla destra, mentre impugnava con l’altra mano la spalla sinistra. Ogni stanza, ogni piano. Poi hanno radunato i membri della famiglia Zidane in una casa ad est della loro, la casa di Tawfik Qatari. Gli uomini, compresi i ragazzi di 14 e 16 anni, sono stati ammanettati. Gli uni con le mani dietro la schiena, gli altri con le mani davanti.
I soldati hanno preso il controllo della casa della famiglia Qatari domenica sera 4 gennaio. Anche questa si è trovata radunata al piano terreno. Mentre tutto attorno c’erano spari in continuazione. I soldati si erano piazzati in uno dei piani superiori e avevano trasformato la finestra che guardava a nord-est - vicino alla casa di Abou Hatem - in posizione di tiro. “C’era un bravo soldato che ci ha detto che era pericoloso restare là dove eravamo e ci ha spostati verso l’interno”, hanno raccontato.

La paura di Jamal
Verso le nove del mattino, lunedì, i soldati hanno prelevato dalla casa degli Al Qatari il figlio Jamal. Nei quattro giorni seguenti, Jamal girerà con i soldati, eseguendo per loro numerosi compiti: dovrà entrare per primo nelle case e chiedere alle persone di scendere. Una decina di case, lui stima. Camminava davanti all’enorme bulldozer dell’esercito che avanzava nel quartiere e distruggeva le strade. “Ho paura che i soldati sparino su di me”, ha detto ad un soldato, che gli ha risposto “non aver paura”.
Nello stesso tempo, lunedì mattina, Daher proseguiva le sue missioni di protezione, di difesa dei soldati dell’esercito di difesa di Israele. Non sapeva che nello stesso momento i suoi due figli grandi giravano con altri due gruppi di soldati, con l’ordine di creare aperture nei muri delle case, con l’aiuto di pesanti mazze che gli erano state date. E non sapeva neanche che esattamente nello stesso momento un soldato piantava il fucile nella schiena del suo terzo figlio, davanti alla porta di Majdi Abed Rabbo. Lo stesso Majdi, dopo aver ricevuto l’ordine di fare un’apertura nel muro che separa il suo tetto da quello dei vicini, ha dovuto fare ancora delle brecce in molte case vicino alla moschea, entrare in un’automobile, esaminare la casa dei Zidane, per essere poi condotto nella casa dei Qatari, dove ha trovato Shafik Daher, che lo ha rassicurato sulla sorte di suo figlio.

Obbligati ad ubbidire
Verso le due del pomeriggio, un soldato l’ha portato fuori, gli ha indicato la casa di Abou Hatem e gli ha detto, secondo la sua testimonianza: “In questa casa, c’erano uomini armati. Li abbiamo uccisi. Spogliali e prendi le loro armi”. Lui ha dapprima rifiutato dicendo che non era il suo mestiere. “Ubbidisci agli ordini”, gli hanno detto. Ha ubbidito ed è sceso, da casa sua, nella casa di Abou Hatem, gridando in arabo che era il proprietario. Ha scoperto tre uomini armati di Iz a-Din al Qassam, perfettamente vivi. Gli hanno detto di non tornare, “perché ti spareremo addosso”.
Ha raggiunto i soldati che gli hanno ordinato di togliersi i vestiti e di girare su se stesso, poi ha detto loro che i tre erano vivi. Sorpreso, l’ufficiale ha chiesto di verificare la sua identità e ha scoperto che apparteneva all’informazione palestinese di Abou Mazen. E’ stato ammanettato, messo a terra e ha sentito dei colpi di arma da fuoco. E’ stato quindi di nuovo inviato a verificare, con le stesse minacce e la stessa assicurazione, che i tre uomini adesso erano stati uccisi. Li ha ritrovati, uno di loro era ferito e gli altri due “OK”. Uno dei combattenti di Hamas gli ha detto: “Di’ a questo ufficiale che se è un uomo venga su”.
I soldati non hanno apprezzato queste parole. Uno di loro avrebbe bestemmiato, secondo lui. E’ stato di nuovo ammanettato e messo a terra. Cominciava a fare un po’ buio. Ha sentito il rumore di un elicottero e poi quello di un missile che esplode e un soldato gli ha detto. “Ora li abbiamo uccisi, col missile. Vai là”. E’ andato e ha visto che era la sua propria casa che il missile aveva colpito. “Sei pazzo?”, gli ha chiesto il soldato. “No”, ha risposto Majdi Abed Rabbo, “il missile ha colpito la mia casa” e tutto è distrutto laggiù: l’acqua esce, pezzi di cemento sono sparsi e tutto intorno i tiri sono incessanti, “non naturali” e i rumori di esplosioni frequenti, anche il rumore di un elicottero e di un’esplosione.

Di nuovo spogliarsi
Quando ha ricevuto l’ordine di di andare a verificare per la terza volta se i tre fossero morti, era notte. I soldati gli hanno illuminato la strada. Ha scoperto due degli uomini sotto le macerie e il terzo con la sua arma in mano. Era circa mezzanotte, nella notte fra lunedì e martedì. E’ tornato dai soldati, si è di nuovo spogliato, ha fatto un giro su se stesso, poi ha detto che i tre erano vivi. “Sei pazzo?” gli hanno di nuovo chiesto. “No, non sono pazzo, vi dico ciò che ho visto”, Affamato, assetato e con una terribile emicrania, è stato ricondotto alla casa dei Qatari.
Alle sei e mezza del mattino, ecco che lo portano fuori di nuovo, davanti a quella che era stata la sua casa. Dei soldati hanno portato un megafono e, secondo la sua testimonianza, si sono messi a gridare: “Voi, uomini armati, avete un quarto d’ora per consegnarvi: scendete, spogliatevi, c’è la Croce Rossa, ci sono i giornalisti; cureremo il ferito”. I soldati hanno fatto andare un cane nella casa demolita. Uno degli uomini armati gli ha sparato e l’ha ucciso. I soldati li hanno di nuovo chiamati perché uscissero dalla casa. Non c’è stata risposta. “Allora è arrivato il bulldozer e ha attaccato la mia casa, ha cominciato a demolirla sotto i miei occhi”.
I soldati l’hanno riportato alla casa dei Qatari quando il bulldozer ha cominciato a demolire la casa di Abou Hatem. C’erano colpi di arma da fuoco. Quando, due ore dopo, l’hanno fatto uscire, con un altro gruppo di uomini, ha trovato due degli uomini armati “morti, esposti sopra le macerie”. Non ha visto il terzo. “Che cos’è un esercito che non riesce a far irruzione in una casa dove ci sono uomini armati?” si è chiesto.

Sono in  20 ad essere stati utilizzati come protezione
Otto abitanti di Izbet Abed Rabbo hanno avuto una conversazione con Haaretz e hanno testimoniato di aver ricevuto ordini di accompagnare soldati dell’esercito israeliano in missioni di entrata per effrazione e di perquisizione di case; di aver visto inoltre membri di famiglie rimasti nelle loro case mentre l’esercito le utilizzava come postazioni di tiro o come basi. A Izbet Abed Rabbo, si stima che una ventina di abitanti almeno siano stati costretti a diverse missioni di “accompagnamento e protezione” come quelle descritte sopra ed altre, per periodi variabili, tra il 5  e il 12 gennaio.
Il portavoce dell’esercito israeliano ha fatto sapere in risposta: “L’esercito israeliano è un esercito morale e i suoi soldati operano nello spirito dell’esercito israeliano e dei suoi valori, e noi proponiamo di esaminare convenientemente le dichiarazioni delle parti palestinesi interessate. Le forze dell’esercito israeliano hanno precise istruzioni di non servirsi della popolazione civile nel quadro dei combattimenti, per qualsiasi scopo, ed evidentemente non come scudi umani. Dall’esame condotto davanti ai comandanti delle forze che erano presenti nel settore interessato, non risulta alcuna prova dei casi evocati. Tutti coloro che tentano di accusare l’esercito israeliano di atti di questo genere creano un’immagine falsa ed ingannevole dell’esercito israeliano e dei suoi combattenti, che operano conformemente agli standard morali e al diritto internazionale”.

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