Netanyahu spinge gli Stati Uniti a muovere guerra all’Iran: Obama dirà di no?


La visita del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu negli Stati Uniti la scorsa settimana si è conclusa domenica con la trasmissione di un’intervista precedentemente registrata su Fox News Sunday. L’intervista riguardava vari temi importanti, tra cui lo stato delle relazioni USA-Israele e le prospettive di una pace israelo-palestinese. Ma sono le osservazioni del primo ministro sull’Iran che meritano una particolare attenzione, poiché queste osservazioni suggeriscono che Netanyahu abbia intrapreso un percorso estremamente pericoloso. Netanyahu sta spingendo gli Stati Uniti ad adottare un’eventuale azione militare contro l’Iran
Tre punti riguardanti l’Iran, tratti dall’intervista rilasciata da Netanyahu a Fox News Sunday, richiedono una particolare attenzione:

- In primo luogo, Netanyahu ha detto che il direttore della CIA Leon Panetta aveva “probabilmente ragione” nel valutare che le nuove sanzioni ONU e quelle unilaterali USA contro l’Iran non “fermeranno” il programma nucleare iraniano – che Netanyahu ha definito una “corsa per sviluppare armi atomiche” con l’esplicito obiettivo della “distruzione di Israele”.
In secondo luogo, Netanyahu ha sostenuto che la Repubblica Islamica è un “regime irrazionale” a cui non può essere consentito di sviluppare armi nucleari, perché “non si può fare affidamento sul fatto che obbediranno alla logica dei costi e dei benefici che ha disciplinato tutte le potenze nucleari fin dall’inizio dell’era nucleare dopo Hiroshima e Nagasaki”. Netanyahu ha mostrato di disdegnare la possibilità di “contenere” un Iran nucleare: “Penso che sia un errore, e penso che la gente cada in un equivoco”. Poi, Netanyahu ha proseguito paragonando l’Iran ad “altri fenomeni radicali come i Talebani”(sic) che hanno inviato terroristi ad attaccare gli Stati Uniti senza tener conto delle conseguenze, e ha definito la prospettiva di un Iran dotato di armi nucleari come “la minaccia suprema del terrorismo”.

- In terzo luogo, pur rilevando che “lo Stato ebraico è stato creato per difendere la vita degli ebrei, e ci riserviamo sempre il diritto di difenderci”, Netanyahu ha affermato che solo la minaccia di un attacco militare statunitense potrebbe indurre i politici iraniani a interrompere la loro presunta avanzata verso la costruzione di armi nucleari: “Solo una volta l’Iran ha effettivamente interrotto il proprio programma nucleare. Fu quando temette un’azione militare degli Stati Uniti”. (Probabilmente si è trattato di un riferimento al ‘National Intelligence Estimate’ [NIE] sul programma nucleare iraniano, presentato dal National Intelligence Council nel dicembre 2007, che notoriamente stimò “con un alto livello di attendibilità” che “Teheran ha fermato il proprio programma di armi nucleari” nell’autunno del 2003, “soprattutto in risposta alle crescenti critiche internazionali e alla pressione derivante dalla rivelazione del lavoro nucleare precedentemente non dichiato dell'Iran
Le osservazioni di Netanyahu sull’Iran sono degne di nota, per almeno due ragioni.
In primo luogo, vi è un’intrinseca contraddizione nell’analisi ufficiale israeliana del processo decisionale iraniano in materia nucleare. Da un lato, l’Iran è ritenuto così “irrazionale” da non poter fare affidamento su di esso in fatto di valutazione del rapporto costi-benefici, il quale ha presumibilmente guidato le decisioni degli stati effettivamente in possesso di armi nucleari dopo la fine della seconda guerra mondiale. Dall’altro, i politici iraniani sono ritenuti sufficientemente “razionali”, in senso strumentale, da fare una valutazione dei costi e dei benefici in merito alla gestione del programma nucleare del paese. (Come ha dichiarato il NIE del 2007, “la nostra valutazione secondo cui l’Iran ha interrotto il programma nucleare nel 2003 soprattutto in risposta alle pressioni internazionali, indica che le decisioni di Teheran sono guidate da un approccio basato sul rapporto costi-benefici, piuttosto che da una corsa all’arma atomica a prescindere dai costi politici, economici e militari”).
Noi continuiamo a ritenere che non vi sono prove che Teheran abbia deciso di sviluppare armamenti nucleari, e continuiamo a notare che i più alti livelli delle autorità politiche e religiose nella Repubblica Islamica sembrano aver escluso una tale decisione – non da ultimo, per motivi religiosi. Ma la contraddizione nella posizione di Netanyahu conferma la nostra valutazione che il programma nucleare iraniano non sia affatto una “minaccia esistenziale” per Israele. Il vero problema, dal punto di vista israeliano, è che un Iran con capacità nucleari potrebbe, fra l’altro, cominciare a imporre alcuni limiti all’attuale libertà di Israele di usare la forza militare unilateralmente, ogniqualvolta lo desidera, e per qualunque scopo.

In secondo luogo, pur mantenendo la possibilità di attacchi militari israeliani contro obiettivi nucleari iraniani, Netanyahu sta spostando l’onere di prevenire l’ulteriore sviluppo delle capacità nucleari iraniane sull’eventualità di un’azione militare degli Stati Uniti. In questo contesto, ricordiamo la risposta del presidente Obama a una domanda circa la possibilità di un attacco unilaterale israeliano contro l’Iran, nel corso di un’intervista al canale israeliano Channel Two, dopo il suo incontro con Netanyahu la scorsa settimana: “Penso che il rapporto tra Stati Uniti e Israele sia sufficientemente forte da far sì che nessuno di noi cerchi di sorprendere l’altro… cerchiamo di coordinarci su questioni di interesse reciproco, e il primo ministro Netanyahu si è impegnato a seguire questo approccio”. È improbabile che Obama possa aver fatto una tale affermazione senza ritenere di poter contare su un impegno da parte di Netanyahu a non “sorprenderlo” compiendo un’azione militare unilaterale contro l’Iran.
Sulla base delle nostre conversazioni con israeliani ben informati, riteniamo che l’approccio di Netanyahu sia fondato su una logica elaborata ed a lungo termine. In sostanza, Netanyahu sta minimizzando il rischio di un attacco israeliano contro l’Iran a breve termine per massimizzare la pressione sugli Stati Uniti affinché intraprendano un’azione militare contro la Repubblica Islamica nel medio termine – forse nei prossimi 12-18 mesi, dopo che una massa critica di opinioni avrà concluso che le sanzioni americane ed internazionali “non stanno funzionando”. A quel punto – dopo aver già respinto la possibilità di contenimento, il primo ministro israeliano si sarà messo nella condizione di poter esercitare pressioni sul presidente Obama affinché non “sprechi tempo” con una strategia inutile, e passi a prendere in seria considerazione la possibilità di attacchi militari contro obiettivi nucleari iraniani.Almeno in teoria, Obama può dire “no” alle esortazioni di Netanyahu – ma quel “no” diventerebbe di dominio pubblico entro circa 15 minuti dal momento in cui verrebbe pronunciato in privato. E, se la nostra valutazione della tempistica è corretta, il “no” di Obama diventerebbe di dominio pubblico proprio mentre il tentativo di rielezione del presidente sarebbe sul punto di decollare in modo serio.
Se Obama dirà qualcosa di diverso da un “no” a Netanyahu, gli Stati Uniti si impegneranno a compiere attacchi militari contro obiettivi nucleari iraniani. Un attacco americano all’Iran quasi certamente si risolverebbe in un confronto molto più ampio tra gli Stati Uniti e la Repubblica Islamica: le residue forze USA in Afghanistan e in Iraq diventerebbero ad alto rischio, i risultati strategici delle nostre ‘avventure’ militari in entrambi i paesi sarebbero ancor in più pericolo, vi sarebbero effetti profondamente negativi per l’ economia globale, e la percezione internazionale che il comportamento sconsiderato e da “stato canaglia” degli USA nella regione strategicamente vitale del Medio Oriente sia stata una caratteristica esclusiva della presidenza di George W. Bush sarebbe per sempre distrutta. Queste conseguenze assai prevedibili avrebbero un impatto devastante sulla posizione degli Stati Uniti in una delle regioni più importanti del mondo.
Dunque, da questo momento fino alle prpolitica americana nei confronti dell’Iran è questo: cosa dirà il presidente Obama quando il primo ministro ossime elezioni presidenziali degli Stati Uniti nel 2012, l’interrogativo più importante sulla Netanyahu pronuncerà di nuovo i suoi appelli?
Flynt Leverett è direttore del “Progetto Iran” alla New America Foundation, e professore di relazioni internazionali presso la Pennsylvania State University;
Hillary Mann Leverett è presidente di una società di consulenza di “political risk”; entrambi sono stati membri dello staff del National Security Council
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