Un attacco israeliano contro il programma nucleare iraniano non riuscirà né a fermare del tutto l’avanzata nucleare di Teheran, né a far cadere il regime degli Ayatollah – secondo l’ex ambasciatore svizzero in Iran, Tim Guldimann.Parlando al Jerusalem Post a margine della Conferenza di Herzliya della scorsa settimana, Guldimann, che conosce bene il modo di pensare iraniano, ha espresso – come sua opinione personale – la propria profonda preoccupazione per un’eventuale opzione militare contro l’Iran.Guldimann è stato ambasciatore svizzero in Iran e in Afghanistan dal 1999 al 2004. Come ambasciatore a Teheran, Guldimann – ora consulente e direttore del Middle East Project presso il Center for Humanitarian Dialogue, con sede a Ginevra – ha rappresentato gli interessi statunitensi in Iran, agendo come intermediario. Acquisì notorietà per un memorandum che egli trasmise agli Stati Uniti nel 2003, il quale conteneva una presunta proposta iraniana per un ampio dialogo con gli Stati Uniti, che comprendesse tutte le questioni – inclusa la piena cooperazione sui programmi nucleari, l’accettazione di Israele e la cessazione del sostegno iraniano ai gruppi armati palestinesi. La proposta fu respinta dall’amministrazione Bush.Secondo Guldimann, la posizione in base alla quale ‘se la comunità internazionale non fermerà il programma nucleare iraniano allora Israele dovrà farlo da solo’, si fonda sul presupposto non dimostrato che l’Iran si appresti effettivamente a imboccare la strada verso l’acquisizione di un’arma nucleare.“La mia impressione è che essi non si spingeranno così lontano. Se voi dite che vi è [in Iran] una chiara politica volta a raggiungere una capacità nucleare, sono pienamente d’accordo. La si può definire come una fase di rottura. Ma essi prenderanno la decisione politica di produrre una bomba? Una rottura di questo genere è una questione assolutamente diversa”, afferma Guldimann.
Dunque, quali opzioni ha in mano Israele?“Il vecchio approccio del bastone e della carota non ha aiutato affatto. Potete parlare di sanzioni, ma esse non hanno cambiato la posizione iraniana. Le sanzioni spesso sembrano avere, in Occidente, più che altro lo scopo di fornire una dimostrazione a Israele [che le cose si stanno muovendo]“, osserva. “L’altra opzione è la forza. Se Israele si orienta per l’opzione militare, sono davvero profondamente preoccupato del fatto che alcuni ritengano che una simile opzione possa essere d’aiuto”.“Proviamo a usare la sicurezza di Israele come unico metro per valutare la situazione. Un attacco militare può danneggiare [il programma nucleare iraniano], ma non può fermarlo. Si tratta di un’industria con decine di migliaia di persone impiegate al suo interno. È possibile danneggiarla e ritardarne lo sviluppo. Si può anche ritenere che sia possibile colpirla una, due, forse tre volte. E si può tornare a farlo di nuovo, se si pensa che la situazione sia come quella di un bambino che continua a venir fuori e lo si picchia ogni volta. Ma il mondo potrebbe essere un luogo completamente diverso [dopo un primo attacco]“, dice Guldimann. Guldimann sostiene che, anche in una situazione di disordini interni e di opposizione popolare al regime in Iran, un attacco esterno non farebbe cadere il regime.“Non è questo lo stile iraniano. Si deve tener presente che se c’è un attacco esterno al regime, l’opposizione interna al regime, e l’opposizione al regime in generale, finiranno entrambe per allinearsi a quest’ultimo. Serreranno i ranghi. Sulla questione nucleare, [il leader dell'opposizione Mir Hossein] Mousavi è più intransigente del presidente Mahmoud Ahmadinejad. Se vi è un attacco esterno agli impianti nucleari iraniani, il popolo iraniano si sentirà terribilmente umiliato. E se oggi Israele ha il regime iraniano come nemico, a quel punto non avrà contro solo il regime, ma anche l’intero paese. Un attacco all’Iran sarebbe un’ottima cosa per Ahmadinejad. Egli otterrà quel nemico straniero di cui ha sempre parlato”.
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