Akiva Eldar : congelare anche Gerusalemme

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Se c’è una qualche verità nelle notizie che scaturiscono dal viaggio del Primo Ministro Benjamin Netanyahu in Europa – che gli Stati Uniti hanno acconsentito che Israele continui a costruire a Gerusalemme Est – si sarebbe dovuto leggere titoli quali “Obama si è ritirato dal processo di pace nel Medio oriente.”

Parafrasando la frase famosa di Moshe Dayan, secondo la quale è preferibile avere Sharm el-Sheikh senza pace piuttosto che la pace senza Sharm el-Sheikh, sarebbe meglio che Obama congelasse il processo di pace senza scongelare la costruzione di colonie a Gerusalemme Est, piuttosto che scongelare il processo e lasciare che Gerusalemme venga esclusa dalla pretesa di un congelamento delle costruzioni, fatta eccezione che per i quartieri ebraici. Dal punto di vista degli arabi, e non solo dei palestinesi, sarebbe meglio che gli Stati Uniti permettessero ad Israele di completare la costruzione di alcune case nella colonia di Modi’in Ilit, che si trova sui confini con la West Bank, piuttosto che consegnare il quartiere di Sheikh Jarrah o di Silwan (la città di Davide), a Gerusalemme Est, all’ondata degli estremisti di destra.
Durante i negoziati con Ehud Barak e con Ehud Olmert i palestinesi avevano concordato lo scambio del territorio delle colonie che sono adiacenti al lato orientale della Linea Verde con il territorio sul lato occidentale della linea stessa. D’altro canto, è ancora controversa la delicata questione della sovranità sulla Città Vecchia di Gerusalemme e sui luoghi santi della città, così come il destino di un quarto di milione di palestinesi che erano stati “annessi” unilateralmente allo stato di Israele (come residenti permanenti).
La posizione americana è stata e resta che Gerusalemme Est è territorio occupato il cui futuro sarà deciso dai negoziati tra le due parti. Come gli altri paesi del mondo ed il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, anche gli Stati Uniti non hanno mai riconosciuto la decisione israeliana di annettersi 64,4 Kmq della West Bank, unendoli ai 6,5 Kmq che, sotto il dominio giordano, erano soggette all’autorità amministrativa di Gerusalemme.
Israele è l’unico paese al mondo che definisce come “Gerusalemme” il villaggio di Walja, che dista 9,6 Km dal confine amministrativo della municipalità giordana. D’altro canto, il villaggio di Abu Dis, che è a soli 1,5 Km dallo stesso confine, Israele lo considera situato in “Samaria e Giudea” o West Bank.
Noi pensiamo che se ripetiamo abbastanza frequentemente “Gerusalemme unita, la capitale di Israele”, il mondo si abituerà al fatto che questo territorio è nostro (gli studi di semantica hanno portato ad una notizia
comparsa sulla Voce di Israele riguardante la crescita delle esportazioni israeliane in “Giudea e Samaria”).
Non è ancora successo e ciò costituisce una cosa buona. Due Presidenti degli Stati Uniti, Bill Clinton e George W. Bush, non hanno approvato la risoluzione emessa dal Congresso nel 1995, nella quale si dichiara che “Gerusalemme unificata” è la capitale d’Israele.
Essi hanno affermato che con lo spostare a Gerusalemme l’Ambasciata degli Stati Uniti verranno messe a repentaglio le possibilità di una risoluzione definitiva del conflitto e quindi verrà danneggiata la sicurezza nazionale degli Stati Uniti.
Sfortunatamente, entrambi hanno tenuto gli occhi chiusi di fronte alla costruzione di colonie nella West Bank e nei quartieri palestinesi che Israele definisce come “Gerusalemme est.”
Dodici anni fa, Israele ha avuto un Primo ministro che ha dimostrato che quando un presidente americano è determinato nel congelare le costruzioni ebraiche a Gerusalemme Est, perfino il governo più di destra si mette in riga.Il suo nome è Benjamin Netanyahu. Nel luglio del 1997, egli aveva deciso di interrompere la costruzione di un sito ebraico nel cuore del quartiere di Ras al-Amud e di evacuare le famiglie che vi erano entrate. La sua giustificazione fu: “La decisione è utile per l’unità di Gerusalemme, l’unità del popolo ed il prosieguo del processo di pace.” L’allora procuratore generale Elyakim Rubinstein, che ora è giudice della Corte Suprema, dichiarò: “Se non si è quasi certi di violare l’ordine pubblico e di danneggiare la pubblica sicurezza, è possibile bloccare in anticipo l’occupazione delle case e perfino di evacuarle.” Il capo del servizio di sicurezza dello Shin Bet, a quell’epoca, Ami Ayalon, mise in guardia il Primo Ministro in un rapporto, sostenendo che costruzioni ebraiche nel quartiere avrebbero provocato disordini nei territori. Dal momento che l’attuale dirigenza palestinese ha rinunciato alla violenza, è possibile che passerà tranquillamente un assenso americano nei confronti della continua penetrazione ebraica nei quartieri palestinesi di Gerusalemme Est. Tuttavia, un cambiamento sostanziale di tale portata nella posizione degli Stati Uniti, per quanto riguarda una questione nazional/religiosa che è così esplosiva, avrebbe fatto crollare ed incenerire, tra gli altri impegni, i negoziati tra Israele e i palestinesi. Un precedente di questa sorta può seppellire l’Iniziativa di Pace Araba e con essa la normalizzazione dei rapporti con il mondo musulmano. Dobbiamo sperare che la notizia che Obama ha fatto marcia indietro su Gerusalemme Est è al più il pio desiderio di avversari ad un compromesso che provengono dalla parte occidentale della città. http://www.haaretz.com/hasen/spages/1111250.html
(traduzione di mariano mingarelli)
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