Neve Gordon: Hamas è una scusa,la realtà è un'altra


L'esperienza della carestia è cominciata il 18 Gennaio 2008. Israele ha chiuso ermeticamente tutti i confini di Gaza impedendo anche l'arrivo di medicine, cibo e carburante. I tagli alla corrente, frequenti negli ultimi mesi, sono stati estesi alla durata di 12 ore al giorno. A causa della carenza di elettricità almeno il 40% dei cittadini di Gaza non ha avuto accesso ad acqua corrente (che viene distribuita grazie a delle pompe elettriche) per diversi giorni ed il sistema fognario si è bloccato. Quanto non viene gestito dalle fogne finisce, al ritmo giornaliero di 30 milioni di litri, in mare. Gli ospedali sono stati costretti ad appoggiarsi ai generatori di emergenza, tagliando ulteriormente, una volta ancora, i limitati servizi offerti alla popolazione palestinese. Il World Food Programme ha riferito di una critica carenza di cibo e del fatto non è possibile recapitare ai 10000 cittadini più poveri di Gaza parte degli alimenti che normalmente ricevono.Dopo cinque giorni di estrema sofferenza un gruppo di militanti di Hamas ha preso l'iniziativa ed ha fatto saltare alcune parti del muro d'acciaio lungo il confine egiziano. In poche ore oltre 100.000 persone si sono riversate in Egitto. Erano affamate, assetate e stanche di essere imprigionate in una sudicia gabbia. Una volta in Egitto hanno comprato qualunque cosa potessero portarsi via ed hanno atteso pazientemente l'intervento della comunità internazionale. I leader mondiali però li hanno delusi e dopo 5 giorni, il 28 Gennaio, il muro è stato ricostruito e i palestinesi sono stati nuovamente rinchiusi nella più grande prigione al mondo: la Striscia di Gaza.Ehud Barak, il ministro della difesa israeliano, non ha tentennato quando si è dovuto giustificare per un simile atto. Non ha mostrato alcun rimorso nel mettere in atto una politica che storicamente solo i leader più brutali hanno praticato.Le sue affermazioni appaiono razionali. Barak afferma che nessun governo al mondo tollererebbe i persistenti bombardamenti dei propri cittadini, bombardamenti provenienti da zone oltre confine. Poiché altre misure, come le dure sanzioni economiche, gli omicidi mirati, i puntuali attacchi israeliani nelle zone nord della Striscia, i bombardamenti di molte infrastrutture fondamentali come centrali elettriche ed uffici del governo palestinese, poiché tutto questo non è servito Israele non ha avuto altra scelta.
Questo argomento apparentemente razionale omette convenientemente di rammentare che dalla sua democratica vittoria elettorale nel 2006 Hamas ha proposto diversi accordi per un "cessate il fuoco", l'ultimo dei quali solo la settimana scorsa. In queste offerte Hamas acconsentiva ad interrompere il lancio di missili contro cittadini israeliani in cambio della fine delle incursioni israeliane dentro Gaza, della rimozione del blocco economico e della cessazione di omicidi mirati di militanti e leader politici.Le proposte di Hamas evidenziano due importanti questioni. Primo: nonostante quanto venga affermato da Barak l'uso della forza non è la sola opzione restante per Israele. Il governo potrebbe aprire un dialogo con Hamas basandolo su un accordo di "cessate il fuoco". Secondo: viene enfatizzato il fatto, come fa giustamente notare Uri Avnery, che Israele utilizza cinicamente gli attacchi ai propri cittadini come pretesto per cercare di rovesciare il regime di Hamas a Gaza e per prevenire un possibile successo di Hamas nella Cisgiordania.Negli ultimi tempi, però, anche il coraggioso Avnery manca di notare quello che è il principale obbiettivo di Israele. La questione centrale non è "Hamas si, Hamas no" ma piuttosto la sovranità dei palestinesi. Questa recente crisi mostra, una volta di più, che il ritiro unilaterale da Gaza nell'Agosto del 2005 non è stato un atto di decolonizzazione quanto piuttosto una scelta di riorganizzazione della potenza israeliana ed implementazione di regole neo-coloniali. Israele ha compreso che per mantenere la sovranità avrebbe solo dovuto mantenere il monopolio sulla libertà di movimento. Questo ritiro è molto diverso rispetto a quello delle forze inglesi dalle proprie colonie. In questo caso infatti viene mantenuto il controllo sul confine trasformando la Striscia di Gaza in un container dove le entrate sono totalmente controllate da Israele.L'esperienza a Gaza, in altre parole, non è una questione legata al bombardamento di cittadini israeliani o ai continui sforzi fatti da Israele per destabilizzare Hamas. E' semplicemente una misura draconiana mirata a negare ai palestinesi i loro più fondamentali diritti all'autodeterminazione. Un tentativo di mostrare chi ha il controllo, tentando di abbattere il morale in modo da abbassare le aspettative dei palestinesi facendo accettare loro le pretese israeliane. I palestinesi lo hanno compreso e coraggiosamente hanno distrutto le mura della propria prigione invocando a gran voce il sostegno internazionale. Al posto però dell'attesa indignazione la sola risposta che hanno avuto è stato un debole eco delle proprie lamentele.



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