M. Sabbah: Gerusalemme,il luogo delle radici


«La nostra è allo stesso tempo una terra di resurrezione e di morte. Ma la sua vocazione e la sua missione fondamentale è essere una terra d'amore e di vita, di vita abbondante per tutti i suoi abitanti di tutte le religioni». Nel messaggio per la Pasqua, diffuso proprio ieri, il patriarca latino di Gerusalemme Michel Sabbah si rivolge così ai cristiani di Terra Santa. Non senza ricordare, però, che il 2007 segna anche un anniversario per Gerusalemme: i 40 anni di un conflitto che ha creato «squilibri» e «paure» ancora presenti nella vita della città. Dai quali si potrà uscire solo quando israeliani e palestinesi potranno vivere «ognuno nella propria terra»
Patriarca Sabbah, che cosa chiede ai cristiani che domani torneranno a volgere il loro sguardo alla Terra Sabta?
Gerusalemme è la terra delle radici. E dunque ciò che succede qui non può riguardare solo noi. Tutti i cristiani devono sentirsi responsabili rispetto alla comunità di Gerusalemme. Ma devono sentirsi responsabili anche riguardo al conflitto che ha luogo in questa terra. Ogni Chiesa ha il compito di aiutarci a essere segno di riconciliazione nella giustizia. Vuol dire anche vigilare sulle definizioni: parlare solo di lotta al terrorismo vuole dire nascondere il fatto che in questa terra restano situazioni di ingiustizia, frutto di un'occupazione avvenuta ormai 40 anni fa.Come uscirne?Questo conflitto non è solo tra Israele e Palestina. Anche la comunità internazionale ha precise responsabilità, che invece non si assume con sufficiente coraggio. Vediamo in continuazione passare di qui capi di Stato. Loro ripartono e tutto resta come prima. Serve un'azione più seria. E scandita su un orizzonte di tempo limitato: tre mesi, non due anni. Aiuterebbe a fare chiarezza, impedirebbe ad altri di sfruttare questo conflitto. Anche l'Iran, ad esempio, sarebbe costretto a mostrare che cosa vuole davvero.Girando per questa terra oggi si incontra poca fiducia nel futuro.La tentazione più pericolosa è pensare di "reggere" il conflitto mirando a limitare i danni. Se sceglie questa politica Israele perde. Perché la situazione demografica e l'ostilità araba finiranno con il soffocarlo. È difficile, però, pensare a una pace se una parte si rifiuta di riconoscere persino il diritto all'esistenza dell'altra.È vero, gli ebrei aspettano ancora di essere riconosciuti dagli arabi come un popolo che ha radici in questa terra.Si noti che il problema non è solo di riconoscere le "radici" degli ebrei, ma anche il loro diritto all'autodeterminazione e alla sovranità. Finché la guerra continua, però, finché ci saranno morti, prigionieri, demolizioni di case, nessuno si sposterà da questa posizione. Arriviamo a un cessate il fuoco e vedrete che il riconoscimento degli ebrei da parte del mondo arabo ci sarà. Guardiamo all'iniziativa dell'Arabia Saudita, rilanciata proprio in questi giorni a Riad: in cambio del ritorno alle frontiere del '67, propone la normalizzazione dei rapporti diplomatici e dunque un pieno riconoscimento. Spero davvero che non si lasci cadere questa opportunità.

Dall'Avvenire del 5 aprile

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