Muhammad Shehada LA VIOLENZA GENERA DISPERAZIONE E ALTRA VIOLENZA ,CICLO INFINITO E SENZA SPERANZA DI GAZA

 Di Muhammad Shehada - 20 Agosto 2020

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✒️Nelle ultime settimane Gaza e il sud di Israele sono stati coinvolti in un'altra allarmante recrudescenza. Come rappresaglia per aquiloni e palloni incendiari, lanciati da Gaza e caduti su terreni agricoli nel sud di Israele, l’aviazione israeliana ha effettuato attacchi aerei costanti sulla striscia.

Questi sono stati aggravati dall’inasprimento delle restrizioni per la popolazione di Gaza. La scorsa settimana Israele ha chiuso il principale valico commerciale di Gaza, Kerem Shalom. Lunedì, Israele ha chiuso la zona di pesca di Gaza nel Mediterraneo. Martedì, è stato riferito che Israele ha interrotto le spedizioni di carburante a Gaza, il che ha ridotto la fornitura di elettricità della città, che è passata da 8 / 12 ore a sole 3 / 4 ore al giorno; L'unica centrale elettrica di Gaza ha smesso di funzionare.

Questa è Gaza: un periodo di calma non corrisposta, seguito dalla violenza provocatoria di Gaza che causa attacchi aerei israeliani e ulteriori punizioni collettive, seguito da un'accresciuta risposta di Gaza che a sua volta ha incontrato una risposta israeliana ancora più violenta.

È un ciclo infinito, così come il prossimo, inevitabile passo: una volta che le cose sembrano andare fuori controllo, Egitto, Qatar e altri mediatori internazionali entrano in scena per scongiurare un'altra guerra insostenibile. Gaza riceve quindi una o due ricompense provvisorie, come un flusso mensile di milioni di dollari dal Qatar distribuiti sotto forma di sussidi da 100 dollari a decine di migliaia di famiglie povere. E quando la situazione si stabilizza, Israele allenta le restrizioni tornando allo status precedente, ma niente di più.

E poi, tutto ricomincia, pochi mesi o addirittura settimane dopo.

La causa di questa reiterazione infinita è semplice: indurre una situazione invivibile. La violenza a cui sono soggetti gli abitanti di Gaza è solo occasionalmente spettacolare e dirompente, come gli attacchi aerei, per esempio, o la chiusura della zona di pesca, ma più spesso è latente, burocratica e inferta ininterrottamente nel tempo e nello spazio in modo che possa non essere percepita come una violenza. È la lenta ma innegabile negazione della dignità a 2 milioni di persone.

Ciò avviene tramite la grave scarsità di acqua potabile, o attraverso una grave carenza di elettricità, attività economiche compromesse, povertà inimmaginabile e tassi di disoccupazione ineguagliabili. Questi sono tutti aggravati da una limitata capacità di fuga.

Tutte queste crisi costanti mantengono Gaza sulla graticola. Si trascina, a malapena sopravvive, ciò che noi di Gaza chiamiamo "morte lenta". Questo stato di limbo senza via d’uscita spinge l'intera popolazione sull'orlo della disperazione perpetua.

In poche parole, la maggior parte degli abitanti di Gaza non ha nulla per cui vivere, e quindi, niente da perdere.

Parlando con amici e parenti che vivono ancora nella Striscia, mi raccontano la disperazione. Mentre alcuni abitanti di Gaza combattono contro questa “morte lenta” attraverso l'attivismo, soprattutto online, altri optano per la fuga, o attraverso la migrazione verso un mondo sempre più ostile verso i migranti, o attraverso la droga o, cosa ancora più allarmante, il suicidio.

In una società religiosa in cui il suicidio è estremamente condannato come una porta verso l'inferno eterno e in violazione della tradizione palestinese di Sumud (fermezza), è comprensibile che alcuni abitanti di Gaza siano stati indotti a credere che l'inferno di Dio sarà più indulgente con loro dell'inferno in cui è stata trasformata Gaza.

E sì, alcuni abitanti di Gaza sceglieranno la violenza, diretta a esercitare pressione su Israele e attirare l'attenzione della comunità internazionale che spesso ignora la resistenza non violenta palestinese, al fine di affrontare la disastrosa situazione. Negli ultimi mesi questa violenza ha assunto la forma di aquiloni e palloncini incendiari che questa settimana hanno portato a un aumento della punizione collettiva israeliana della popolazione palestinese.

Chiunque abbia un briciolo di sentimento dovrebbe essere in grado di decifrare il messaggio che questi oggetti incendiari stanno cercando di trasmettere: il desiderio disperato di una vita degna di essere vissuta. Eppure, il governo israeliano sceglie di non vedere e di rispondere con violenza a questi estremi segnali di soccorso. Senza dubbio il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e il suo alleato di coalizione e rivale politico Benny Gantz non vogliono apparire deboli di fronte al "terrorismo". Preferiscono il linguaggio della "deterrenza" al linguaggio della speranza e del progresso. Temono che permettere alla popolazione civile di Gaza di ritornare a vivere dignitosamente sarebbe descritto come una ricompensa per Hamas e di conseguenza nuocerebbe al loro consenso politico tra i rispettivi elettorati.

Ma Hamas non trarrebbe vantaggio dal fatto che Gaza ottenga elettricità 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Né il suo governo autoritario sarebbe influenzato negativamente se l'elettricità fosse ridotta a zero ore. Quando gli abitanti di Gaza sono scesi in piazza per protestare contro il deterioramento delle condizioni economiche nel 2019, Hamas ha represso violentemente le proteste poiché le ha percepite come una sfida al suo governo.

Per Netanyahu e Gantz è esattamente il contrario: quando Israele bombarda Gaza, aumenta la popolarità di Hamas come difensore di Gaza e gli dà la possibilità di sfoggiare le sue armi e mostrare la sua resistenza armata.

Siamo solo noi a sopportare tutto il peso di questa cinica politica. L'approccio muscoloso di Netanyahu a Gaza può compiacere gli elettori trionfalisti e massimalisti che trovano gratificazione nella sconfitta palestinese. Ma sono sempre gli israeliani nel sud e i due milioni di civili di Gaza a pagare il prezzo pesante di questa prova di forza. Serve solo a rendere Gaza sempre più inabitabile e ad innescare recrudescenze più violente.

C'è un'altra spiegazione, più cinica, al modus operandi di Netanyahu a Gaza: preferisce lo status quo, nonostante la sua violenza, a qualsiasi altra alternativa, perché i violenti e occasionali sconvolgimenti che interessano Gaza alimentano una grande narrativa che dipinge i palestinesi come intrinsecamente violenti e "votati alla distruzione di Israele." Finché Gaza rimarrà un esempio ammonitore, che Netanyahu può descrivere come irrisolvibile, può continuare a sostenere che la fine dell'occupazione in Cisgiordania o la perdita del controllo sulla valle del giordano la trasformerebbe in un centro simile a Gaza per le attività violente di Hamas contro Israele.

Israeliani: non fatevi ingannare. Siamo come voi. Vogliamo solo una vita dignitosa e un futuro per noi stessi e per i nostri figli. Uno sguardo attento alla situazione al confine meridionale di Israele, è alla violenza che periodicamente esplode sotto forma di oggetti incendiari, avvalorerà questa affermazione.

Muhammad Shehada è un editorialista che contribuisce per il Forward. È originario di Gaza. Il suo lavoro è apparso anche in Haaretz e Vice. È su Twitter @ muhammadshehad2

Trad: Beniamino Rocchetto

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