di Ali AbunimahLa posizione degli Stati Uniti in materia di frontiere forse apre la porta alle pericolose ambizioni israeliane sul trasferimento dei cittadini non-ebrei.

Una delle rivelazioni più sorprendenti contenuta nei The Palestinian Papers – i rapporti dettagliati e i verbali sul processo di pace nel Medio Oriente fatti trapelare ad Aljazeera – sta nel fatto che l’amministrazione del presidente degli Stati Uniti, Barak Obama, ha sostanzialmente ripudiato la Road Map, che fin dal 2003 ha costituito la base del “processo di pace”. Così facendo si è tirata indietro perfino dagli impegni presi dall’amministrazione di Gorge W. Bush e ha prodotto una irreparabile incrinatura nella già traballante “soluzione a due-stati”.Ma, peggio ancora, la posizione degli Stati Uniti forse inconsapevolmente apre la porta alle pericolose ambizioni israeliane sul trasferimento – o pulizia etnica – dei cittadini palestinesi non-ebrei di Israele al fine di creare uno “stato ebraico” etnicamente puro. Poco dopo il suo insediamento nel gennaio del 2009, l’amministrazione Obama aveva chiesto pubblicamente a Israele di congelare tutte le costruzioni nelle colonie della West Bank occupata, compresa Gerusalemme Est. Dopo mesi di spola diplomatica estenuante dell’inviato americano Gorge Mitchell, Obama ottenne infine la promessa israeliana di una moratoria parziale della colonizzazione di dieci mesi, con l’esclusione di Gerusalemme. Mentre quei colloqui erano in corso, i frustrati negoziatori palestinesi avevano ripetutamente cercato di strappare da Mitchell l’impegno secondo il quale le condizioni di riferimento degli accordi di pace concordati, che avrebbero avuto inizio una volta che risultasse applicata la moratoria delle colonie, avrebbero comportato la creazione di uno stato palestinese sulla linea del 1967 con ridotti scambi di terra concordati tra la parte palestinese e quella israeliana. Questa, avevano affermato i palestinesi, era la posizione che aveva sostenuto l’amministrazione Bush nel 2003 e che era contenuta nel piano di pace della Road Map adottato dal Quartetto (US, UE, Russia e UN). Ma, a quanto pare, nei problematici incontri tra Mitchell, il capo dei negoziatori palestinesi Saeb Erekat, e i rispettivi gruppi di lavoro avvenuti nel settembre e nell’ottobre 2009 – i cui contenuti dettagliati sono stati rivelati ora per la prima volta – Mitchel aveva affermato che la posizione dell’amministrazione Bush non era vincolante. Aveva premuto perché i palestinesi accettassero le condizioni di riferimento adeguandosi al rifiuto di Israele di riconoscere la Linea del 1967 quale confine che separa Israele, così come era stato stabilito nel 1948, dalla West Bank e dalla Striscia di Gaza dove i palestinesi speravano di avere il loro stato. 
Caduta del confine del 1967   Il 23 settembre 2009, all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite Obama aveva sostenuto che il suo obiettivo era quello di “Due stati che vivono l’uno accanto all’altro in pace e sicurezza – uno stato ebraico di Israele, con una sicurezza vera per tutti gli israeliani, e un stato palestinese effettivo e indipendente con il territorio contiguo sul quale viene meno l’occupazione iniziata nel 1967 e che realizza le potenzialità del popolo palestinese.” Ma ciò non era risultato soddisfacente per i palestinesi. Il giorno successivo, durante un incontro presso la Missione degli Stati Uniti alle Nazioni Unite a New York, Erekat aveva respinto la richiesta americana di adottare la frase di Obama come condizioni di riferimento per i negoziati. Erekat aveva chiesto all’assistente del Segretario di Stato per gli Affari del Vicino Oriente David Hale perché mai l’amministrazione Obama non avesse dichiarato esplicitamente che l’esito previsto delle trattative avrebbe dovuto essere uno stato palestinese sui confini del 1967 con il compito della sicurezza affidato ad una terza parte e avrebbe dovuto essere messo a punto il ritiro israeliano. Secondo gli appunti dell’incontro, Hale aveva risposto,”Domandi il perché? In che modo ti sarebbe stato di aiuto se avessimo dichiarato qualcosa di tanto preciso che non fossimo poi in grado di portare a termine?” Allo stesso incontro, al quale prese successivamente parte lo stesso Mitchell, Erekat aveva discusso con l’inviato degli Stati Uniti su come Obama avrebbe potuto avallare pubblicamente Israele come “Stato ebraico” senza impegnarsi sui confini del 1967. Secondo gli appunti, Mitchell aveva risposto a Erekat “Non si possono discutere condizioni di riferimento dettagliate per i negoziati” quindi i palestinesi potrebbero essere altrettanto “positivi” e passare alle trattative dirette. Erekat aveva interpretato la posizione di Mitchell come un abbandono statunitense della Road Map. Il 2 ottobre 2009, Mitchell si era incontrato con Erekat al Dipartimento di Stato e di nuovo aveva tentato di convincere il gruppo palestinese a riprendere i negoziati. Nonostante le sollecitazioni di Erekat secondo le quali gli Stati Uniti avrebbero dovuto conservare le precedenti posizioni, Mitchell aveva risposto, “Se pensi che Obama imporrà la posizione che hai descritto, stai facendo un grave errore per ciò che lo riguarda. Insisto perché tu colga questa opportunità.” Secondo gli appunti, Erekat aveva replicato, “ Tutto ciò che chiedo è di dire due stati sui confini del 67 con variazioni concordate. Ciò mi protegge dall’avidità israeliana e dal furto di terre – permette a Israele di conservare alcune realtà sul terreno” ( un riferimento alla volontà palestinese di permettere ad Israele di annettere alcune colonie della West Bank nel quadro di scambi di terra più ridotti). Erekat aveva affermato che questa era stata la posizione sostenuta dal Segretario di Stato sotto l’amministrazione Bush Condoleezza Rice. Secondo il resoconto Mitchel aveva dichiarato: “Te lo dico di nuovo che il Presidente Obama non accetta  le decisioni precedenti di Bush. Non far riferimento a questo, ti potrebbe danneggiare. I paesi sono   vincolati da accordi – non da discussioni o da affermazioni.” L’inviato degli Stati Uniti era convinto che se il Primo Ministro del governo israeliano Benjamin Netanyahu non avesse accettato la formulazione delle condizioni di riferimento gli Stati Uniti non avrebbero cercato di costringerlo. Tuttavia, Mitchell aveva continuato a far pressione sulla parte palestinese perché adottasse la formulazione che essi temevano avrebbe fornito a Israele lo spazio di manovra per annettere grandi porzioni della West Bank occupata senza fornire alcun compenso. 
All’incontro critico del 21 ottobre 2009, Mitchell aveva letto la formulazione proposta per le condizioni di riferimento: 
     “Gli Stati Uniti ritengono che attraverso negoziati condotti in buona fede le parti possono decidere di     comune accordo per un esito che soddisfi sia l’obiettivo palestinese di uno stato effettivo e indipendente     comprensivo di tutti i territori occupati nel 1967 o l’equivalente in valore, che l’obiettivo israeliano di     confini sicuri e riconosciuti che riflettono gli sviluppi successivi e rispondono ai requisiti di sicurezza     israeliani.”  La risposta di Erekat era stata esplicita: “Allora nessuna Road Map?” Le conseguenze dell’espressione “o l’equivalente in valore” sono che gli Stati Uniti si sarebbero impegnati solo perché i palestinesi ricevessero una determinata superficie di territorio – 6258 kmq, o un’area equivalente della West Bank e della Striscia di Gaza – ma non dei confini ben precisi. 
“Due stati per due popoli” Si tratta di un terremoto. Ciò non solo rovescia la soluzione a due-stati così come viene convenzionalmente intesa, ma apre la porta a una possibile futura accettazione americana delle aspirazioni israeliane a creare uno stato ebraico etnicamente puro grazie a uno “scambio” dei territori dov’è concentrata la maggior parte dei 1,4 milioni di cittadini palestinesi israeliani. Questo rappresenterebbe una violazione di gran parte dei diritti fondamentali dei palestinesi e il disconoscimento dei principi universalmente accettati di auto determinazione stabiliti dopo la Prima Guerra Mondiale in occasione della Conferenza di Versailles. Essa sostituisce potenzialmente la soluzione a due-stati con quella che i funzionari israeliani chiamano “soluzione di due stati per due popoli”. Appunti confidenziali tra i Palestine Papers hanno rivelato che, durante una sessione negoziale del 13 novembre 2007 con funzionari palestinesi, l’allora Ministro degli Esteri israeliano Tzipi Livni aveva elaborato cose che avrebbero potuto apparire simili: 
     “Idea nostra è quella di far riferimento a due stati per due popoli. O due stati nazionali, Palestina e
       Israele che vivono l’uno accanto all’altro in pace e sicurezza con ciascun stato che rappresenta la patria
       per il suo popolo e la realizzazione dell’autodeterminazione e delle sue aspirazioni nazionali.” 
La Livni aveva sottolineato che “Israele [è] lo stato del popolo ebraico – e vorrei sottolineare che il significato di ‘sua gente’ è il popolo ebraico – con Gerusalemme capitale unita e indivisa di Israele e del popolo ebraico da 3007 anni.” La Livni chiarisce perciò che in Israele solo agli ebrei è garantita la cittadinanza e che i cittadini palestinesi non vi appartengono, anche se sono nativi che hanno vissuto su quella terra da prima che esistesse lo stato di Israele. E’ la negazione dei diritti dei profughi palestinesi e solleva lo spettro dell’espulsione o “scambio” per i palestinesi già presenti nel paese. Tuttavia l’inquietante dichiarazione della Livni sembra riflettere molto di più della sua sola opinione personale. Un memorandum palestinese del 29 ottobre 2008 intitolato “Progress Report on Territory Negotiations” (rapporto sull’andamento dei negoziati per i territori) afferma che i negoziatori palestinesi hanno respinto il concetto che i palestinesi potrebbero essere compresi negli scambi territoriali. Ma, secondo il documento, durante i negoziati tra i funzionari palestinesi e il governo dell’ex Primo Ministro israeliano Ehud Olmert, “gli israeliani hanno continuato a sollevare la prospettiva dell’inserimento dei cittadini arabi di Israele” in tali scambi di territori.Nel settembre dello scorso anno, il Ministro degli esteri Avigdor Lieberman aveva presentato all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite un piano nel quale Israele avrebbe conservato le colonie della West Bank e ceduto al futuro stato di Palestina alcune terre ad alta concentrazione di popolazione costituita da cittadini non-ebrei. “Un accordo conclusivo tra Israele e i palestinesi,” aveva detto Lieberman, “deve essere basato su un programma di scambio di territori e popolazioni.” Mentre Lieberman è a capo del partito ultra-nazionalistico Yisrael Beitenu, e la Livni del partito dell’opposizione Kadima (spesso percepito in modo erroneo come più “moderato” rispetto all’attuale governo di Israele), i punti di vista dei due politici sono sintomatici di un aumento del razzismo all’interno della società israeliana. L’insuccesso dell’amministrazione di Obama nel far pressione su Israele perché accetti l’opinione generale internazionale che lo stato palestinese dovrebbe essere istituito su tutti i territori occupati da Israele nel 1967, fatta eccezione per alcune modifiche di minore entità, destina al fallimento la soluzione a due-stati. Potrebbe anche darsi che l’amministrazione degli Stati Uniti che viene a svolgere la funzione di assicurare un impegno senza precedenti per giungere alla pace, finisca per far spazio a che le abominevoli idee di Lieberman e della Livni entrino a far parte della dinamica principale. Tutto ciò non è solo catastrofico per i diritti dei palestinesi e per le prospettive di giustizia, ma viene a rappresentare un ritorno alle concezioni del XIX secolo, messe al bando subito dopo le due guerre mondiali, secondo le quali gruppi di persone possono essere barattate tra stati senza il loro consenso come se fossero semplici pezzi posti su di una scacchiera. 
(tradotto da mariano mingarelli)

Commenti

Post popolari in questo blog

Gideon Levy : ashkenaziti , sefarditi e discriminazione

Hilo Glazer : Nelle Prealpi italiane, gli israeliani stanno creando una comunità di espatriati. Iniziative simili non sono così rare

Michael Warschawsk :Yehoshua e l'arroganza coloniale