Luigi Daniele :In Palestina, il “terrore” dell’uguaglianza

  

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  • Nel silenzio assordante delle agenzie di stampa e della politica italiana (mentre in tutto il mondo si susseguono notizie, comunicati e dure prese di posizione di parlamentari), il Ministero della Difesa israeliano guidato da Benjamin Gantz si è spinto laddove neanche i governi Netanyahu avevano osato: sei organizzazioni della società civile palestinese, tra cui ONG di prestigio mondiale e punto di riferimento internazionale per la tutela dei diritti umani nel territorio occupato dello Stato di Palestina, sono state dichiarate “organizzazioni terroristiche”.

    Il cuore dell’accusa: queste organizzazioni, nella loro interezza, sarebbero “rami” sotto copertura del partito del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina. Le prove: riservate.

    Dunque la più antica organizzazione palestinese per i diritti umani, Al Haq, assieme ad Addameer, Prisoners Support and Human Rights Association e Defense For Children International, nonché il Bisan Centre for Research and Development, l’Unione dei Comitati per il Lavoro Agricolo e l’Unione dei Comitati delle Donne Palestinesi, sono ora equiparate a tutti gli effetti, per l’ordinamento giuridico  di Israele, allo status riservato ai gruppi armati.

    L’accusa è di tale gravità da instillare dubbi in chi non avesse familiarità col dibattito giuridico-internazionalistico sull’occupazione israeliana, o con nomi e attività delle organizzazioni stesse. Per identificare la natura del lavoro che esse svolgono, chi legge può consultarne i siti, riscontrando la vasta mole di ben documentati report e circostanziate denunce a proposito di: minori e bambini detenuti dalla giustizia militare israeliana, rappresentanza legale dei detenuti amministrativi e politici dinanzi alle corti militari, violazione sistematica delle garanzie del giusto processoarresti arbitraritorture fisiche e psicologiche inflitte ai cittadini e minori palestinesi, o abusi armati dei coloni, solo per citare alcuni temi.

    Proprio in virtù del proprio lavoro, le organizzazioni colpite hanno immediatamente reagito affermando che la designazione di organizzazioni terroristiche rappresenta l’ultimo atto di una escalation di attacchi diffusi e sistematici ai difensori palestinesi dei diritti fondamentali, mirata a delegittimare, opprimere, silenziare e privare di risorse economiche le rispettive attività.

    Il Direttore di Al Haq, Shawan Jabarin (destinatario di premi internazionali in diversi Paesi europei, tra cui Danimarca e Olanda), ha affermato che il provvedimento del Governo israeliano ben rappresenta l’impossibilità di contestare la legittimità e trasparenza del lavoro delle ONG palestinesi sulla base del diritto e delle prove, rifuggendo dunque ogni accertamento giurisdizionale e possibilità di convalida delle accuse parte di una corte.

    Proprio in virtù di questo aspetto, l’ondata internazionale di allarme e indignazione è in questi giorni cresciuta. Nel momento in cui si scrive, ben 22 organizzazioni per i diritti umani israeliane hanno sottoscritto un durissimo manifesto contro il provvedimento in cui parlano di “atto di codardia caratteristico di un governo autoritario repressivo”. La lista di comunicati di solidarietà, a cominciare da quello congiunto di Amnesty International e Human Rights Watch, si allunga di ora in ora. L’inaccettabilità del provvedimento, inoltre, è stata prontamente argomentata, insistendo sulla mancanza di qualsiasi prova, dai docenti israeliani Lieblich e Shinar.

    A ben vedere, chiunque si sia occupato da qualsiasi parte del mondo di diritto internazionale e conflitto mediorientale, ne ha incrociato, discusso e citato gli autorevoli report, senza considerare tutti coloro che vi abbiano collaborato direttamente (ad oggi soggetti, a rigore delle norme, a numerosi anni di reclusione in caso di transito in Israele).  

    Diversi di questi rapporti, inoltre, sono stati acquisiti da istituzioni internazionali apicali, tra cui l’Alto Commissariato per i Diritti Umani dell’ONU e la Corte Penale Internazionale. Proprio alla Procura di questo tribunale, la cui indagine sulla situazione palestinese è tutt’ora in corso, alcune di queste organizzazioni avevano di recente indirizzato formalmente denunce di gravi crimini internazionali commessi in Cisgiordania (da ultimo, nel quartiere di Sheikh Jarrah) e a Gaza, chiedendo accertamenti alla Corte dell’Aia. Non sembra casuale, dunque, il tempismo di questa decisione.

    Inoltre, proprio ad alcune delle organizzazioni colpite dal provvedimento, infatti, si devono le denunce che hanno permesso ad ONG israeliane come B’Tselem o quelle internazionali come Human Rights Watch, di parlare apertamente di crimine di apartheid per definire il regime israeliano tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo, dunque nell’’interezza dei territori governati da Israele, militarmente e non. L’apartheid è un crimine contro l’umanità caratterizzato, ai sensi dello Statuto della Corte Penale Internazionale, da tre elementi: 1) la commissione estesa o sistematica di atti inumani contro una popolazione civile; 2) nel quadro di un regime istituzionalizzato di oppressione sistematica e di dominazione da parte di un gruppo razziale su altro; 2) sorretti dall’intenzione di perpetuare tale regime. Denuncia di non facile digeribilità per esecutivi che accusano la stessa Corte Penale Internazionale, erede istituzionale del Tribunale Militare Internazionale di Norimberga, di “antisemitismo per antonomasia”.

    Il recente report dell’organizzazione israeliana B’Tselem, “This is apartheid”.

    Anche considerando le abnormità a cui la radicalizzazione del dibattito politico israeliano ha abituato gli osservatori, designare studiosi, giuristi e avvocati per i diritti umani come terroristi rappresenta chiaramente un enorme salto di qualità del progetto coloniale di Israele.

    Tuttavia, sarebbe superficiale osservare questo sviluppo in maniera decontestualizzata. Il processo di criminalizzazione, repressione ed impedimento di ogni attività che reclami o costituisca esercizio del diritto inalienabile all’autodeterminazione dei palestinesi, è un processo non nuovo.

    In senso lato, questo processo è antico, nei suoi lineamenti giuridici fondamentali, almeno quanto l’occupazione militare iniziata nel 1967, poiché tutto l’impianto delle corti militari e del diritto che Israele applica in Cisgiordania ha al centro, come bene pseudo-giuridico protetto, fin da allora, la sicurezza dell’occupazione stessa e la sua trasformazione in regime di controllo militare permanente.  Si tratta di un apparato normativo di criminalizzazione di massa (in senso letterale), che esige dalla popolazione vittima dell’occupazione, sotto minaccia di reclusione, accettazione, soggiogamento e persino lealtà al progetto e ai valori coloniali della potenza occupante. Si pensi, solo a titolo di esempio, ai doveri di ciascun palestinese di denunciare qualunque connazionale di cui si “sospettino ragionevolmente” progetti o “tentativi” di “influenzare l’opinione pubblica” tali da turbare la “pace [sic!]” o la “sicurezza” pubbliche (v. combinato disposto degli articoli 251 e 261 del Security Provision Order). Lungi dal proteggere la sicurezza di Israele, dunque, questo apparato normativo che governa la vita quotidiana dei palestinesi, in cui l’esercito israeliano è uno e trino (accentrando nelle proprie mani poteri legislativi, esecutivi e giudiziari) finisce col rendere ciascuno di essi un potenziale criminale.

    La designazione come organizzazioni terroristiche delle sei ONG tuttavia costituisce un salto di qualità di stampo autoritario. Essa espone il personale, i ricercatori, i giuristi e gli avvocati di queste organizzazioni ad arresto immediato, nonché le organizzazioni nel loro complesso a forme di censura, repressione e strangolamento economico, funzionale alla cessazione delle rispettive attività.

    Quel che questa mossa del governo israeliano in ultima istanza rivela è un senso di terrore. Il terrore del diritto. Il terrore che il lavoro sistematico di ricerca e di denuncia portato avanti da queste organizzazioni non governative possa continuare a documentare, rivelare e ostacolare il sistema di dominazione coloniale a cui la popolazione palestinese è sottoposta quotidianamente, ottenendo giustizia per i crimini su cui si regge e rinforzando la pressione internazionale per la fine dell’occupazione. Il terrore dell’azione civica e politica basata sui diritti, sulla rivendicazione di pari dignità delle aspirazioni individuali e collettive. In altre parole, il terrore dell’uguaglianza.



    In Palestina, il "terrore" dell'uguaglianza - il lavoro culturale

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