Vertice di Vienna: verso una nuova Jalta o una conferenza mondiale sulla pace?
Incontro
di Vienna sulla Siria: quando le divergenze tra le potenze mondiali
aiutano il terrorismo ad avanzare e intralciare la messa in atto di
soluzioni
arabpress.eu
Di Geroge Samaan. Al-Hayat (16/11/2015). Traduzione e sintesi di Marianna Barberio.
Al secondo Vertice di Vienna, i Paesi
partecipanti hanno messo in atto una soluzione politica per la Siria che
la conduce verso una fase di transizione della durata di sei mesi. Le
trattative mirano alla formazione di un governo tra il regime e
l’opposizione e l’avvio di elezioni generali entro diciotto mesi sotto
l’egida di una nuova Costituzione. L’incontro a Vienna ha voluto
dimostrare come il numero delle parti interessate al Medio Oriente sia
aumentato, rispetto all’allora Conferenza di Jalta – durante la Seconda
Guerra Mondiale – quando le decisioni erano nelle mani di due unici
colossi: Stati Uniti e Unione Sovietica. Agli altri giocatori,
indipendentemente dalla loro importanza, spettava solo l’impegno a
conformarsi o non ai due leader mondiali.
Si deduce che le attuali crisi in Medio
Oriente non derivano unicamente dal crollo dell’equilibrio geopolitico
nella regione, come aveva osservato l’ex ministro degli Esteri americano
Henry Kissinger; al contrario, esse sono il risultato anche
dall’operato delle potenze interne che si sono aperte a qualsiasi Paese
estero.
Non sorprende allora che l’intera regione
si sia trasformata in fallimento, che ha segnato il crollo delle
proprie istituzioni e della propria politica, spingendo verso la
formazione di componenti estremiste, settarie, regionali e minoritarie.
In esse vige l’assenza di uno stato nazione universale. Dalla Libia allo
Yemen, fino all’Iraq, Siria, Libano e Palestina, il fallimento come
risultato anche delle politiche delle grandi potenze che non hanno
saputo gestire gli affari mondiali.
L’11 settembre è arrivato anche in
Francia, a seguito del Libano e della Russia, preceduti da alcuni Stati
del Golfo. Dall’invasione dell’Afghanistan, poi dell’Iraq, per giungere
alla guerra della Coalizione Internazionale e alla penetrazione russa
contro il regime dello ‘Stato Islamico’ e altre fazioni jihadiste, il
terrorismo ha avanzato e si è diffuso. E i suoi nemici sanno che
l’operazione militare da sola non basta a sconfiggerlo.
Al vertice di Vienna il presidente Obama
ha delineato una road map alla soluzione della crisi. Essa prevede il
reclutamento di “partner sunniti in Iraq per passare alla fase di
attacco anziché di difesa”. Questo spiega come il presidente sia a
conoscenza delle cause principali del problema, da ricercare non solo
nello “Stato di al-Baghdadi” o nella sua brutale cultura, ma anche e
soprattutto nelle politiche settarie. Alcuni comprendono il risentimento
dei sunniti verso Washington o Baghdad tradotto in umiliazione,
allontanamento, rassegnazione e sradicamento, sentimenti generati proprio
dall’invasione americana nel 2003. L’avanzare di un conflitto settario
nella regione rende il processo risolutivo alquanto impossibile da
realizzarsi.
Ma gli eventuali giocatori stranieri non
spingono ad alcuna risoluzione, anzi aumentano le crisi interne in
attesa che i conflitti locali, settari ed etnici, portino a termine la
propria missione o si stanchino prima di presentare o imporre delle
soluzioni. Tali fazioni non si arrendono, incoraggiati a loro volta da
forze interne ed esterne. La stessa divergenza interna si avverte tra le
potenze straniere che si oppongono circa la presenza o meno di Assad al
processo di pace. Questo non fa altro che incoraggiare il terrorismo a
penetrare all’interno delle proprie case.
Anziché separarsi, e affidarsi ognuno al
proprio rappresentante, perché non si tenta di trasformare Vienna nella
“nuova Jalta” o in una Conferenza mondiale sulla pace che riconosca ad
ogni Paese o società in Medio Oriente, dall’Oceano Atlantico al Golfo
attraverso la Palestina, quei diritti basilari di libertà, uguaglianza,
giustizia e vita dignitosa? È troppo tardi e non più necessario cambiare
le mappe?
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