Dopo la carneficina di Parigi, da Vienna esce l’accordo sulla Siria




«Voi europei non lo capite, ma noi peshmerga siamo il vostro fronte contro Daesh. L’Occidente non fa abbastanza, la coalizione è lenta e inefficace. Dovete mandare le armi a noi e non al corrotto governo di Baghdad perché siamo noi a difendervi». Le parole rilasciate al manifesto venerdì mattina – poche ore prima delle stragi di Parigi – da Farhana Afandi, coordinatore delle attività militari kurde con la coalizione, suonano oggi quasi profetiche. Ma dimentica un elemento: è responsabilità di tutti perché questo terrorismo è figlio delle politiche occidentali in Medio Oriente. Si muore a Parigi come si muore a Beirut e Baghdad.
Ieri nel suq di Erbil era facile trovare chi avesse voglia di parlare degli attentati in Francia. La gente affollava il bazar in una bella giornata di sole. Ma i commenti dei kurdi erano durissimi: «Qui siamo più al sicuro di voi europei perché sappiamo come fermare quelle bestie, ai nostri confini facciamo entrare solo chi dimostra di essere una brava persona», ci dice un venditore di tappeti con un inglese traballante.
L’impressione è però che in troppi associno “quelle bestie” agli arabi, tutti. «Noi kurdi al 90% siamo musulmani – ci dice un tassista mentre ci riaccompagna in hotel – L’Islam non dice di tagliare gole e costringere chi non la pensa come te a farlo. Questa violenza non è frutto della religione, ma della mentalità degli arabi. Da quando sono arrivati, in Kurdistan è aumentata la criminalità. La colpa è degli arabi».
«Sicuramente chi ha compiuto l’attacco è francese – Hevi, studentessa di Erbil, dà un’altra versione – Non possono essere rifugiati, ma francesi di origini arabe che si sono fatti imbambolare dalla propaganda di Daesh».
Dal mercato popolare agli uffici dei leader mediorientali: la condanna è stata generale, a partire dalle autorità religiose che hanno ricordato come tali attacchi siano contrari ai precetti dell’Islam. Il ministro degli Esteri saudita, Adel al-Jubeir, ha espresso le sue condoglianze, quello qatariota ha parlato di «violazione dei valori morali e umani». Fa eco il presidente degli Emirati arabi, Sheikh Khalifa bin Zayed al-Nahyan: «Gli Emirati faranno di tutto per combattere il terrorismo in tutte le sue forme», dice mentre continua a bombardare lo Yemen.
Dure condanne anche dall’asse rivale, quello sciita: in un tweet a caldo il presidente iraniano Rowhani, che ha cancellato il viaggio in Francia, si è detto vicino alle vittime, mentre il suo Ministero degli Esteri sottolineava l’estraneità dei gruppi terroristici a «qualsiasi religione, incluso l’Islam».
Parole simili dal Ministero degli Esteri siriano che ha espresso dolore per le vittime francesi. Si è spinto oltre il presidente Assad: i siriani soffrono da 5 anni per gli stessi crimini, ha detto, e comprendono più di chiunque altro l’orrore di Parigi. Ma parte della responsabilità per l’espansione del terrorismo va attribuita – dice – «alle politiche occidentali, in particolare della Francia, nella regione tra cui il supporto a chi è alleato dei terroristi», chiaro riferimento al Golfo.
Politiche che da anni hanno la Siria nel mirino. Quella Siria di cui ieri il mondo discuteva a Vienna, un nuovo round di negoziati messo in ombra dalla carneficina parigina. I ministri degli Esteri presenti hanno trovato un accordo: il piano di pace russo è stato accolto. Cessate il fuoco tra i gruppi armati e Damasco, seppur non ci sia accordo su chi debba partecipare: il ministro degli Esteri russo Lavrov ha indicato nella Giordania la responsabile dell’identificazione delle milizie considerate terroriste e quindi da escludere. A seguire, una nuova costituzione, un governo di transizione e e elezioni entro 18 mesi, dopo aver portato allo stesso tavolo governo e opposizioni moderate. Il segretario di Stato Usa Kerry dà una data: il primo gennaio, ma – aggiunge – su Assad non c’è accordo.
La pressione sui leader che litigano sul presidente aumenta. Anche su questo il maggiore Afandi, dalla base peshmerga di Bashiqa, azzecca l’analisi: «L’Occidente pensa a come disfarsi di Assad, quando c’è un problema dieci volte più grande, che è Daesh. Se un incendio minaccia di ucciderti, tu pensi a spegnere un fiammifero?».

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